Lo stress
che mi aveva attanagliato durante gli ultimi due anni aveva raggiunto ormai un livello
insopportabile.
Non che stessi male fisicamente, tutt'altro, le lunghe sedute in palestra a cui mi
sottoponevo regolarmente avevano dato i loro frutti. No, la stanchezza era puramente
mentale.
La mia professione mi gratificava dal punto di vista economico, ma certo le pressioni e le
continue responsabilità decisonali mi stavano sempre più dirigendo verso un punto di non
ritorno.
Fu così che mi convinsi a staccare la spina e prendere finalmente tre settimane di
vacanza, lontano dal mio ormai consolidato e poco salutare stile di vita. Decisi d'impulso
e pochi giorni dopo, la mia BMW si trovò di fronte all'arco che costituiva la porta
d'ingresso di un paesino di campagna, lo stesso paesino in cui avevo spesso trascorso le
vacanze durante l'infanzia. Sostai nella piazza principale del paese e il mio sguardo
scivolò veloce dal colonnato antistante gli uffici del comune, al bar con i suoi
tavolini, per soffermarsi poi vicino alle panchine in ferro battuto, che si allungavano
lungo tutto il vialetto alberato che proteggeva il piccolo marciapiede.
Erano passati ormai più di vent'anni dall'ultima volta che ero stato lì, ma nulla era
cambiato.
Sembrava quasi che il tempo avesse deciso di fermarsi nel momento in cui avevo salutato il
paese parecchi anni prima, per poi iniziare a scorrere di nuovo nel momento del mio
ritorno.
Le mie narici iniziarono a percepire un profumo di fiori intensissimo e gradevole. Erano
gli alberi di magnolie, quegli stessi alberi che ora ritornavano prepotentemente nei miei
ricordi di bambino, delle vacanze trascorse con la mia famiglia, delle nuotate nel fiume
con i miei amici, della spensieratezza che caratterizzava quella fase della mia vita.
Ancora immerso in questi pensieri, mi avviai distrattamente verso il piccolo alberghetto,
l'unica pensione del paese e bussai alla porta. Dopo qualche secondo essa si aprì
scricchiolando e con mio enorme stupore mi trovai davanti una vecchina minuta, con i
capelli bianchissimi. Mi sembrava quasi impossibile, era lei, la signora Lina, la padrona
dell'albergo, che tante volte avevo incontrato durante la mia infanzia. Calcolai che
essendo passati vent'anni dall'ultima volta che ero stato lì, poteva avere quasi un
centinaio d'anni!
Forse intuendo i miei pensieri, ella mi disse di averne centouno.
La donna si dimostrava incredibilmente lucida e vigorosa per la sua età, ricordandosi
perfettamente di me e della mia famiglia. Mi mostrò velocemente la stanza, mi comunicò
l'orario dei pasti e si congedò.
Mi distesi sul letto e mi assopii. In quel luogo sperduto, quel borgo medioevale così
ancora legato alle tradizioni di un tempo, mi sentivo a mio agio e il mio ultimo pensiero
prima di cadere fra le braccia di Morfeo, fu che avevo fatto la scelta giusta.
Mi sarei accorto solo pochi giorni dopo di quanto mi stessi sbagliando.
Sonnecchiai un paio d'ore, quando fui svegliato da un lieve bussare alla porta. Andai ad
aprire e mi trovai di fronte una splendida creatura. Rimasi senza fiato, aveva un viso
stupendo, i capelli erano biondo platino, quasi bianchi e gli occhi erano di un azzurro
glaciale. Allo stesso stempo però, il suo splendido sorriso era caldo e coinvolgente come
non mai.
Mi avvertì che la cena era quasi pronta.
La ringraziai e prima che si allontanasse verso la cucina le chiesi il nome. Mi disse di
chiamarsi Magnolia.
Scesi in sala da pranzo e mi accorsi che ero l'unico cliente del piccolo albergo. Normale,
pensai, era estate e la stagione dei funghi, unica attrattiva locale, non era ancora
iniziata.
Cenai velocemente, gustando alcune specialità del luogo. La signora Lina era ancora una
cuoca eccezionale. Dopo cena decisi di andare a fare un giro per il paese non disdegnando
l'idea di recarmi all'osteria a bere il bicchiere della staffa e a fare quattro
chiacchiere con il barista. Chissà, magari avrei rivisto qualche mio amico d'infanzia!
Le tenebre stavano ormai calando ed il paesino aveva un aspetto diverso, quasi spettrale.
Non potei fare a meno di notare una certa diffidenza negli sguardi furtivi che mi
rivolgevano i pochi passanti ancora in giro per le strade. Tutto ciò mi lasciò
perplesso; c'era un qualcosa che ancora non riuscivo a focalizzare.
