Autostop

In una notte cupa, resa ancora più lugubre da un'opprimente foschia, Frank guidava con circospezione procedendo lentamente, quasi a passo d'uomo per non rischiare un incidente a causa della visibilità ridotta.
All'improvviso Frank ebbe un sussulto: gli era parso di scorgere nella nebbia una figura femminile. Aguzzò la vista ed immediatamente frenò: era effettivamente una ragazza quella che gli si parava davanti. Bionda, con addosso un abito da sera chiaro che quasi si confondeva tra le volute lattiginose della foschia: un vestito decisamente poco adatto per una serata fredda ed umida come quella. La ragazza aveva il pollice della mano destra alzato nell'inequivocabile segno dell'autostop. Frank abbassò il finestrino e le chiese: "Serve aiuto?".
"La prego, mi dia un passaggio!", implorò la ragazza. "È tardi ed ho tanto freddo! Sarebbe così gentile da darmi uno strappo in città?".
Frank non ci pensò due volte: aprì lo sportello e fece accomodare la bionda autostoppista nell'abitacolo della sua lussuosa Buick anni Cinquanta. Sicuramente sarà stata mollata dal suo boyfriend dopo una lite, pensò, e in fondo la città dista non più di un paio di miglia. La ragazza disse di chiamarsi Mary e di avere perso la corriera di ritorno da una festa da ballo. Si era incamminata da poco quando aveva visto i fanali dell'auto di Frank farsi largo nella foschia. Pallidissima, sembrava battere i denti dal freddo. Frank si tolse la pesante giacca di lana che indossava e la diede alla ragazza, rimanendo in maniche di camicia: faceva freddino effettivamente, ma era l'occasione giusta per dimostrarsi galante con la bella autostoppista. "Ha freddo, signorina? Indossi questa, la scalderà!".
"Non si disturbi, lei è stato sin troppo gentile!", rispose Mary. Ma Frank era ben deciso a sostenere sino in fondo la parte del perfetto cavaliere: "Non si preoccupi signorina, lei ne ha certamente bisogno più di me!". La ragazza abbozzò un timido sorriso: "Lei è davvero una persona squisita!", disse stringendosi nella giacca dell'uomo.

Frank si compiacque del commento: la sua graziosa ospite sembrava apprezzare le sue premure, e dentro di sé l'uomo cominciava già a progettare un seguito per quell'incontro così casuale. Improvvisamente, alle porte della città, Mary gli disse: "Io sono arrivata, devo scendere!".
Frank strabuzzò gli occhi, cercando di vederci meglio nella nebbia che ormai era diventata un'impenetrabile muraglia grigia: "Come, è arrivata!? Ma qui c'è solo... il cimitero!". Si voltò sulla sua destra per chiedere lumi alla ragazza, ma Mary era scomparsa, lasciando la giacca di Frank sul sedile del lato passeggero. Folle di terrore, Frank lanciò un urlo disumano e perse il controllo dell'auto, che andò a schiantarsi contro un albero posto in prossimità del viale adiacente l'ingresso del cimitero. Alle prime luci dell'alba un carro attrezzi si recò sul luogo dell'incidente ed i soccorritori scorsero il cadavere di Frank, sbalzato fuori dall'auto, che aveva una smorfia di indescrivibile orrore dipinta sul volto.

 

Dissolvenza. Colonna sonora triste ed inquietante. Titoli di coda.
Fabio spense la tv col telecomando, accese la luce e sbuffò: "Mica tanto originale, 'sto film. C'è tutta una letteratura sui casi dei fantasmi autostoppisti, è una storia vecchia come il cucco!".
Giorgio annuì: "E poi quel nome, Mary. La trama è copiata pari pari dalla storia di "Resurrection Mary", la conoscete?".
Stefano, che era il più appassionato dei racconti dell'orrore, fu il più veloce a rispondere: "Certo, e chi non la conosce? La storia della ragazza di Chicago morta investita mentre tornava da una festa, il cui fantasma si fa dare un passaggio fino all'ingresso del cimitero. Praticamente è il prototipo delle storie sui fantasmi autostoppisti. Ne hanno parlato anche Charles Berlitz nel "Libro dei fatti incredibili ma veri" e Jan Brunvand nel suo saggio sulle leggende metropolitane!".
"Beh, mica potete pretendere di vedere un inedito ogni sabato sera!", sentenziò Massimo. In effetti quello era l'immutabile programma del sabato per i quattro amici: dopo il classico "giro" in birreria, si tornava a casa di Fabio per vedere i film dell'orrore che le private trasmettono in seconda serata. A sedici anni, se non hai molti quattrini in tasca, anche una grande città come Milano può offrire poche alternative. E poi in fondo a loro andava bene anche così: appassionati dei fumetti di Dylan Dog, dei libri di Stephen King e dei film di Dario Argento e George Romero, erano dei veri cultori del genere horror. Soprattutto Stefano, che non perdeva occasione di fare sfoggio della sua conoscenza, con quella sua aria fastidiosa da primo della classe. Fabio cominciò a punzecchiarlo: "Figurati se Stefano perdeva l'occasione di fare il secchione anche qui! Non bastasse a scuola...".

