Il simbolo
del potere normanno torreggiava sopra di loro.
Quando, nel 1066 Guglielmo il Conquistatore aveva fatto iniziare i lavori per la
costruzione dell'imponente fortezza, forse non immaginava che, a tanti secoli di distanza
la costruzione avrebbe impressionato ancora i visitatori. Eppure Aurora, Monia e Sabine
restarono estasiate ed ammirare l'imponente pietra grigia sopra di loro. Appena varcata la
soglia del portone d'accesso già pareva di respirare un odore antico e misterioso che
riportava a loro i ricordi che si portava appresso l'antica torre. Quanti prigionieri
avevano sospirato entro quelle mura, quante speranze erano nate e morte, quanto dolore,
sofferenza e chissà quanti fantasmi visitavano ancora le antiche volte.
Già, Fantasmi! Era una delle cose che affascinava di più Aurora che sapeva l'alta
concentrazione di tali esseri in tutto il Regno unito e nella stessa capitale. Una volta
all'interno le tre amiche si diedero da fare per visitare le numerose stanze ricolme di
antiche armature, spade e altri oggetti interessanti.
La torre ospitava anche i famosi gioielli della corona, pietre preziose grandi come uova,
ninnoli di inestimabile valore e altro ancora. Infine giunsero nell'ala un tempo adibita a
carcere.
Sulle mura chiare i prigionieri avevano inciso i loro nomi e alcune scritte indecifrabili.
Aurora passò le dita su di una scritta a lei incompresibile e le parve quasi di udire il
dolore inflitto nella calce del muro come se il prigioniero avesse lasciato lì una parte
di sé. Era affascinata da quel luogo e nello stesso tempo provava un senso di repulsione
che la spronava ad andarsene e a fuggire. Le amiche la chiamarono perché volevano
ultimare la visita ma Aurora non riusciva ad allontanarsi da quel luogo di dolore. Non si
accorse così di essersi un po' allontanata dal gruppo di turisti e di trovarsi
all'imboccatoura di un lungo corridoio che spariva nell'oscurità.
Ad un tratto le parve di udire un sibilo proveniente dal fondo del corridoio, un rumore
leggero, ovattato, appena percepibile. Si volse in quella direzione ma non vide nulla;
eppure qualcosa la spinse ad avanzare, una forza misteriosa, forse la stessa che la
tratteneva lì dentro.
Sapeva che c'era qualcosa alla fine del corridoio buio e avanzò ancora anche se un sudore
gelido le serpeggiava lungo la schiena. Ormai non udiva più il vociare dei turisti, i
clic delle macchine fotografiche, i richiami delle sue compagne di viaggio. Era come se
fosse stata trasportata in un'altra dimensione in cui l'unico rumore esistente era quello
strano sibilo che ora si era trasformato in un gemito soffocato, quasi un pianto. Dopo
alcuni minuti giunse al termine del corridoio e si trovò in una stanza. Era una camera da
letto arredata in modo spartano. L'unico mobile di lusso era un grande letto a baldacchino
con eleganti colonnine intarsiate che salivano verso l'alto e pesanti drappi di broccato
bianco che scendevano sul copriletto ricamato.
Quell'immenso letto occupava un'intera parete e Aurora non si accorse
- Di cosa non ti sei accorta? -
- Come! Cosa!-
- Ti sei interrota nel racconto! Hai visto il letto e poi?-
- Oh, già! - mi riscossi e mi volsi di nuovo verso il mio interlocutore che stava
ascoltando con attenzione. I suoi occhi celesti di bambino mi guardavano in modo diretto e
in essi si leggeva una malcelata curiosità.
Già, vidi il letto e poi, non so una strana sensazione si impossessò di me, come se il
mio corpo non mi appartenesse più. Dalla parte opposta a me c'era uno specchio e
passandovi davanti per caso vidi riflesso quello che non avrei dovuto (voluto?) vedere.
Il mio corpo non mi apparteneva più o almeno non mi apparteneva l'immagine riflessa.
