Tremila lampade votive accese

L'intera scomparsa del paese di S. Gregorio, in una delle zone più impervie della Alta Valle Seriana resta a tutt'oggi un mistero insoluto, a quarant'anni esatti di distanza dai fatti: un piccolo rebus statistico per i burocrati della Regione Lombardia, una semplice glossa a margine per gli storici del Folklore rupestre, una cartella clinica inevasa per gli psichiatri dell'Asl lombarda incaricati di studiare - cito testualmente dal fascicolo polveroso che campeggia sulla mia scrivania, illuminato dal piccolo lago di luce epilettico proiettato dalla lampada da tavolo - correlazioni tra movimenti migratori campagna-città e nevrosi patologiche nelle sacche depressive e compulsive delle zone montane seriane - Mentre accendo l'ennesima sigaretta facendola brillare nell'oscurità greve dell'ufficio, sprofondato tra alte volute di fumo sfoglio con cautela da reliquiario le pagine ingiallite di questo modulo che una settimana or sono ho sottratto da un archivio dell'Asl regionale, con la complicità di un accondiscendente addetto alle pulizie opportunamente "oliato".
Nel loro dialetto gutturale e astioso sembrano aver trovato una diversa risposta al rompicapo (certo meno "scientifica") gli abitanti degli sparuti paesini limitrofi alla zona dei fatti che, nelle eterne notti di nebbia gelida e compatta che avvolge come un mantello necrotico viuzze e casette medioevali sul bavero estremo della gobba montana, riscaldati e ammansiti da un buon litro di Sangue di Giuda parlano apertamente di "Casus Mephistofelis".
Osservano muti il braciere notturno delle luci occhieggianti dei borghi dalle vallata dirimpetto e mi additano con uno sguardo grave, improvvisamente snebbiato dai vapori dell'alcol, una zona della vallata completamente sprofondata nel buio, il paese di S.Gregorio.
Quattromila seicento ventisette persone tra donne, uomini e bambini interamente cancellati dall'anagrafe civile nell'arco di soli tre mesi, quattromila seicento ventisette anime inghiottite nel ventre della vallata in un battito di livide palpebre. S.Gregorio, 1 novembre 2001.

Mentre percorro gli infiniti tornanti che ascendono al monte di S.Gregorio, io anonimo redattore scaraventato dalla monocroma redazione del mio quotidiano locale in cerca di strane storie che "solletichino la morbosa curiosità del lettore" (parole del capo redattore), dal finestrino della mia scassata Peugeot ho improvvisamente avvertito un lungo brivido freddo penetrarmi nelle ossa, un qualcosa di ostile nella Natura che qui, sembra esistere silenziosamente come mummificata.
Ma stiamo ai fatti, le cimiteriali cinque W (When? Where? Who?…) che garantiscono un buon pezzo di fanta-cronaca -…. o almeno…. l'avevo classificata tout-court così prima di addentrarmi nei risvolti inquietanti della vicenda- ed evitiamo inutili propaggini d'appendice necro-elegiaca…. Con un minuscolo registratore nascosto nella tasca interna della giacca di vigogna nera che indosso, raccolgo questa testimonianza orale dall'anziano proprietario di un agriturismo gastronomico, "Il gufo bianco", a soli cinquecento metri dal presunto paese fantasma.
Il signor Malfenti, unico abitante sopravvissuto insieme alla moglie Amalia all'improvvisa "evaporazione" di un'intera comunità montana, davanti a un piatto fumante di braciole e lenticchie, tra le mura umide del locale mi racconta la sua versione dei fatti con uno sguardo serio, mentre la notte mista a nebbia comincia a seppellire le mura "disanimate" del paese e un cane, in lontananza, ulula a chissà chi. Confesso di aver paura, unico avventore del locale, davanti a queste due ambigue figure che sembrano direttamente uscite da uno dei tanti ospedali psichiatrici di inizio secolo che drappeggiavano queste valli, volutamente isolati dalle città in pianura per non turbare la tranquillità borghese.