 

Ridendo e scherzando si era ormai fatta notte: Fabio, Giorgio e Massimo accompagnarono alla fermata della metropolitana Stefano, che abitava praticamente dalla parte opposta della città. Come spesso accade a Milano in autunno, le strade erano avvolte da una fitta coltre di nebbia. Il cazzeggio quella sera era durato più del solito, ed ormai Stefano aveva perduto l'ultima corsa.
"Merda, e ora come faccio a tornare a casa?", sbottò. I tre amici - che, beati loro, abitavano tutti nei paraggi - lo presero in giro: "Prova a fare l'autostop! Se non ti scambiano per un fantasma autostoppista può darsi che ti caricano su!". Fabio si fece più serio e gli disse: "Dai, se vuoi puoi dormire da me, tanto mio fratello questo fine settimana resta a fare il "botto" in caserma!". Stefano scosse la testa: "Sì, poi i miei mi ammazzano. Non posso manco telefonare, a quest'ora stanno già ronfando beatamente...".
"Per una volta potresti anche evitare di fare il bravo figliolo come al solito!", disse Giorgio con tono di scherno. Massimo, che era il più scazzato di tutti, sorrise beffardamente: "Mi sa che ti tocca proprio l'autostop. Dai, se sei fortunato un fesso lo trovi. Basta che non abbia mai letto il libro del tuo amico Austerlitz, Asterix, o come cacchio si chiama lui...".
"Charles Berlitz!", esclamò Stefano con una punta di sdegno. "Vabbé, quello là", ribatté Massimo che aggiunse: "Visto che sei così esperto, magari gli puoi anche fare uno scherzetto al tipo che ti carica... Sui tuoi libri non è scritto anche come si fa a sparire all'improvviso?".
"Quello farei meglio a chiederlo a te", disse Stefano. "Tutte le volte che non hai studiato e ti caghi sotto per la fifa dell'interrogazione, è come se diventassi invisibile! Non c'è una volta che la prof ti abbia beccato... Ma come cacchio fai?".
"Basta volerlo!", disse Massimo con la sua solita aria da spaccone. "Io desidero ardentemente di diventare invisibile e... puff! Sparito! E la prof se la cucca qualche altro!". Forse risentito per la risposta di Stefano, Massimo decise, con la cattiveria tipica degli adolescenti, di tirare uno scherzo all'amico: ci fu un vociare sommesso con Fabio e Giorgio, e i tre improvvisamente si allontanarono nella nebbia. Massimo disse: "Allora, tutto chiaro? Appena qualcuno ti rimorchia basta che tu desideri di sparire e... ciao!".
Stefano ebbe, forse per la prima volta, un brivido di paura quando vide i suoi amici che si dileguavano nella notte: "Ehi, dove cazzo andate? Non mi lasciate da solo a quest'ora!".
Gli rispose solo la voce di Massimo nella foschia sempre più fitta: "Buona notte Stefano, salutami Asterix!".
"Oh, merda!!!", esclamò Stefano sferrando un calcio rabbioso ad una lattina vuota. Capì che non aveva scelta, doveva farsela a piedi fino a casa o magari sperare che un'anima buona si fermasse a raccoglierlo in quella notte piena di nebbia. L'idea di dover attraversare Milano a quell'ora già non gli sarebbe andata a genio in condizioni meteorologiche normali, figurarsi con quel nebbione londinese! "Begli amici del cazzo quei tre stronzi!", pensò ad alta voce. Certo gli avevano fatto proprio un bello scherzetto, abbandonandolo al suo destino in una notte così!

