Sul mio
tetto, la prima neve d'autunno.
Quando vidi mia madre, quando corsi ad abbracciarla il viaggio lungo e scomodo per tornare
a casa era solo un ricordo: avevo fallito cercando lavoro e fortuna altrove, lasciandola
sola nel bel mezzo di una guerra ....
Ora la sciagurata decisione nemmeno mi pesava più ... Negli ultimi due mesi dentro la mia
testa malata s'era fatta strada la consapevolezza che non valevo niente e che nulla di
importante avrei potuto combinare.
Ero tornato e avrei vissuto giorno per giorno, senza pretese quel pò di vita, anzi avrei
lasciato che lei mi vivesse....
Era felice mia madre e questo per ora mi bastava.
Lei andò a lavarsi il viso e a cancellare le lacrime di gioia, io bevvi del sakè,
scansando la tenda grigia per dare un'occhiata in giardino.
Era lì il cyborg di cui mi aveva tanto parlato: mentre la neve gli cadeva intorno se ne
stava tranquillo e beato a odorare una camelia, come se nessuna guerra fosse mai avvenuta,
come se nulla e nessuno al mondo potesse turbare la sua quiete ....
Mia madre lo teneva nascosto alle autorità da più di sei mesi, rischiando la propria
vita ....
Era finita la guerra tra umani e cyborg .... oramai ai primi restava solo lui da
abbattere, ma mia madre aveva giurato che l'amava come un figlio e che avrebbe fatto il
possibile per impedire che questo accadesse, e quando lei si metteva in testa qualcosa
.... be', sì, era un'ardua impresa farle cambiare idea.
Lo guardavo.
E la mente vagava tra gli orrori di una folle guerra, causata da un cyborg con ... manie
di grandezza. Rividi i cadaveri di donne e bambini tra le rovine delle città, le
astronavi Malcolm dei cyborg sopra la testa della gente in fuga...
Mi chiesi ancora una volta perchè Dio era restato a guardare ...
Rividi il mio medico e riaffiorò la sentenza: "Due, tre mesi al massimo di vita le
restano ....."
Immaginai per un momento l'aldilà e un tunnel di luce infinito
"Vuoi un caffè?"
La voce calda di mia madre, un brivido lungo la schiena e tornai alla realtà.
"No, mamma no."
Decisi di uscire e di raggiungere il cyborg, nessun fiocco di neve ora scendeva.
Il giardino era bello come quando l'avevo lasciato, forse di più; tra mille fiori e
colori una rosa azzurra si stampò nei miei occhi arrossati e ancora stanchi per il lungo
viaggio.
Gli strinsi la mano, era gelida.
"Sono il figlio ..."
"Ti stanno cercando e prima o poi...", non feci neanche in tempo a terminare la
frase ....
"Sento che stanno venendo a prendermi, sanno dove sono ....porta via tua madre se
resta qui uccideranno anche lei ...", parlava sottovoce e continuava ad accarezzare
la camelia ....
"E tu resti qui? Non vuoi fuggire?"
"Quale posto migliore per essere terminato? Voglio morire qui, in questo giardino che
ho curato in tua assenza ... Ho passato giorni a contemplare i fiori più belli .... e ora
ho capito ... ho capito, non posso più fare a meno dell'odore di questa camelia
...." il suo sguardo fiero e sicuro mentre il sole tramontava ..... Avevo paura.
Dei suoi sentimenti.
Del rimorso lancinante che sapevo in lui.
Come aveva potuto pensare quell'"essere" di sovvertire le regole del gioco, di
relegare gli umani in un angolo e di regalare ai cyborg il mondo?
Lo odiai. Milioni di persone erano morte a causa sua, di quel che un tempo era stato.
Gli voltai le spalle e corsi a prendere mia madre per portarla lontano, per dirle del mio
male.
Sapevo quanto era testarda .... non avrebbe mai abbandonato il cyborg
... Preparai una puntura di Brom 6 e , con la scusa di abbracciarla, l'addormentai.