L'uomo, di massiccia corporatura, in piedi sull'uscio della cucina affila un grosso coltello aguzzo per affettati, l'anziana moglie, impietrita nel suo polveroso scranno di legno, ricama un minuscolo centrino con puntoni d'acciaio rabbrividenti, ogni tanto mi saetta con rapido e fuggitivo sguardo, il monotono rintocco di un pendolo scandisce il tempo immobile della notte incipiente - le mie povere pupille…- rimugino tra me e me, evidentemente suggestionato dal fascino sinistro del luogo - vorrà traforami?
Quanto tempo ci posso impiegare per raggiungere la Peugeot parcheggiata là fuori nel cortile?
Sguinzaglieranno i cani? Si riaccenderà l'arcaica consolle della mia vecchia Peugeot?
Tutto questo per 1.750.000 lire al mese.
Resoconto scritto della prima bobina della conversazione registrata il 31/10/99:
S.Gregorio, 6 ottobre 1961 Mentre la piccola e spartana sala consiliare del Municipio si stava stipando di assessori, guardie municipali e uno sparuto drappello di paesani rozzi e vocianti, il sindaco si attardava ancora nella sua villetta a due piani, una kitch e holiwoodiana dimora rosa confetto guarnita di finte colonne, archi, e putti, ambiguo dono ricevuto in cambio di un concessione edilizia allungata con due occhi chiusi ad un albergatore proprio nel cuore del bosco, zona naturale protetta.
L'uomo sulla quarantina, sempre abbronzato, e impeccabile nel suo completo grigio fumo, era un noto industriale milanese che proprio all'apice del boom economico italiano aveva deciso di trasferirsi nella vallata, e reinventarsi nel mestiere di sindaco; noto biscazziere privo di scrupoli e remore per il patrimonio ambientale montano, il sindaco aveva, si vociferava, un debole particolare per le donne, per le quali aveva già dilapidato una valanga di danaro prelevato dalla casa comunale edificando su tutto il crinale piccole casupole da donare a compiacenti e procaci paesane in cambio di una notte di passione.
Quando la seduta ebbe inizio, tra gli ordini del giorno il segretario comunale sottopose immediatamente all'attenzione del sindaco l'annosa questione del cimitero comunale, una fatiscente e sinistra costruzione posta ai margini del paese, proprio in prossimità del bosco di abeti.
Dal fondo della sala conciliare si alzarono timidamente due minute figure vestite di fogge scure che chiesero la parola; erano l'anziano custode del cimitero e una vecchia erborista del paese, considerata dai villani una povera pazza, che i mocciosi dileggiavano ogni qualvolta incrociavano per le strade del paese: - Signor sindaco, il temporale della settimana scorsa ha mandato in corto circuito l'intero sistema d'illuminazione notturna del cimitero, seimila lampade votive sono spente da quasi una settimana.
- I nostri morti hanno bisogno di quelle lampade - proruppe improvvisamente la vecchia con gli occhi stravolti iniettati sangue - i bambini morti non possono riposare senza quelle lampade, piangono e si lamentano tutta la notte, le loro anime hanno paura, l'intera città dei morti ha paura senza la luce dell'anima. -
- Suvvia, suvvia, smettiamola con queste stupidaggini - inveì dal microfono gracchiante il sindaco che sommerse così le oscure parole della vecchia, non supportata dall'amplificazione - non possiamo buttare i nostri soldi per quel tugurio con quattro ossa…. Al più presto quel cimitero verrà demolito e ci costruiremo una sala delle feste che ospiterà tutti i turisti estivi della vallata.