Trovai l'osteria dove mi aspettavo che fosse, anche questa non sembrava aver mutato il suo
aspetto durante il corso degli anni.
Stavo chiacchierando con il barista, quando improvvisamente la mia attenzione si soffermò
su un uomo trasandato, i capelli che una volta dovevano essere stati biondi adesso
tendevano al grigio e l'aspetto generale tradiva i postumi delle numerose sbornie passate.
Poco dopo la mia mente mi lanciò un segnale. Era Jacopo! Il mio migliore amico
d'infanzia! Adesso però sembrava provatissimo e invecchiato come non mai. Mi avvicinai e
cercai di fargli ricordare la nostra amicizia. Sulle prime mi guardò torvo e ringhiò
più di una volta di lasciarlo in pace. Sembrava quasi una belva in gabbia; che cosa era
rimasto di quel ragazzino così allegro e simpatico? Poi vidi un lampo nei suoi occhi e il
viso teso come quello di un cane rabbioso finalmente si rilassò. Fui certo che mi aveva
riconosciuto. Si alzò barcollando e prima di andarsene maledisse i pochi avventori
presenti, il barista e il paese intero. Infine si rivolse a me e mi invitò a stare alla
larga da lì, soprattutto dal vecchio castello e uscì a fatica dal locale.
Il barista mi spiegò che era in quello stato da ormai più di dieci anni, da quando cioè
la sua giovane moglie fu ritrovata senza vita nei pressi del castello del paese.
L'imponente edificio era ormai semi abbandonato da più di cinquant'anni, da quando cioè
la contessa era morta di vecchiaia senza lasciare eredi.
Incurante dell'avvertimento del mio amico, mi recai al castello. Iniziavo a comprendere il
motivo per cui quando eravamo bambini ci veniva impedito di andare a giocare lì vicino.
L'atmosfera era irreale e l'aria sembrava rarefatta, quasi irrespirabile. Superando un
viottolo mi avvicinai alla piccola cappella. Mi bloccai pietrificato quando sentii una
voce sommessa che scandiva una preghiera, quasi a mo' di cantilena. Mi sporsi attraverso
la porticina dell'ingresso ed il mio cuore accelerò i suoi battiti. Era lei! Magnolia,
inginocchiata vicino all'altare, era assorta nelle sue preghiere. Mi riconobbe e ci
fermammo a parlare. Lei mi disse che stava pregando per tutti i giovani che avevano perso
la vita negli anni precedenti. Mi raccontò che negli ultimi decenni erano deceduti molti
ragazzi del villaggio. Strane malattie, incidenti inspiegabili, morti violente e i pochi
sopravvissuti avevano preferito abbandonare quel luogo. Era lei l'unica a essere rimasta.
All'improvviso, come un colpo di fucile, il mio cervello mise a fuoco la situazione. Non
avevo visto un solo giovane nel paese! Ripensandoci, l'età media sembrava essere intorno
ai 70 anni, con alcuni esempi di persone, come la signora Lina, vicine al centinaio.
Magnolia era l'unica eccezione.
Trascorsi con lei i giorni seguenti e subito si instaurò fra di noi un legame di profonda
complicità.
Parlammo a lungo della nostra infanzia, dei momenti spensierati da me trascorsi in quel
luogo, dei nostri sogni e delle nostre aspettative. Mi raccontò che aveva intenzione di
lasciare al più presto il paese, così avaro di emozioni e futuro per una ragazza giovane
e piena di vitalità. Non le sembrava certo allettante la prospettiva di servire ai tavoli
di un albergo per tutta la vita! Mi chiarì inoltre l'origine del suo nome, quel nome
così inusuale che i suoi genitori avevano fortemente voluto in onore dei numerosi alberi
di magnolie presenti in tutta la zona, da sempre oggetto di cure amorevoli e rispettose da
parte dei campagnoli.
La spiegazione mi sembrò ovvia e mi parve quasi di percepire l'intenso profumo di questi
magnifici fiori bianchi attraverso i suoi splendidi capelli.
Evidentemente, però, il destino non voleva riservarmi la tranquillità tanto desiderata.
Il comportamento di Magnolia, mutò giorno dopo giorno. Era strana, alternava momenti in
cui era la solita ragazza di cui mi stavo innamorando, ad altri in cui sembrava sfuggente,
addirittura ostile. Una mattina la incontrai sulle scale dell'albergo e quasi mi ignorò.
La fermai per un braccio, chiedendole spiegazioni, ma lei dalla sua bocca vomitò una
serie di insulti che mi lasciarono sbigottito e pietrificato. I suoi occhi color ghiaccio
erano fiammeggianti. Mi faceva paura.
