L'intera
scomparsa del paese di S. Gregorio, in una delle zone più impervie della Alta Valle
Seriana resta a tutt'oggi un mistero insoluto, a quarant'anni esatti di distanza dai
fatti: un piccolo rebus statistico per i burocrati della Regione Lombardia, una semplice
glossa a margine per gli storici del Folklore rupestre, una cartella clinica inevasa per
gli psichiatri dell'Asl lombarda incaricati di studiare - cito testualmente dal fascicolo
polveroso che campeggia sulla mia scrivania, illuminato dal piccolo lago di luce
epilettico proiettato dalla lampada da tavolo - correlazioni tra movimenti migratori
campagna-città e nevrosi patologiche nelle sacche depressive e compulsive delle zone
montane seriane - Mentre accendo l'ennesima sigaretta facendola brillare nell'oscurità
greve dell'ufficio, sprofondato tra alte volute di fumo sfoglio con cautela da reliquiario
le pagine ingiallite di questo modulo che una settimana or sono ho sottratto da un
archivio dell'Asl regionale, con la complicità di un accondiscendente addetto alle
pulizie opportunamente "oliato".
Nel loro dialetto gutturale e astioso sembrano aver trovato una diversa risposta al
rompicapo (certo meno "scientifica") gli abitanti degli sparuti paesini
limitrofi alla zona dei fatti che, nelle eterne notti di nebbia gelida e compatta che
avvolge come un mantello necrotico viuzze e casette medioevali sul bavero estremo della
gobba montana, riscaldati e ammansiti da un buon litro di Sangue di Giuda parlano
apertamente di "Casus Mephistofelis".
Osservano muti il braciere notturno delle luci occhieggianti dei borghi dalle vallata
dirimpetto e mi additano con uno sguardo grave, improvvisamente snebbiato dai vapori
dell'alcol, una zona della vallata completamente sprofondata nel buio, il paese di
S.Gregorio.
Quattromila seicento ventisette persone tra donne, uomini e bambini interamente cancellati
dall'anagrafe civile nell'arco di soli tre mesi, quattromila seicento ventisette anime
inghiottite nel ventre della vallata in un battito di livide palpebre. S.Gregorio, 1
novembre 2001.
Mentre percorro gli infiniti tornanti che ascendono al monte di S.Gregorio, io anonimo
redattore scaraventato dalla monocroma redazione del mio quotidiano locale in cerca di
strane storie che "solletichino la morbosa curiosità del lettore" (parole del
capo redattore), dal finestrino della mia scassata Peugeot ho improvvisamente avvertito un
lungo brivido freddo penetrarmi nelle ossa, un qualcosa di ostile nella Natura che qui,
sembra esistere silenziosamente come mummificata.
Ma stiamo ai fatti, le cimiteriali cinque W (When? Where? Who?
) che garantiscono un
buon pezzo di fanta-cronaca -
. o almeno
. l'avevo classificata tout-court così
prima di addentrarmi nei risvolti inquietanti della vicenda- ed evitiamo inutili
propaggini d'appendice necro-elegiaca
. Con un minuscolo registratore nascosto nella
tasca interna della giacca di vigogna nera che indosso, raccolgo questa testimonianza
orale dall'anziano proprietario di un agriturismo gastronomico, "Il gufo
bianco", a soli cinquecento metri dal presunto paese fantasma.
Il signor Malfenti, unico abitante sopravvissuto insieme alla moglie Amalia all'improvvisa
"evaporazione" di un'intera comunità montana, davanti a un piatto fumante di
braciole e lenticchie, tra le mura umide del locale mi racconta la sua versione dei fatti
con uno sguardo serio, mentre la notte mista a nebbia comincia a seppellire le mura
"disanimate" del paese e un cane, in lontananza, ulula a chissà chi. Confesso
di aver paura, unico avventore del locale, davanti a queste due ambigue figure che
sembrano direttamente uscite da uno dei tanti ospedali psichiatrici di inizio secolo che
drappeggiavano queste valli, volutamente isolati dalle città in pianura per non turbare
la tranquillità borghese.