- Ma questo cimitero è la nostra storia, la nostra memoria - rintuzzò il custode - qui vengono ogni giorno gli anziani a piangere e a prendersi cura dei loro cari defunti, quel cimitero per molti è diventata l' unica ragione di vita, l'unico motivo per alzarsi ancora dal letto ogni giorno -
Nessuno in sala lo ascoltava già più, mentre le due nerborute guardie civiche sospingevano l'anziano e la donna con modi spicci fuori dalla sala, nel gelo notturno.
I sessanta milioni previsti per la spesa di riparazione delle lampade votive furono immediatamente investiti dal sindaco nell'organizzazione di una pacchiana sagra della porchetta, completa di fuochi d'artificio ed elezione della miss della Vallata, prevista per la notte del 1 novembre.
Passarono le settimane e, mentre fervevano i preparativi per l'allestimento di palchi, tavolate, graticole e botti di vino nel luogo in cui si sarebbe svolta la sagra, alcuni anziani e contadini che passeggiavano dietro le alte mura del cimitero, giurarono e spergiurarono di aver udito distintamente dei miagolii sommessi simili a lamenti. Il custode e la vecchia scomparvero dalla circolazione, come risucchiati nel nulla.
- Meglio così - mormorarono in molti nel paese - portavano male -
La mattina del primo novembre l'arrugginita cancellata del cimitero era inesorabilmente sbarrata, e l'esigua processione di vecchine velate di nero fu costretta a deporre i mazzi di crisantemi che stringevano gelosamente in seno proprio ai margini dell'ingresso.
Nel pomeriggio cominciò a piovere, prima blandamente, poi in maniera sempre più violenta, i petali dei fiori abbandonati sul selciato cominciarono a cadere recisi dalle corolle imputridendo rapidamente nelle vaste pozzanghere.
Folate di vento repentino scuotevano in maniera paurosa le cime di cipressi che si piegavano rivelando le cime scure dei monti circostanti, i nomi dei defunti vergati da lettere argentee sulle liste viole delle corone di alloro ondeggiavano epilettiche nell'aria frustando le sbarre della cancellata d'ingresso….
Alle dieci di sera il sindaco sfrecciava comodamente inguainato nei sedili in pelle della sua bassa berlina scura, sotto l'ampia volta del cielo stellato. I potenti fari della vettura sportiva ferivano brani di viuzze, poi mulattiere ed infine il lungo vialone del cimitero che precedeva l'ingresso alla strada provinciale che conduceva direttamente all'ampia cascina ove era stata organizzata le sagra.
I pneumatici sportivi laceravano il selciato semi allagato, lanciando schizzi di fango che andavano a imbrattare i tronchi dei cipressi. Improvvisamente, sulla strada si parò una giovane donna allampanata, il sindaco inchiodò bruscamente a pochi centimetri dalla longilinea figura, sobbalzando sul sedile per lo spavento.
Ripresosi da quella improvvisa apparizione, l'uomo si dava ora a esaminare attentamente la silhouette snella e invitante della giovane, supportato dalla luce abbagliante degli accecanti fari della macchina sportiva.
Abbassato il vetro brunito della fuoriserie, si sporse con la testa riccioluta nell'aria gelida ed esclamò con il tono più caldo e rassicurante che conosceva il suo navigato repertorio da playboy: - ha bisogno forse d'aiuto signorina? Si è perduta?-
La ragazza ristette immobile davanti alla vettura, e, senza aprire bocca, si schiuse in ambiguo sorriso, come una ferita d'animale selvatico.
- Ma che sciocco, ora mi sembra di ricordare il suo volto, lei non è forse una delle figlie del dottor Tarozzi? Non è forse iscritta anche lei al concorso di miss? Ma cosa fa così impalata?- proseguì galvanizzato da quel sorriso promettente - salga! Salga pure…. cosa fa lì fuori con questo freddo, la festa è a poche centinaia di metri da qua, potremmo proseguire il viaggio insieme - e così dicendo spalancò la portiera metallizzata-… o magari fermarci a bere qualche cosa da me… per discutere del premio per la vincitrice del titolo… s'intende… né!!..- aggiunse ora con uno sguardo di complicità adulta.