Nella lastra scintillante non vedevo più me stessa ma un'altra donna; una donna alta e
sottile con lunghi capelli neri raccolti alla nuca e un viso sottile dominato da due
immensi occhi neri e profondi che osservavano l'immmagine con curiosità e paura. Anche i
miei vestiti erano cambiati, ora indossavo una bizzarra camora di broccato nero e un
corsetto tessuto d'oro ricamato con scintillanti rubini simili a gocce di sangue.
Sconvolta continuai ad osservare quel mio nuovo volto e ad un tratto sollevai le mani
davanti a me per vedere se mi appartenevano. Grande fu il mio stupore quando vidi due
nuove mani e una piccola escrescenza su di un mignolo come se ci fosse l'inizio di un
sesto dito. Conoscevo abbastanza la storia inglese per sapere a chi potevano appartenere
quelle mani. Si trattava di una piccola malformazione -si dice- di Anna Bolena, che fu
fatta giustiziare nel 1536, dallo stesso marito.
Ancora troppo sconvolta per parlare mi volsi verso la finestra dove avevo udito un nuovo
rumore.
Sollevando la pesante veste corsi alla finestra e afferrai le sbarre.
Stavano venendo a prendermi! Vedevo i soldati con le armature scintillanti, gli alfieri
che facevano insistentemente rullare i tamburi - un rullare lugubre e sinistro - vedevo il
boia con la pesante scure che avrebbe reciso la mia testa. Erano venuti a prendermi per
giustiziarmi!
Dovevo fuggire di lì ma in che modo! L'unica via di fuga sembrava essere il corridoio da
cui ero giunta con l'unica speranza di poter tornare nella mia dimensione e salvarmi.
Sollevai la pesante veste che mi intralciava il passo e corsi verso il corridoio mentre
quei dannati tamburi continuavano a rullare dentro le mie orecchie. Ero quasi giunta al
termine del corridoio, sentivo la salvezza quando mi ritrovai invece su di una grata che
si affacciava sul fiume. Non riuscii a frenare la mia corsa e mi sentii precipitare nel
vuoto finchè mi accolsero le gelide braccia del Tamigi. Mossi gli arti per restere a
galla ma il pesante vestito mi intralciava i movimenti portandomi sempre più giù nelle
oscure profondità che si richiusero sopra di me.
* * * * *
Ricordo solo che mi raccolse qualcuno che parlava un idioma a me
sconosciuto e poi mi risvegliai sfinita in un letto d'ospedale, le mie amiche, Monia e
Sabine che mi guardavano preoccupate.
- Cosa mi è successo?- chiesi con un filo di voce.
- Ti sei allontanata - mi rispose Monia - poi non ti abbiamo più vista. Devi essere
caduta in qualche antica botola e da lì, nel fiume. Per fortuna qualcuno ti ha vista e ti
ha tratto in salvo. Eravamo così preoccupate!-
- Mi dispiace, non volevo allontanarmi ma mi sono persa e poi non ricordo più cosa è
successo!-
Inaspettatamente Sabine esordì con una domanda - Scusami Aurora ma tu hai per caso dei
parenti qui a Londra?-
- No, perché? - chiesi incuriosita
- Perché è venuta uan donna a trovarti mentre dormivi. Ha detto che voleva solo
accertarsi che tu stessi bene.-
Mi alzai di scatto a sedere - Una donna! Che aspetto aveva?-
- Era una donna giovane, alta e con i capelli neri! Immagino che tu la conosca! -
- Oddio! E le sue mani! Avete notato le sue mani! - chiesi mentre il cuore batteva più
forte.
Monia si volse verso Sabine - Non ci ho fatto caso e tu Sabine? -
Sabine ci pensò su un attimo poi si illuminò
- Ah, è vero, ho notato che portava un paio di guanti! E' un po' strano, vero, al giorno
d'oggi chi è che porta ancora i guanti!-
Già, a meno che non si voglia nascondere qualcosa di insolito, come un sesto dito,
pensai, mentre mi voltavo verso la finestra, l'immagine dello specchio ancora riflessa
nella mia mente sconvolta dalle gelide acque del grande fiume!