L'uomo, di massiccia corporatura, in piedi sull'uscio della cucina affila un grosso
coltello aguzzo per affettati, l'anziana moglie, impietrita nel suo polveroso scranno di
legno, ricama un minuscolo centrino con puntoni d'acciaio rabbrividenti, ogni tanto mi
saetta con rapido e fuggitivo sguardo, il monotono rintocco di un pendolo scandisce il
tempo immobile della notte incipiente - le mie povere pupille
- rimugino tra me e me,
evidentemente suggestionato dal fascino sinistro del luogo - vorrà traforami?
Quanto tempo ci posso impiegare per raggiungere la Peugeot parcheggiata là fuori nel
cortile?
Sguinzaglieranno i cani? Si riaccenderà l'arcaica consolle della mia vecchia Peugeot?
Tutto questo per 1.750.000 lire al mese.
Resoconto scritto della prima bobina della conversazione registrata il 31/10/99:
S.Gregorio, 6 ottobre 1961 Mentre la piccola e spartana sala consiliare del Municipio si
stava stipando di assessori, guardie municipali e uno sparuto drappello di paesani rozzi e
vocianti, il sindaco si attardava ancora nella sua villetta a due piani, una kitch e
holiwoodiana dimora rosa confetto guarnita di finte colonne, archi, e putti, ambiguo dono
ricevuto in cambio di un concessione edilizia allungata con due occhi chiusi ad un
albergatore proprio nel cuore del bosco, zona naturale protetta.
L'uomo sulla quarantina, sempre abbronzato, e impeccabile nel suo completo grigio fumo,
era un noto industriale milanese che proprio all'apice del boom economico italiano aveva
deciso di trasferirsi nella vallata, e reinventarsi nel mestiere di sindaco; noto
biscazziere privo di scrupoli e remore per il patrimonio ambientale montano, il sindaco
aveva, si vociferava, un debole particolare per le donne, per le quali aveva già
dilapidato una valanga di danaro prelevato dalla casa comunale edificando su tutto il
crinale piccole casupole da donare a compiacenti e procaci paesane in cambio di una notte
di passione.
Quando la seduta ebbe inizio, tra gli ordini del giorno il segretario comunale sottopose
immediatamente all'attenzione del sindaco l'annosa questione del cimitero comunale, una
fatiscente e sinistra costruzione posta ai margini del paese, proprio in prossimità del
bosco di abeti.
Dal fondo della sala conciliare si alzarono timidamente due minute figure vestite di fogge
scure che chiesero la parola; erano l'anziano custode del cimitero e una vecchia erborista
del paese, considerata dai villani una povera pazza, che i mocciosi dileggiavano ogni
qualvolta incrociavano per le strade del paese: - Signor sindaco, il temporale della
settimana scorsa ha mandato in corto circuito l'intero sistema d'illuminazione notturna
del cimitero, seimila lampade votive sono spente da quasi una settimana.
- I nostri morti hanno bisogno di quelle lampade - proruppe improvvisamente la vecchia con
gli occhi stravolti iniettati sangue - i bambini morti non possono riposare senza quelle
lampade, piangono e si lamentano tutta la notte, le loro anime hanno paura, l'intera
città dei morti ha paura senza la luce dell'anima. -
- Suvvia, suvvia, smettiamola con queste stupidaggini - inveì dal microfono gracchiante
il sindaco che sommerse così le oscure parole della vecchia, non supportata
dall'amplificazione - non possiamo buttare i nostri soldi per quel tugurio con quattro
ossa
. Al più presto quel cimitero verrà demolito e ci costruiremo una sala delle
feste che ospiterà tutti i turisti estivi della vallata.