Scivolando impercettibilmente sul selciato la giovane si allontanò invece dal minuscolo lago di luce proiettato dai fari dell'auto, e si diresse decisa verso la cancellata del cimitero attraversando uno scuro corteo di altissimi cipressi, in fondo al viale brillavano febbricitanti i ceri e le sottili candele votive.
Dopo pochi passi fece una semi rotazione del busto, puntò lo sguardo verso il sindaco e con la nivea mano gli fece silenziosamente cenno di seguirla.
L'uomo non aspettava altro, balzò fuori dall'abitacolo e, cercando di mascherare l'eccitazione per l'imprevista e imminente avventura erotica che lo attendeva, iniziò, prima con passi lenti, poi sempre più veloci a raggiungere la giovane, il suo fiato grosso formava nuvolette bianche nel buio tagliente dell'immenso vialone alberato.
- Dentro un cimitero non l'ho mai fatto..!- pensò sghignazzando tra sè e sè.
Sbucata improvvisamente nel cielo, la luna piena gualciva ora i lembi di nubi gonfie di neve, danzando tra la fuga dei cipressi rapaci notturni balzavano di ramo in ramo, poi si appollaiavano sicuri su un ramo e occhieggiavano con pupille rosse verso le due figurine umane che si approssimavano alla cancellata.
Il sindaco aveva quasi raggiunto la giovane che lo fissava come estatica, immobile sotto l'arcata centrale del cimitero ove si stagliava un imponente crocefisso di ferro reso ancora più inquietante dallo sfondo fosforescente del cielo imperlato di luce lunare.
Improvvisamente, pochi metri dall'agognata preda femminea l'uomo si arrestò impietrito dal terrore: come un rovo di voci ora stridule, ora gravi, un soffio di lamenti confusi gli pareva oltrepassassero quella cancellata, le feritoie a forma di croce che bucavano regolarmente l'ampio muro di cinta, le grate drappeggianti le stanze cinerarie a vista sul parco.
Era come un'ondata fredda e flebile di suono d'oltretomba che lo percuoteva nelle sue membra ancora calde e vive.
Poi, da quelle stesse grate gli parve di vedere, ma non ne era sicuro, come una mano molliccia, di un livore vagamente fosforescente aggrapparsi all'inferriata - ma poteva essere benissimo un crisantemo scosso dal vento che ululava dentro i corridoi bui delle stanze sbrecciate in più punti per la scarsa manutenzione, oppure un festone di rose bianche - per quella che pareva essere una pura allucinazione visiva, di spiegazioni l'uomo ne trovò prontamente parecchie.
E quei suoni, sì, quei suoni, ora ne era certo, altro non erano che giochi d'eco provocati dal vento che sibilava tra i marmi, planava sui prati brinati, e arrivava così deformato alle sue orecchie, rese ipersensibili dal fascino macabro del luogo.
Presto rassicuratosi, riprese a camminare e, dopo pochi passi, si trovò faccia a faccia con la donna che nuovamente si aprì in quell'ambiguo e ferino sorriso.
Il sindaco le sfiorò un seno, che sotto uno strano e singolare abito di trina bianco, (solo ora l'uomo se ne accorgeva, di simili abiti gli pareva di averne viste in occasioni delle cresime, oppure… ma no, no non poteva essere) spuntava invitante.
Lei bloccò il suo braccio con una presa debole e gelida e lo indirizzò invece inizialmente verso la fronte dove gli fece disegnare una croce con i polpastrelli, poi verso le sue labbra che sembravano di creta resinosa.
Dopo questa ambigua cerimonia, la donna le diede le spalle e sospinse decisa il cancello, che cedette alla sua pressione come se eseguisse un rituale domestico consolidato da parecchio tempo.
- Deve averne fatta di esperienza la ragazza in questo posto - ghignò il sindaco.