Alcune ore dopo, invece, la dolcezza sembrava essere ritornata nel suo cuore.
Quella stessa sera Magnolia mancò all'appuntamento che ci eravamo dati. Cercai di non
preoccuparmi e cenai tranquillamente come al solito. Ma lei non arrivava e io cominciavo a
sentirmi inquieto.
Decisi di andarla a cercare. Mi recai all'osteria, feci un salto alla gora e al fiume, ma
di lei non c'era traccia. Sembrava si fosse volatilizzata. Improvvisamente mi balenò
l'idea che forse avrei potuto trovarla al castello, come quel giorno. Corsi a perdifiato
lungo la scalinata che conduceva al tetro maniero e giunsi infine alla cappella.
Lo scenario che si disegnò ebbe lo stesso effetto di un pugno nello stomaco. Vidi
un'ombra che sgattaiolava furtivamente dentro un passaggio fra le rocce, lasciando dietro
di sè una scia rossa di sangue ed un fortissimo odore di magnolia. Vidi un gruppo di
gatti randagi che miagolavano furiosamente contendendosi i lembi della pelle e le
interiora di quello che sembrava essere la carogna di un animale selvatico. Nell'esatto
momento in cui riconobbi che quel corpo straziato apparteneva al mio amico Jacopo, il
mondo intorno a me iniziò a girare vorticosamente e poi sulle mie palpebre calò
l'oscurità.
Mi risvegliai sul piccolo sagrato della cappella. L'ambiente circostante sembrava diverso,
irreale. I gatti ed il cadavere erano spariti, il cielo era rosso scuro intervallato da
profonde venature di nero e lampeggiava. Un rumore assordante mi rimbombava nella testa ma
non sapevo individuarne l'origine. A completare il quadro, che sembrava dipinto da un
pittore maledetto, vi era l'angosciante sensazione che tutto il paese fosse morto.
Non una luce accesa, non una persona in giro. Scesi di corsa la scalinata e con orrore
vidi che tutte le case erano diroccate, come se fossero state abbandonate da decenni. I
rovi e gli sterpi sembravano soffocare ogni muro ed ogni apertura. Cercai di fare ritorno
verso l'albergo ma improvvisamente la terra sotto di me cedette formando una fossa
profonda alcuni metri. Dal terreno sottostante una, dieci, cento mani putrefatte cercarono
di afferrarmi e mi dibattei con tutte le forze residue per liberarmi dalla loro stretta
mortale.
Lottavo, sì, ma ormai stavo per soccombere. Gli orrendi artigli mi laceravano le carni
delle braccia e delle gambe; sentivo che le forze mi stavano abbandonando e urlai.
Fu in quel momento che mi risvegliai madido di sudore nel letto della mia stanza del
piccolo albergo. Avevo sognato! Mi tastai e con sollievo scoprii di essere in ottime
condizioni fisiche. Ricordavo la truce scena dell'omicidio e mi resi conto che qualcuno
doveva avermi riportato all'albergo mentre ero svenuto, ma chi?
Percepii un tenue profumo di fiori proveniente dai miei vestiti.
Cercai di riordinare le idee. Mi dibattevo come se fossi stato prigioniero in una tela di
ragno al confine fra realtà e incubo e non riuscivo a distinguere l'una dall'altro.
Jacopo era morto, barbaramente ucciso e Magnolia non era più tornata. Questa era la
realtà.
Non appena recuperai le forze, mi feci coraggio e decisi di tornare al castello per fare
un sopralluogo. La pozza di sangue sul sagrato faceva orrenda mostra di sè. Mi sforzai di
ignorarla. I miei sensi avvertirono una presenza; mi accorsi che ero seguito. Mi girai ma
non vidi nessuno. Dopo aver vagato attorno all'edificio senza trovare Magnolia, giunsi di
fronte al portone d'ingresso. Valutai che con tutta probabilità non era stato più aperto
dalla morte della contessa e le sue condizioni erano davvero precarie. Proseguii per
alcuni passi quando uno scricchiolio mi fece irrigidire. Mi girai e vidi che il pesante
portone era socchiuso! Guardandomi attorno con circospezione, varcai la soglia ed entrai.
Appena i miei occhi si furono abituati alla penombra, notai lo squallido abbandono di
quello che una volta doveva essere stato uno splendido salone. Improvvisamente percepii un
respiro roco, affannoso e sibilante. Era appena accennato e cercai di individuarne la
fonte.
Veniva da una stanza vicina e man mano che mi addentravo lungo il corridoio lo sentivo
sempre più forte.
Entrai nell'imponente camera. Sembrava incredibilmente spoglia, eccezion fatta per un
letto a baldacchino protetto da quella che sembrava una zanzariera e illuminato fiocamente
da una lampada ad olio appoggiata su un comodino tarlato. Mi avvicinai e scostai il velo.