- Ma questo cimitero è la nostra storia, la nostra memoria - rintuzzò il custode - qui
vengono ogni giorno gli anziani a piangere e a prendersi cura dei loro cari defunti, quel
cimitero per molti è diventata l' unica ragione di vita, l'unico motivo per alzarsi
ancora dal letto ogni giorno -
Nessuno in sala lo ascoltava già più, mentre le due nerborute guardie civiche
sospingevano l'anziano e la donna con modi spicci fuori dalla sala, nel gelo notturno.
I sessanta milioni previsti per la spesa di riparazione delle lampade votive furono
immediatamente investiti dal sindaco nell'organizzazione di una pacchiana sagra della
porchetta, completa di fuochi d'artificio ed elezione della miss della Vallata, prevista
per la notte del 1 novembre.
Passarono le settimane e, mentre fervevano i preparativi per l'allestimento di palchi,
tavolate, graticole e botti di vino nel luogo in cui si sarebbe svolta la sagra, alcuni
anziani e contadini che passeggiavano dietro le alte mura del cimitero, giurarono e
spergiurarono di aver udito distintamente dei miagolii sommessi simili a lamenti. Il
custode e la vecchia scomparvero dalla circolazione, come risucchiati nel nulla.
- Meglio così - mormorarono in molti nel paese - portavano male -
La mattina del primo novembre l'arrugginita cancellata del cimitero era inesorabilmente
sbarrata, e l'esigua processione di vecchine velate di nero fu costretta a deporre i mazzi
di crisantemi che stringevano gelosamente in seno proprio ai margini dell'ingresso.
Nel pomeriggio cominciò a piovere, prima blandamente, poi in maniera sempre più
violenta, i petali dei fiori abbandonati sul selciato cominciarono a cadere recisi dalle
corolle imputridendo rapidamente nelle vaste pozzanghere.
Folate di vento repentino scuotevano in maniera paurosa le cime di cipressi che si
piegavano rivelando le cime scure dei monti circostanti, i nomi dei defunti vergati da
lettere argentee sulle liste viole delle corone di alloro ondeggiavano epilettiche
nell'aria frustando le sbarre della cancellata d'ingresso
.
Alle dieci di sera il sindaco sfrecciava comodamente inguainato nei sedili in pelle della
sua bassa berlina scura, sotto l'ampia volta del cielo stellato. I potenti fari della
vettura sportiva ferivano brani di viuzze, poi mulattiere ed infine il lungo vialone del
cimitero che precedeva l'ingresso alla strada provinciale che conduceva direttamente
all'ampia cascina ove era stata organizzata le sagra.
I pneumatici sportivi laceravano il selciato semi allagato, lanciando schizzi di fango che
andavano a imbrattare i tronchi dei cipressi. Improvvisamente, sulla strada si parò una
giovane donna allampanata, il sindaco inchiodò bruscamente a pochi centimetri dalla
longilinea figura, sobbalzando sul sedile per lo spavento.
Ripresosi da quella improvvisa apparizione, l'uomo si dava ora a esaminare attentamente la
silhouette snella e invitante della giovane, supportato dalla luce abbagliante degli
accecanti fari della macchina sportiva.
Abbassato il vetro brunito della fuoriserie, si sporse con la testa riccioluta nell'aria
gelida ed esclamò con il tono più caldo e rassicurante che conosceva il suo navigato
repertorio da playboy: - ha bisogno forse d'aiuto signorina? Si è perduta?-
La ragazza ristette immobile davanti alla vettura, e, senza aprire bocca, si schiuse in
ambiguo sorriso, come una ferita d'animale selvatico.
- Ma che sciocco, ora mi sembra di ricordare il suo volto, lei non è forse una delle
figlie del dottor Tarozzi? Non è forse iscritta anche lei al concorso di miss? Ma cosa fa
così impalata?- proseguì galvanizzato da quel sorriso promettente - salga! Salga
pure
. cosa fa lì fuori con questo freddo, la festa è a poche centinaia di metri da
qua, potremmo proseguire il viaggio insieme - e così dicendo spalancò la portiera
metallizzata-
o magari fermarci a bere qualche cosa da me
per discutere del
premio per la vincitrice del titolo
s'intende
né!!..- aggiunse ora con uno
sguardo di complicità adulta.