Schermato da un'ampia parete marmorea interamente ricoperta dai nomi dei defunti del paese, il giardino del camposanto continuava a serbare il suo terribile segreto, ma già vaghe e misteriose fosforescenze lambivano il lato esterno della parete riflettendosi su di esso.
Il sindaco, incuneatosi nell'angusto corridoio, registrava sbigottito il cadenzato guizzare delle saette luminose, non capiva - l'intero sistema d'illuminazione di lampade votive non doveva forse essere irrimediabilmente spento dopo il cortocircuito della scorsa settimana?
- Forse qualche tombarolo si dilettava a rovistare tra quelle quattro ossa di montanari?
- Oltrepassato lo stretto budello che immetteva direttamente nell'ala centrale del camposanto, davanti agli occhi del sindacò si spalancò uno scenario terrificante, una macabra apocalisse: centinaia, migliaia di sottili candele votive ardevano tremolanti nelle mani di un folla di persone disseminate a pioggia nell'intero parco, fino laggiù, accanto alla parete nord.
Bambini, anziani, donne, chi seduto sulla propria lapide, chi inginocchiato sulla ghiaia, chi semplicemente in piedi, tutti sembravano mormorare una specie di litania religiosa incomprensibile che si levava alta, paurosa nel cielo.
Inespressivi, cerei, alcuni serbavano nel volto e nel corpo squarci, ferite della vita precedente che, come cicatrizzate solamente in parte, denudavano orribili parti anatomiche: globi oculari giocosamente attraversati da lombrichi terragni, masse cerebrali in putrefazione, cuori ancora pulsanti contesi a morsi da topi in laido squittìo di piacere, muscoli in movimento i cui nervi venivano orribilmente solleticati dal becco arcuato di ispide civette. In quel terrificante lazzaretto di carne macilenta la donna era improvvisamente scomparsa.
Solo, in quell'orribile magma luminoso, osservava atterrito e non aveva ora più dubbi, non era un sogno: erano tutti morti, morti che sorgevano a mezzo busto dai sepolcri spalancati, morti che occhieggiavano lividi dalle cripte turrite, dietro le inferriate delle sale cinerarie, morti che ora cominciavano lentamente, ma inesorabilmente ad avvicinarsi verso la sua persona, unico corpo ancora vivo in un mare di carne cadaverica in putrefazione.
Cominciò ad indietreggiare, urtò una lapide facendo crollare un vaso di fiori che andò in mille pezzi, poi, orribile sensazione tattile, si sentì come avvolgere la mano da un'ondata fredda, abbassò lo sguardo e si ritrovò accanto una bambina, che con un sorriso orribilmente mutilato, mancava tutto il mento e il labbro inferiore, lo teneva ora per mano. Si divincolò da quella mano inorridito, e cominciò a correre, scese degli scalini, si gettò a perdifiato in uno dei corridoi sotterranei del camposanto che ospitavano le urne cinerarie.
I suoi passi echeggiavano remoti sotto la volta buia, respirava a fatica, come in apnea. Ad un tratto vide spuntare dalla parete cineraria braccia livide che ondeggiavano, come rami morti, e in fondo al corridoio, il chiarore di candele che si approssimavano.
Era in trappola, meglio risalire in superficie, di nuovo gli scalini, il primo, poi il secondo, si fermò esausto, alzò lo sguardo lassù, nella notturna volta celeste, ultimo e inarrivabile rifugio per il suo corpo ormai spacciato…
Il corpo del sindaco fu ritrovato la mattina seguente dal brigadiere, pioveva sottilmente nell'alba livida, nuvoloni si addensavano minacciosamente nel cielo -infarto- sentenziò laconico il medico legale, mentre sbarrava l'ultimo barbaglio di luce terrestre negli occhi del sindaco, e ricopriva il cadavere con una cerata gialla.