Cercai di urlare ma dalla mia bocca uscì solo un verso strozzato. C'era una donna distesa
sul letto, era vecchia, vecchissima, con la pelle avvizzita ed il corpo scheletrico. Si
era svegliata.
Mi guardò e sul suo viso si formò un ghigno tremendo ed una risatina soffocata e
isterica uscì dalla bocca. Il suo alito pestilenziale mi toglieva il respiro. Questa
sensazione di disgusto misto a soffocamento venne mitigata e poi sconfitta del tutto
quando all'improvviso sentii un fortissimo profumo di fiori. Mi voltai velocemente. Era
lei, Magnolia. I suoi capelli biondo platino volteggiavano sopra la testa e sul suo viso
si era formata un'espressione diabolica. Ero paralizzato dal terrore mentre assistevo ad
uno spettacolo sconvolgente. Dalla sua splendida bocca uscirono denti lunghi e affilati
come coltelli. Le vene sulle sue mani si rigonfiavano e pulsavano. Le unghie sembravano
artigli di tigre. Tutto il suo corpo si stava trasformando in qualcosa di orrendo e capii
che era pronta a lanciarsi su di me. Ero rassegnato al peggio, quando sul volto
dell'orrendo mostro si dipinse un'espressione di sofferenza e dolore. Lanciò un urlo
acutissimo e crollò a terra, ucciso. Vidi dietro di lei la signora Lina, e vidi un grosso
falcetto conficcato nella schiena dell'essere rivoltante. Contemporaneamente anche la
vecchia adagiata sul letto esalò il suo ultimo respiro, rantolando.
Il suo corpo divenne liquido, poi restarono solo le ossa, che in pochi attimi si
sbriciolarono. Non era rimasto altro che polvere.
Ero sbigottito e disperato. La signora decise che era finalmente giunto il momento di
confessare tutto. Mi raccontò che quella vecchia che io avevo visto era la contessa, e di
un orrendo patto che coinvolgeva gli abitanti del paese. Mi spiegò che la nobildonna, la
quale aveva condotto un esistenza dissoluta dedita a pratiche di stregoneria, sentendo
sopraggiungere la sua ora evocò, per mezzo di un antico rito perpetuato dalle tradizioni
medioevali, il demone delle magnolie, che si diceva essere in grado di prolungare la vita.
Il demone donò longevità a tutto il paese. In tacito accordo però si nutriva dei corpi
e delle anime dei giovani abitanti.
In un attimo compresi che orrenda fine avessero fatto la moglie di Jacopo, tutti i ragazzi
e Magnolia stessa.
Venni anche a conoscenza del fatto che il mio amico fu trucidato perchè aveva capito
tutto, lui, l'unico che aveva avuto il coraggio di sottrarsi a quel patto maledetto.
Gli altri abitanti del villaggio, troppo vili per ribellarsi, da quel momento conducevano
la loro ormai eterna esistenza nel rimorso e nel pentimento di ciò che avevano fatto. I
pochi che tentarono di sciogliersi dal filo psicologico con il quale la contessa,
diabolico burattinaio, li aveva soggiogati, ora giacevano in una tomba. La donna mi
raccontò che il falcetto che aveva utilizzato era stato costruito con un procedimento
ormai sconosciuto da un vecchio fabbro del villaggio e secondo la tradizione era l'unica
arma in grado di sconfiggere il demone. Lo aveva nascosto e custodito gelosamente. La
contessa aveva invano cercato di impossessarsene, temendo che la sua vita si sarebbe
potuta dissolvere se qualcuno avesse ucciso la diabolica creatura da lei evocata.
Al termine del suo racconto ella mi disse che era giunto il momento di far sparire per
sempre nelle viscere dell'inferno quel paese dannato e di pagare per le sue terribili
colpe. Mi intimò di scappare al più presto, se volevo avere salva la vita.
Prese la falce con cui aveva ucciso il demone e si trafisse a morte.
Il castello iniziò a vibrare, come scosso da un terremoto.
Feci appena in tempo a salire in macchina, evitando il crollo delle mura. Ero salvo per
miracolo.
Volevo solo dimenticare, ma non fu per nulla facile.
Come avrei potuto? Avevo vissuto un'esperienza allucinante e allo stesso tempo il ricordo
di Magnolia era ancora vivo.
Trascorsero almeno altri cinque anni prima che decidessi di tornare lì. Ormai non c'era
più alcuna traccia di vita e del paese non era rimasto altro che un cumulo di rovine
sferzate dal vento che soffiava ululando.
Ma aleggiava, immancabile, un forte profumo di magnolie...