Il suo
lavoro consisteva per lo più nell'andare nel posto X, prendere il pacco Y, e portarlo
esattamente nel posto Z. E nel posto Z, una volta effettuata la consegna, doveva far
firmare al destinatario la ricevuta.
Trasportava per la maggior parte gare d'appalti, lettere d'ufficio, piccoli pacchetti
contenenti libri, piccoli pacchetti contenenti chissà quale diavoleria. Ma era un
mestiere che gli piaceva. Oh, se gli piaceva.
Venire a contatto con ambienti diversi avrebbe contribuito a formargli le ossa.
Sissignore, glielo diceva anche suo padre. In quella sua prima settimana di lavoro, per
esempio, aveva girato uffici, ospedali, laboratori, piccoli negozi e sì, una volta era
perfino dovuto entrare in una stazione di polizia.
Il ragazzo era giovane, si chiamava Jack Mitla, e gironzolava per le strade di New York
con una vecchia Vespa. Ogni ricevuta firmata dal destinatario valeva 3 dollari netti, e il
numero di ricevute giornaliere dipendeva unicamente dalla sua velocità nel consegnare la
merce.
Ergo, bisognava correre.
Si trovava nella 59th Street e il traffico stava iniziando a innervosirlo, tanto più che
adesso era vicino al posto X. Era incastrato tra una Wolkswagen Station Vagon e una Buick
piuttosto malandata. Avrebbe voluto scivolare all'esterno e fuggire, ma uno stupido pedone
con degli occhiali neri e spessi, nonchè con un ridicolo ciuffo alla Elvis Prisley, gli
si era piazzato davanti nel tentativo di attraversare la strada. Incrociò il suo sguardo
ed Elvis forse percepì qualcosa dei suoi pensieri, perchè tutt'a un tratto allungò il
passo e superò la sua Vespa.
Jack iniziò quindi un rapido slalom nel traffico, con qualche vettura che inevitabilmente
strombettò il proprio clacson per protesta. Arrivò ad un incrocio e svoltò per la 38th.
Era un tratto di strada abbastanza ampio, ma poco usato, almeno a giudicare dal numero
delle automobili che vi transitavano. Ad ogni modo, il posto X doveva essere a pochi
metri, esattamente al numero...
Qual era il numero?
La Vespa rallentò un tantino e Jack accostò a lato della strada per leggere meglio il
numero civico.
Sul foglietto c'era scritto:
15 East 38th Street
Dr. Spencer
Si guardò attorno e sul fronte opposto della strada trovò quasi
subito il 48. Dopodichè guardò dal suo lato.
23
Rimise in moto la Vespa e costeggiò lentamente il marciapiede più vicino. Trovò il n.
15 poco dopo.
Si trattava di una villetta a due piani e di colore azzurrino che non aveva nulla a che
vedere con i tipici palazzi di New York, quelli con circa un centinaio di appartamentini e
un odioso condominio pronto a protestare accanitamente per ogni cacca di cane trovata in
ascensore. Questa, invece, era chiaramente un'abitazione di lusso. O meglio uno studio, di
lusso, visto che Mr. Spencer era un dottore.
Tutt'attorno c'era un cancello di ferro nero, al di là del quale, prima di salire i
sontuosi scalini che immettevano direttamente nello studio di Spencer, c'era un vasto e
curato giardino. Parcheggiata lì vicino c'era una Mercedes SLK grigio ghiaccio.
Trafficò con il citofono e subito vide che "Dr. Spencer" era l'unica
alternativa possibile.
Spinse il bottone e attese una risposta.
Dopo circa 30 secondi buoni, un attimo prima che si decidesse a bussare per una seconda
volta, il Dr. Spencer chiese:
"Chi è?" la sua voce era stridula, sembrava quasi che stesse parlando in
falsetto.
"Pony Express, signore." disse Jack in modo del tutto automatico.
Il dottore parve riflettere in silenzio per qualche attimo, dopodichè seguì subito il
rumore del cancello elettrico che si apriva.
"Non ti aspettavo così presto, ragazzo" lo rimproverò, con un tono vagamente
severo.
Jack non ci badò ed entrò dentro, domandandosi come mai non avesse risposto la
segretaria.
Parcheggiò la Vespa all'inizio del vialetto d'accesso e lo attraversò
in direzione dello studio. Ben presto si accorse contemporaneamente di due cose.
La prima era che dalla parete esterna, proprio accanto alla porta d'ingresso, spuntava una
volgarissima testa di leone. Dalle sue fauci di pietra veniva un intenso getto d'acqua che
finiva a sua volta in una specie di lavello sottostante.
La seconda, invece, era che qualcuno lo stava spiando da una finestra del pianterreno. Era
non più di una sensazione, ma tuttavia avrebbe giurato di aver visto le tendine della
finestra incriminata muoversi più del naturale.
Ad ogni modo, poco importava. Per quel che ne sapeva poteva benissimo trattarsi di una
sgualdrinella che Mr. Spencer (oh, pardon, Dr. Spencer) si scopava negli intervalli di
lavoro.
La porta si spalancò esattamente nel momento in cui Jack mise un piede sul primo scalino.
Sulla soglia, quasi come un fantasma, apparve il Dr. Spencer.
"Buongiorno, ragazzo... entra." disse, e Jack non se lo fece ripetere.