Scivolando impercettibilmente sul selciato la giovane si allontanò invece dal minuscolo
lago di luce proiettato dai fari dell'auto, e si diresse decisa verso la cancellata del
cimitero attraversando uno scuro corteo di altissimi cipressi, in fondo al viale
brillavano febbricitanti i ceri e le sottili candele votive.
Dopo pochi passi fece una semi rotazione del busto, puntò lo sguardo verso il sindaco e
con la nivea mano gli fece silenziosamente cenno di seguirla.
L'uomo non aspettava altro, balzò fuori dall'abitacolo e, cercando di mascherare
l'eccitazione per l'imprevista e imminente avventura erotica che lo attendeva, iniziò,
prima con passi lenti, poi sempre più veloci a raggiungere la giovane, il suo fiato
grosso formava nuvolette bianche nel buio tagliente dell'immenso vialone alberato.
- Dentro un cimitero non l'ho mai fatto..!- pensò sghignazzando tra sè e sè.
Sbucata improvvisamente nel cielo, la luna piena gualciva ora i lembi di nubi gonfie di
neve, danzando tra la fuga dei cipressi rapaci notturni balzavano di ramo in ramo, poi si
appollaiavano sicuri su un ramo e occhieggiavano con pupille rosse verso le due figurine
umane che si approssimavano alla cancellata.
Il sindaco aveva quasi raggiunto la giovane che lo fissava come estatica, immobile sotto
l'arcata centrale del cimitero ove si stagliava un imponente crocefisso di ferro reso
ancora più inquietante dallo sfondo fosforescente del cielo imperlato di luce lunare.
Improvvisamente, pochi metri dall'agognata preda femminea l'uomo si arrestò impietrito
dal terrore: come un rovo di voci ora stridule, ora gravi, un soffio di lamenti confusi
gli pareva oltrepassassero quella cancellata, le feritoie a forma di croce che bucavano
regolarmente l'ampio muro di cinta, le grate drappeggianti le stanze cinerarie a vista sul
parco.
Era come un'ondata fredda e flebile di suono d'oltretomba che lo percuoteva nelle sue
membra ancora calde e vive.
Poi, da quelle stesse grate gli parve di vedere, ma non ne era sicuro, come una mano
molliccia, di un livore vagamente fosforescente aggrapparsi all'inferriata - ma poteva
essere benissimo un crisantemo scosso dal vento che ululava dentro i corridoi bui delle
stanze sbrecciate in più punti per la scarsa manutenzione, oppure un festone di rose
bianche - per quella che pareva essere una pura allucinazione visiva, di spiegazioni
l'uomo ne trovò prontamente parecchie.
E quei suoni, sì, quei suoni, ora ne era certo, altro non erano che giochi d'eco
provocati dal vento che sibilava tra i marmi, planava sui prati brinati, e arrivava così
deformato alle sue orecchie, rese ipersensibili dal fascino macabro del luogo.
Presto rassicuratosi, riprese a camminare e, dopo pochi passi, si trovò faccia a faccia
con la donna che nuovamente si aprì in quell'ambiguo e ferino sorriso.
Il sindaco le sfiorò un seno, che sotto uno strano e singolare abito di trina bianco,
(solo ora l'uomo se ne accorgeva, di simili abiti gli pareva di averne viste in occasioni
delle cresime, oppure
ma no, no non poteva essere) spuntava invitante.
Lei bloccò il suo braccio con una presa debole e gelida e lo indirizzò invece
inizialmente verso la fronte dove gli fece disegnare una croce con i polpastrelli, poi
verso le sue labbra che sembravano di creta resinosa.
Dopo questa ambigua cerimonia, la donna le diede le spalle e sospinse decisa il cancello,
che cedette alla sua pressione come se eseguisse un rituale domestico consolidato da
parecchio tempo.
- Deve averne fatta di esperienza la ragazza in questo posto - ghignò il sindaco.