 

Cominciò lentamente a camminare nelle vie di Milano avvolte dalla nebbia. Di tanto in tanto qualche auto gli sfrecciava vicino, senza dare però la minima idea di volersi fermare. Del resto, pensava Stefano, chi mai potrebbe darmi uno strappo a quest'ora, in un simile scenario da film horror?
Dopo venti minuti, però, la stanchezza cominciava a farsi sentire; la nebbia andava diradandosi e Stefano si disse che in fondo non aveva nulla da perdere: quando vide da lontano una Panda bianca drizzò il pollice e la macchina accostò con un buffo saltello. Il conducente gli disse: "Ehi ragazzo, mi sembra che tu sia nei pasticci! Sali a bordo!". L'uomo indossava un giubbotto con uno stemma cucito all'altezza della spallina destra ed un berretto con la visiera: doveva essere una guardia della metronotte, o qualcosa del genere. Dallo specchietto retrovisore Stefano si accorse che sul lunotto della Panda c'era una grande quantità di vetrofanie, fra cui due in particolare colpirono la sua attenzione: era scritto "Nightmare" sulla prima e "Ghost" sulla seconda.
Gli parve un buon argomento per attaccare discorso, e così Stefano dopo qualche secondo ruppe il silenzio rivolgendosi all'autista: "Lei deve essere proprio un tipo coraggioso!".
"Cosa te lo fa pensare?", gli chiese l'uomo.
"Beh, a parte gli adesivi sul vetro della macchina, che sono troppo tosti... Ma poi, dare un passaggio a uno sconosciuto, di notte, con questa nebbia...".
"Sarebbe il colmo se proprio io avessi paura di qualcuno!", gli rispose.
Stefano fu colpito dall'enfasi con cui il suo interlocutore sottolineò quelle due parole: "proprio io". "Dopo tutto è normale che un metronotte sia coraggioso, no?", pensò fra sé e sé, quasi meravigliandosi dell'ovvietà della sua considerazione. Dopo un breve attimo di silenzio aggiunse: "Probabilmente non le fanno paura nemmeno certe strane storie... Proprio stasera ne ho vista alla tele una del genere... Parlava di un fantasma che faceva l'autostop".
"Io non ho paura di queste cose!", disse seccamente l'uomo.
"Come mai? Lei è sicuro che qualcosa del genere non possa accadere?", gli domandò Stefano.
"Vedi ragazzo - rispose l'uomo senza distogliere lo sguardo dalla strada - questi racconti sono molto ripetitivi e parlano sempre di fantasmi che fanno l'autostop e poi scompaiono improvvisamente nel nulla. A nessuno viene mai in mente, per esempio, che il fantasma potrebbe essere il conducente!".
Sarà stato il freddo o la paura, ma Stefano si strinse nelle spalle, guardò oltre il finestrino alla sua destra e chiese senza troppa convinzione: "E come potrebbe essere possibile?". Si girò dall'altro lato per avere una risposta, ma alla guida dell'auto non c'era nessuno.
Stefano fece appena in tempo a lanciare un grido di terrore che la Panda, ormai senza controllo, cominciò a sbandare ed il ragazzo venne catapultato fuori dall'abitacolo, andando a battere violentemente il capo contro un albero posto lungo il ciglio della strada. La morte fu istantanea.

 

Quando, di lì a poco, un'autopattuglia avvistò il corpo ormai senza vita di Stefano, fu difficilissimo risalire alle cause della morte. Non c'era alcuna auto o moto nei paraggi, né tracce di frenata o qualunque indizio che facesse pensare ad un incidente. L'autopsia rivelò che Stefano era morto per la frattura della base cranica a seguito dell'impatto con l'albero, ma nessuno riuscì a capire la dinamica: era come se lo sventurato ragazzo fosse stato scaraventato fuori da un'auto in corsa che non si era fermata.
Fabio, Giorgio e Massimo, distrutti dal dolore e dal rimorso, si recavano spesso al cimitero sulla tomba dell'amico scomparso, ed un giorno si resero conto che, accanto a Stefano, era sepolto un uomo poco sopra la trentina. Sulla foto indossava un giubbotto scuro ed un cappello con la visiera. Chiesero informazioni al custode, il quale rivelò che si trattava di un metronotte deceduto a seguito di un incidente stradale: la sua auto, una Panda bianca, si era schiantata proprio contro l'albero dove Stefano aveva trovato la morte in quella notte maledetta.

Siro Palladino