Era tutto chiaro nella mente: avrei affittato coi soldi che mi rimanevano una piccola
astronave Bluster per portare mia madre su Chador, uno dei pianeti più tranquilli del
sistema, .... lì gli umani non l'avrebbero mai cercata, lì sembrava che il sole
tramontasse sempre e lei amava i tramonti più di ogni altra cosa.
Il cyborg mi aiutò a portarla sull'astronave, accennò un sorriso prima di dirmi addio.
Lo lasciai nel suo giardino, lo guardavo dall'alto piccolo puntino in mezzo a un universo
di colori, per un momento, folle pensiero, credetti che Dio fosse in lui, poi mia madre
cominciò a lamentarsi ed io fui prodigo di baci e carezze mentre gli effetti del
sonnifero svanivano e la Terra s'allontanava.
"Dove mi stai portando? Che ne è stato di lui ??" furono le
prime, naturali domande dopo essersi svegliata completamente.
"E' voluto restare in compagnia della sua camelia ..... nel nostro giardino .... Ha
detto che stavano arrivando ...mi ha detto di portarti lontano ...."
Si abbandonò sulla sedia:
"Non dovevamo lasciarlo solo .... lo ucciderano e lo sai ..."
"E noi che avremmo potuto fare?
Avrebbero ucciso anche noi accusandoci di averlo tenuto nascosto ..." le parlavo
senza aver il coraggio di alzare lo sguardo, come un bambino che ne aveva combinata
un'altra delle sue.
"Ma come l'hai conosciuto? Come ti sei potuta ...."legare" a .... a quel
cyborg o qualsiasi cosa sia?"
Mia madre chiuse gli occhi e sospirò, come soleva fare prima di dire qualcosa di
importante:
"E' piombato una notte a casa mia sfondando la porta con le mani insanguinate .....
Avevo il cuore che batteva a mille, pensai che avrebbe ucciso anche me .... invece me lo
vidi cadere pesantemente ai miei piedi ... Stavo per approfittarne e fuggire ma in quel
momento accadde qualcosa che non ti so nemmeno spiegare .... la paura svanì ... sentivo
che non mi avrebbe fatto del male e mi sentivo sola per la tua assenza .... Cercai di
trascinarlo sul divano e ci riuscii.
La mattina dopo lo trovai in giardino che fissava i fiori .... Mi chiese se poteva stare
da me per qualche giorno e da allora non se nè più andato... Non abbiamo mai parlato
molto io e lui, ma era come se mi facesse sentire protetta ...sì, che tu ci creda o no,
la sua presenza silenziosa mi faceva stare bene, non m'importava quel che aveva fatto
...."
Un colpo fece tremare la nostra piccola Bluster.
Mia madre dovette interrompere il suo racconto e si ritrovò con la faccia a terra: una
astronave Poseidon di medie dimensioni ci stava attaccando.... erano probabilmente Frogger
...s ciacalli senza un briciolo di pietà in giro per l'universo ....
Non potevamo difenderci, l'unica cosa da fare era sfruttare la velocità della Bluster e
tentare la fuga ....
Impostai la velocità massima mentre quei maledetti continuavano a colpirci ripetutamente
nella zona rossa del motore Oversonico: mia madre riuscì ad alzarsi e a mettersi al posto
di comando di fianco a me.
Vidi dei segmenti di luce blu sullo schermo, temevo che a quella velocità la nostra
piccola astronave si sarebbe sbriciolata insieme a noi ma ringraziando Dio fummo
proiettati in un baleno lontano da quei maledetti e vicino a un minuscolo pianeta verde di
cui ignoravo persino l'esistenza.
Tirai un sospiro di sollievo e cominciai a cercare nella mia mente le parole giuste per
parlare della malattia e dei due mesi, forse tre di vita che mi rimanevano.