Schermato da un'ampia parete marmorea interamente ricoperta dai nomi dei defunti del
paese, il giardino del camposanto continuava a serbare il suo terribile segreto, ma già
vaghe e misteriose fosforescenze lambivano il lato esterno della parete riflettendosi su
di esso.
Il sindaco, incuneatosi nell'angusto corridoio, registrava sbigottito il cadenzato
guizzare delle saette luminose, non capiva - l'intero sistema d'illuminazione di lampade
votive non doveva forse essere irrimediabilmente spento dopo il cortocircuito della scorsa
settimana?
- Forse qualche tombarolo si dilettava a rovistare tra quelle quattro ossa di montanari?
- Oltrepassato lo stretto budello che immetteva direttamente nell'ala centrale del
camposanto, davanti agli occhi del sindacò si spalancò uno scenario terrificante, una
macabra apocalisse: centinaia, migliaia di sottili candele votive ardevano tremolanti
nelle mani di un folla di persone disseminate a pioggia nell'intero parco, fino laggiù,
accanto alla parete nord.
Bambini, anziani, donne, chi seduto sulla propria lapide, chi inginocchiato sulla ghiaia,
chi semplicemente in piedi, tutti sembravano mormorare una specie di litania religiosa
incomprensibile che si levava alta, paurosa nel cielo.
Inespressivi, cerei, alcuni serbavano nel volto e nel corpo squarci, ferite della vita
precedente che, come cicatrizzate solamente in parte, denudavano orribili parti
anatomiche: globi oculari giocosamente attraversati da lombrichi terragni, masse cerebrali
in putrefazione, cuori ancora pulsanti contesi a morsi da topi in laido squittìo di
piacere, muscoli in movimento i cui nervi venivano orribilmente solleticati dal becco
arcuato di ispide civette. In quel terrificante lazzaretto di carne macilenta la donna era
improvvisamente scomparsa.
Solo, in quell'orribile magma luminoso, osservava atterrito e non aveva ora più dubbi,
non era un sogno: erano tutti morti, morti che sorgevano a mezzo busto dai sepolcri
spalancati, morti che occhieggiavano lividi dalle cripte turrite, dietro le inferriate
delle sale cinerarie, morti che ora cominciavano lentamente, ma inesorabilmente ad
avvicinarsi verso la sua persona, unico corpo ancora vivo in un mare di carne cadaverica
in putrefazione.
Cominciò ad indietreggiare, urtò una lapide facendo crollare un vaso di fiori che andò
in mille pezzi, poi, orribile sensazione tattile, si sentì come avvolgere la mano da
un'ondata fredda, abbassò lo sguardo e si ritrovò accanto una bambina, che con un
sorriso orribilmente mutilato, mancava tutto il mento e il labbro inferiore, lo teneva ora
per mano. Si divincolò da quella mano inorridito, e cominciò a correre, scese degli
scalini, si gettò a perdifiato in uno dei corridoi sotterranei del camposanto che
ospitavano le urne cinerarie.
I suoi passi echeggiavano remoti sotto la volta buia, respirava a fatica, come in apnea.
Ad un tratto vide spuntare dalla parete cineraria braccia livide che ondeggiavano, come
rami morti, e in fondo al corridoio, il chiarore di candele che si approssimavano.
Era in trappola, meglio risalire in superficie, di nuovo gli scalini, il primo, poi il
secondo, si fermò esausto, alzò lo sguardo lassù, nella notturna volta celeste, ultimo
e inarrivabile rifugio per il suo corpo ormai spacciato
Il corpo del sindaco fu ritrovato la mattina seguente dal brigadiere, pioveva sottilmente
nell'alba livida, nuvoloni si addensavano minacciosamente nel cielo -infarto- sentenziò
laconico il medico legale, mentre sbarrava l'ultimo barbaglio di luce terrestre negli
occhi del sindaco, e ricopriva il cadavere con una cerata gialla.