Nessuno in paese ebbe il tempo di indugiare più di tanto su quella misteriosa morte del primo cittadino, ben altri e più gravi erano i problemi che ora gravavano sull'intero paese: nevicava, la pioggia nevosa cominciata quel mattino, si era presto trasformata in paffuti fiocchi di neve che lentamente stavano letteralmente affogando case e viuzze in uno spettrale silenzio bianco.
Una tempesta di neve insolita, che sembrava inspiegabilmente risparmiare gli altri paesi della vallata accanendosi solo su S.Gregorio. Squadre di villani tentarono invano di liberare il paese da quell'assedio armati di vanghe e pale, ma non c'era nulla da fare, i cumuli di neve spalati dagli usci delle case in meno di un'ora si riformavano più alti e spessi.
Ben presto gli abitanti si arresero e decisero di aspettare che la bufera si placasse, riparati dentro le loro dimore riscaldate dal crepitìo dei camini.
Per giorni e giorni nessuno mise più il becco fuori di casa: pareva un paesaggio irreale, che abbagliava lo sguardo di chi, scostate le tendine delle finestre, guardava se il mondo era veramente finito nella piazza ammantata di neve e sui tetti delle casupole, silenziosi sarcofagi bianchi.
Di notte il turbinio della neve sibilava ululante nei vicoli del paese deserto, premeva contro i portoni delle case, s'insinuava gelido tra le fessure delle finestre che scricchiolavano, urlava tra i vecchi mobili antichi, ninnoli e vetrinette, inducendo le anziane coppie del villaggio a farsi ancora più stretti nel lettone matrimoniale, dove muti e spauriti attendevano insonni che una nuova alba sorgesse finalmente limpida e assolata a S.Gregorio.
Ma il bel tempo non tornò e dopo una settimana nuovi e inquietanti fatti turbarono gli abitanti del paese: se ne accorse per prima una vecchina che, decisasi finalmente ad uscire di casa per vedere come stavano le bestie nella stalla, si accorse che le serrature dei portoni erano bloccate, completamente gelate dal freddo; analoga sorpresa ebbero le altre famiglie che invano tentarono prima di scioglierle con cera bollente, poi di forzare finestre e porte con piedi di porco ed improvvisate leve.
Le riserve di farina e carne cominciavano a scarseggiare nelle credenze e l'ottava notte, mentre le famigliole si preparavano all'ormai abituale cena frugale, come i reclusi di un singolare carcere bianco, la corrente elettrica venne meno in tutte le abitazioni.
Davanti al tavolo della cucina improvvisamente sprofondata nel buio i membri delle famiglie si guardavano terrorizzati mentre lontano, nella sera, un flebile suono cominciò ad udirsi sempre più distintamente, una sorta di litania religiosa che il vento portava e allontanava ritmicamente contro le mura delle dimore gelate.
Qualcuno ebbe il coraggio di avvicinarsi alla finestra, e cancellato con un panno il vapore sui vetri, fissò lo sguardo in direzione del corso centrale del paese: in lontananza, all'imbocco della via, inizialmente comparve un vago tremolare di luce, poi sempre più chiaro emerse una enorme processione di persone che reggevano in mano ciascuno una candela votiva.
A precedere quel misterioso corteo lunare una bimba, che, orribilmente mutilata della mascella inferiore, attraversava sicura la via e schermava con la manina un cero la cui fiamma si riverberava fosforescente sui cumuli di neve e tra le pareti delle case incontrate durante la silenziosa marcia.
La macabra processione si condusse dinanzi a tutte le porte del paese, dove depose una candela sollecitamente smorzata dalla bimba. Nessuno dentro le case osava più fiatare e, quando i morti cominciarono a grattare insistentemente contro finestre e porte, terrorizzate le famigliuole si rifugiarono nei piani superiori rannicchiandosi tutti insieme nel lettone. Ma il terrore non aveva fine, dacché qualcuno cominciò a vedere riflesse nelle specchiere delle credenze, tra santini e rosari, l'immagine pallida dei propri cari defunti schiudersi in un sorriso beffardo…

 

Passarono i mesi e, con l'arrivo della primavera, i primi turisti invasero con torpedoni e auto sportive il paese in cerca di un alloggio per la villeggiatura.