Mi sentivo stanco, senza forze, anche lei era visibilmente provata; mi accorsi
all'improvviso delle sue rughe, provai un forte dolore alla testa e al cuore.
Pensai di tacere: non glielo avrei mai detto.
"Provo a dormire un pò", diedi un bacio a mia madre e mi
sdraiai, Chador ormai era vicino.
Sognai di quel cyborg: gli umani gli avevano legato mani e piedi a due auto ... le
accesero e .... sentii le sue urla, sobbalzai sul mio letto d'acqua col cuore a mille ....
Sudavo freddo ....
Avrei pagato tutto l'oro del mondo per rivederlo accarezzare la sua camelia, per un
momento pensai di ritornare indietro e di costringerlo a venire con noi.
Nessuno meritava le torture che gli umani infliggevano ai propri nemici prima di
ucciderli, tremavo al solo pensiero di quello che gli avrebbero fatto.
"Cosa ti passa per la testa?"
Ancora una volta la voce materna mi salvò dall' angoscia.
Mi è venuto in mente un vecchio detto caduto nel dimenticatoio mamma: "non fare agli
altri ciò che non vuoi venga fatto a te... "
L'atteggiamento di mia madre mi sorprese un pò.
Da due giorni non aveva più parlato del cyborg mentre io lo sognavo tutte le notti ... lo
trovai strano.
Ma lei era una donna forte, mi dissi, una che non si voltava mai indietro. Tutto l'opposto
di me insomma.
Ora riuscivamo a intravedere un piccolo punto rosso sul nostro schermo: Era Chador.
Atterramo a un passo da una montagna dorata.
Chador era come me l'avevano descritto: un sogno, un bel sogno.
Il cielo color porpora di cartoline spedite entrò subito nel cuore di mia madre:
"L'Eden !.... Questo è l'Eden" mi disse con voce flebile.
Indossai un computer KM4 per vedere se nei dintorni c'erano forme di vita.
Nessuna.
Camminammo per circa due clessidre virtuali e mezza, fino a quando il computer ci segnalò
qualcosa, anzi qualcuno.
Era un Tingan, uno degli abitanti di Chador ... alto circa un metro,
con piccole labbra e un occhio solo azzurro mare ....
Ci capiva, capiva la nostra lingua; estrasse dal sacchetto appeso alla vita qualcosa da
mangiare e ci fece cenno di seguirlo.
Un umano un giorno me lo aveva detto ... bastava esprimere un desidero su quel pianeta e
si sarebbe avverato ... ogni sogno sarebbe diventato realtà ... io avevo chiuso gli occhi
ed espresso il mio desiderio .....
Quel Tingan ci portò nel mio giardino .... era come se mia madre l'avesse sempre saputo:
dal cielo rosso lievi i fiocchi di neve ....
Mia madre corse ad abbracciare il cyborg .... io ad accarezzare la camelia caduta dalle
sue mani d'argento....
Adesso ero davvero pronto per vivere due, tre mesi lunghi una vita.
Tra un 'ora mi sveglio,
misuro l'universo
e gli do forma.
Carlo Bramanti (09/03/1974), siciliano d.o.c. è nato ad Augusta, in
provincia di Siracusa. Da un'isola meravigliosa a un'altra altrettanto bella, anche se un
pochino più grande e molto più lontana da noi, in estremo oriente. Il ponte è
costituito dalla grande passione per la letteratura giapponese, e in particolare per
l'haiku breve componimento poetico composto di diciassette sillabe: in tre soli versi
l'Autore riesce a racchiudere un'infinità di emozioni, cristallizzandoli in una sorta di
"istantanea" dello spirito. Ci piace immaginare che proprio dallo studio
accurato di questo raffinato processo di miniaturizzazione espressiva (che non può non
richiamare alla mente l'antica arte del Bonsai) derivi la capacità dimostrata dall'Autore
di sintetizzare emozioni profonde e intense, cristallizzandole in poche righe.
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