Nessuno in paese ebbe il tempo di indugiare più di tanto su quella misteriosa morte del
primo cittadino, ben altri e più gravi erano i problemi che ora gravavano sull'intero
paese: nevicava, la pioggia nevosa cominciata quel mattino, si era presto trasformata in
paffuti fiocchi di neve che lentamente stavano letteralmente affogando case e viuzze in
uno spettrale silenzio bianco.
Una tempesta di neve insolita, che sembrava inspiegabilmente risparmiare gli altri paesi
della vallata accanendosi solo su S.Gregorio. Squadre di villani tentarono invano di
liberare il paese da quell'assedio armati di vanghe e pale, ma non c'era nulla da fare, i
cumuli di neve spalati dagli usci delle case in meno di un'ora si riformavano più alti e
spessi.
Ben presto gli abitanti si arresero e decisero di aspettare che la bufera si placasse,
riparati dentro le loro dimore riscaldate dal crepitìo dei camini.
Per giorni e giorni nessuno mise più il becco fuori di casa: pareva un paesaggio irreale,
che abbagliava lo sguardo di chi, scostate le tendine delle finestre, guardava se il mondo
era veramente finito nella piazza ammantata di neve e sui tetti delle casupole, silenziosi
sarcofagi bianchi.
Di notte il turbinio della neve sibilava ululante nei vicoli del paese deserto, premeva
contro i portoni delle case, s'insinuava gelido tra le fessure delle finestre che
scricchiolavano, urlava tra i vecchi mobili antichi, ninnoli e vetrinette, inducendo le
anziane coppie del villaggio a farsi ancora più stretti nel lettone matrimoniale, dove
muti e spauriti attendevano insonni che una nuova alba sorgesse finalmente limpida e
assolata a S.Gregorio.
Ma il bel tempo non tornò e dopo una settimana nuovi e inquietanti fatti turbarono gli
abitanti del paese: se ne accorse per prima una vecchina che, decisasi finalmente ad
uscire di casa per vedere come stavano le bestie nella stalla, si accorse che le serrature
dei portoni erano bloccate, completamente gelate dal freddo; analoga sorpresa ebbero le
altre famiglie che invano tentarono prima di scioglierle con cera bollente, poi di forzare
finestre e porte con piedi di porco ed improvvisate leve.
Le riserve di farina e carne cominciavano a scarseggiare nelle credenze e l'ottava notte,
mentre le famigliole si preparavano all'ormai abituale cena frugale, come i reclusi di un
singolare carcere bianco, la corrente elettrica venne meno in tutte le abitazioni.
Davanti al tavolo della cucina improvvisamente sprofondata nel buio i membri delle
famiglie si guardavano terrorizzati mentre lontano, nella sera, un flebile suono cominciò
ad udirsi sempre più distintamente, una sorta di litania religiosa che il vento portava e
allontanava ritmicamente contro le mura delle dimore gelate.
Qualcuno ebbe il coraggio di avvicinarsi alla finestra, e cancellato con un panno il
vapore sui vetri, fissò lo sguardo in direzione del corso centrale del paese: in
lontananza, all'imbocco della via, inizialmente comparve un vago tremolare di luce, poi
sempre più chiaro emerse una enorme processione di persone che reggevano in mano ciascuno
una candela votiva.
A precedere quel misterioso corteo lunare una bimba, che, orribilmente mutilata della
mascella inferiore, attraversava sicura la via e schermava con la manina un cero la cui
fiamma si riverberava fosforescente sui cumuli di neve e tra le pareti delle case
incontrate durante la silenziosa marcia.
La macabra processione si condusse dinanzi a tutte le porte del paese, dove depose una
candela sollecitamente smorzata dalla bimba. Nessuno dentro le case osava più fiatare e,
quando i morti cominciarono a grattare insistentemente contro finestre e porte,
terrorizzate le famigliuole si rifugiarono nei piani superiori rannicchiandosi tutti
insieme nel lettone. Ma il terrore non aveva fine, dacché qualcuno cominciò a vedere
riflesse nelle specchiere delle credenze, tra santini e rosari, l'immagine pallida dei
propri cari defunti schiudersi in un sorriso beffardo
Passarono i mesi e, con l'arrivo della primavera, i primi turisti
invasero con torpedoni e auto sportive il paese in cerca di un alloggio per la
villeggiatura.