Fiori e alberi rigogliosi drappeggiavano ogni anfratto del paese promettendo giorni di relax e pace, in una cornice montana assolutamente unica.
I primi turisti bussarono prima timidamente, poi sempre più decisi alle porte delle pensioni, ma nessuno aprì: le case risuonavano internamente come gusci vuoti, il paese era completamente disabitato.
Le uniche anime rimaste a presidiare il villaggio sono solamente due: mia moglie, l'anziana erborista e io, l'ex custode del cimitero che le ha raccontato questa storia.
Dopo quella improvvisa rivelazione rabbbrividii, mi asciugai con una mano la fronte imperlata di sudore gelido, e tracannai in un solo fiato l'intero calice di vino rosso, cercando di distogliere per un attimo lo sguardo dai suoi occhi taglienti e oscuri.
- Ancora oggi, nei villaggi vicini - riprese l'oste - qualche anziana riesuma talvolta questa vicenda, ma nessuno parla volentieri di S.Gregorio, e chi lo fa, si segna sempre prima la fronte con il segno della croce, soprannominandolo il paese delle ombre. Alcuni pastori raccontano, giurando e spergiurando, che avvventuratisi di notte con i loro greggi belanti nelle viuzze fantasma del paese, di aver visto dei chiarori di candela dietro le finestre delle case e delle ombre balenare dietro le tendine merlettate, come se qualcuno continuasse ancora a vivere lì dentro murato vivo -.
Ho perso definitivamente l'appetito, l'uomo ha finito di parlare e si ritira nella cucina con il mio piatto di polenta praticamente immangiato; la vecchina spunta per un attimo con uno sguardo severo in sala, poi si ritira furtivamente nelle sue stanze trafficando con chissà cosa.
Mi accendo una sigaretta per rilassarmi, guardo fuori dalla finestra, in direzione del paese: la notte ha invaso completamente la vallata, un cane ulula remoto da qualche villaggio, ho freddo e vorrei essere già a Milano, nella mia monocroma e squallida redazione.
Metto una mano al portafoglio per pagare il conto, quando, con lo sguardo, improvvisamente noto che quel buio compatto è trafitto ora dal riflesso di alcuni quadrati luminosi.. Sembrano essere le finestre delle case, le prime del villaggio. Forse sarà il troppo vino bevuto, ma lì in fondo, ci giurerei, mi pare di scorgere delle ombre danzare inquiete dentro le stanze degli appartamenti, no, non può essere, io sono ateo, mi rassicuro, a queste cose non credo. Vorrei essere già a Milano, nella mia redazione monocroma e ben illuminata.
Devo solo alzarmi e pagare il conto….
Sposto rumorosamente la sedia, ma, improvvisamente, si spengono le luci in sala, sono completamente al buio, il rumore sordo di un portone che sbatte contro gli stipiti, una chiave che gira una, due volte nella serratura: - Clack..Clack…!
- Signor Malfenti! Signor Malfenti!- la mia voce riecheggia solitaria tra le nude pareti della taverna, dove sono finiti tutti? Respiro profondamente, guardo fuori dalla finestra: ha cominciato a nevicare.
Se è uno scherzo, un gioco per rendere più elettrizzante il soggiorno di un turista, certo non mi piace. Improvvisamente, dall'ingresso della cucina mi pare di scorgere un chiarore tremolante di candele.
Qualcuno intona una sorta di litania lamentosa…. Serro gli occhi e inizio a pregare, non mi ricordavo di saperlo fare. La sagoma di una bambina si avvicina nella penombra…

C.B.