Fiori e alberi rigogliosi drappeggiavano ogni anfratto del paese promettendo giorni di
relax e pace, in una cornice montana assolutamente unica.
I primi turisti bussarono prima timidamente, poi sempre più decisi alle porte delle
pensioni, ma nessuno aprì: le case risuonavano internamente come gusci vuoti, il paese
era completamente disabitato.
Le uniche anime rimaste a presidiare il villaggio sono solamente due: mia moglie,
l'anziana erborista e io, l'ex custode del cimitero che le ha raccontato questa storia.
Dopo quella improvvisa rivelazione rabbbrividii, mi asciugai con una mano la fronte
imperlata di sudore gelido, e tracannai in un solo fiato l'intero calice di vino rosso,
cercando di distogliere per un attimo lo sguardo dai suoi occhi taglienti e oscuri.
- Ancora oggi, nei villaggi vicini - riprese l'oste - qualche anziana riesuma talvolta
questa vicenda, ma nessuno parla volentieri di S.Gregorio, e chi lo fa, si segna sempre
prima la fronte con il segno della croce, soprannominandolo il paese delle ombre. Alcuni
pastori raccontano, giurando e spergiurando, che avvventuratisi di notte con i loro greggi
belanti nelle viuzze fantasma del paese, di aver visto dei chiarori di candela dietro le
finestre delle case e delle ombre balenare dietro le tendine merlettate, come se qualcuno
continuasse ancora a vivere lì dentro murato vivo -.
Ho perso definitivamente l'appetito, l'uomo ha finito di parlare e si ritira nella cucina
con il mio piatto di polenta praticamente immangiato; la vecchina spunta per un attimo con
uno sguardo severo in sala, poi si ritira furtivamente nelle sue stanze trafficando con
chissà cosa.
Mi accendo una sigaretta per rilassarmi, guardo fuori dalla finestra, in direzione del
paese: la notte ha invaso completamente la vallata, un cane ulula remoto da qualche
villaggio, ho freddo e vorrei essere già a Milano, nella mia monocroma e squallida
redazione.
Metto una mano al portafoglio per pagare il conto, quando, con lo sguardo, improvvisamente
noto che quel buio compatto è trafitto ora dal riflesso di alcuni quadrati luminosi..
Sembrano essere le finestre delle case, le prime del villaggio. Forse sarà il troppo vino
bevuto, ma lì in fondo, ci giurerei, mi pare di scorgere delle ombre danzare inquiete
dentro le stanze degli appartamenti, no, non può essere, io sono ateo, mi rassicuro, a
queste cose non credo. Vorrei essere già a Milano, nella mia redazione monocroma e ben
illuminata.
Devo solo alzarmi e pagare il conto
.
Sposto rumorosamente la sedia, ma, improvvisamente, si spengono le luci in sala, sono
completamente al buio, il rumore sordo di un portone che sbatte contro gli stipiti, una
chiave che gira una, due volte nella serratura: - Clack..Clack
!
- Signor Malfenti! Signor Malfenti!- la mia voce riecheggia solitaria tra le nude pareti
della taverna, dove sono finiti tutti? Respiro profondamente, guardo fuori dalla finestra:
ha cominciato a nevicare.
Se è uno scherzo, un gioco per rendere più elettrizzante il soggiorno di un turista,
certo non mi piace. Improvvisamente, dall'ingresso della cucina mi pare di scorgere un
chiarore tremolante di candele.
Qualcuno intona una sorta di litania lamentosa
. Serro gli occhi e inizio a pregare,
non mi ricordavo di saperlo fare. La sagoma di una bambina si avvicina nella
penombra