Era un uomo piuttosto alto e magro e per occhi sembrava avere due fessure scure e
penetranti. Indossava un tipico camice bianco e i capelli, che tendevano ormai al grigio,
erano pettinati all'indietro con cura. Brillavano. Fece da guida al ragazzo e insieme
attraversarono un paio di brevi corridoi (ornati da strane piante tropicali e da foto
incorniciate di Spencer alle prese con qualche pezzo grosso del settore) prima di arrivare
in uno stanzino chiuso a chiave. Il Dr. Spencer estrasse dalla tasca quella giusta e fece
scattare la serratura. Entrarono.
Era un vecchio sgabuzzino che non aveva davvero niente di speciale. Diversi pacchi erano
posati su grossi scaffali sistemati su tutt'e quattro le pareti, e al centro della stanza
(che era non più di 20 m quadri) un piccolo tavolino di legno assunse fin dal principio
una certa importanza. Perchè, al di sopra, vi era poggiato un piccolo pacchetto con su
scritto un nome ed un indirizzo.
"La consegna..." iniziò il Dr. Spencer "é per un certo Ferguson e deve
essere effettuata entro l'ora di pranzo al 22 South della 68th. Si tratta di un cliente
molto importante. Conosci la zona, ragazzo?"
"Sì, credo di aver capito." mentì Jack.
"Devi trattare questo pacchetto con ogni riguardo, figliuolo. Dentro c'è una
dentiera" guardò il ragazzo dritto dritto nelle palle degli occhi "E' merce
delicata".
"Stia tranquillo" disse, e, dopo aver augurato un buon proseguimento di giornata
al dottore, uscì in fretta dallo studio.
Levò la Vespa dal cavalletto e si fermò bruscamente quando si accorse
di aver dimenticato qualcosa.
Oh, merda, la ricevuta.
Doveva assolutamente tornare lì dentro e prendere quella fottuta ricevuta. Altrimenti,
per quella consegna, non sarebbe stato pagato, e questa era una cosa inammissibile.
Assolutamente.
Ripercorse velocemente il vialetto d'accesso per la seconda volta, e stavolta non ebbe la
sensazione che qualcuno lo stesse spiando. Tanto meglio.
Salì di corsa gli scalini e si accorse che la porta era socchiusa.
In ogni caso, per buona educazione, avrebbe comunque dovuto bussare. Spinse il pulsante
del campanello e aspettò che arrivasse il dottore.
Ma, dopo qualche minuto, il Dr. Spencer ancora non era venuto ad aprire. Indugiò sul da
farsi e decise che per il momento avrebbe usufruito della fontana a forma di testa di
leone. Poi, magari, sarebbe entrato con le dovute precauzioni.
Bevve l'acqua avidamente sebbene la mente si trovasse altrove in cerca di una soluzione.
Il leone di pietra sembrava osservarlo e beffarsi di lui, in una espressione folle e
particolarmente incuriosita dai nuovi avvenimenti.
Devo entrare. Non c'è altra soluzione.
Si asciugò l'acqua dalla bocca con il dorso della mano destra, dopodichè si fece
coraggio e spinse l'uscio.
"Dr. Spencer?" chiamò, senza avere una risposta.
Avanzò qualche passo e sentì che dal piano di sopra proveniva, ad altissimo volume, una
musica classica che doveva aver già sentito da qualche parte. Un intenditore avrebbe
subito riconosciuto la "Nona" di Bethoven.
Un modo singolare di svolgere il proprio lavoro pensò distrattamente.
Ecco perchè non ha sentito il campanello.
Gli fu chiaro quasi subito, comunque, che Spencer doveva essere salito al piano di sopra.
Percorse i brevi corridoi che aveva attraversato insieme al dottore, ma anzichè fermarsi
davanti allo sgabuzzino proseguì oltre, e qualche attimo dopo si ritrovò a indugiare per
qualche momento davanti ad un'elegante scala a chiocciola costruita interamente in mogano.
La musica proviene da lì.
Avanzò malvolentieri qualche passò e cominciò a salire.
"Dr. Spencer?" Nessuna risposta. La musica era ancora troppo alta.
Alla fine della scala c'era un altro corridoio, questa volta piuttosto lungo e illuminato
da una fredda luce ospedaliera. C'erano diverse porte, tutte chiuse a eccezione
dell'ultima, cosicchè Jack potè notare in lontananza il giradischi in funzione.
Tutt'a un tratto fu assalito da un'inspiegabile terrore.
Il Dr. Spencer è morto, si disse in tono macabro. L'assassino era in casa e ha aspettato
che me ne andassi per compiere il suo lavoro. Forse era perfino lui che mi spiava dalla
finestra del pianterreno, prima.
Era una situazione da film horror di serie B. In casi del genere il protagonista
continuava a camminare lentamente e ad invocare il nome del dottore, dopodichè, non
ottenendo alcuna risposta, entrava dentro la stanza e scopriva tracce di sangue o
addirittura il corpo orribilmente maciullato dell'uomo che cercava.
Jack continuava ad avere l'immagine mentale del Dr. Spencer steso a pancia in su in una
grottesca pozza di sangue, gli occhi inermi e sbarrati. E cose del genere non aiutavano di
certo.
Avrebbe voluto mettersi a correre, uscire immediatamente da quella situazione che stava
degenerando a poco a poco.
Ma tuttavia continuò ad avanzare, rimanendo così fedele al copione. L'unica cosa diversa
era che non aveva più tutta questa voglia di chiamare a gran voce il Dr. Spencer. E se
l'assassino lo avesse sentito?
Ogni suo passo era estremamente lento. Il tempo si era fermato. Il cuore gli era balzato
in gola.
Adesso si trovava soltanto a pochi metri dalla porta aperta. La sinfonia si sentiva più
che mai, ora, e aveva un non so che di maniacale. Si costrinse ad avanzare ancora. E
ancora.
E ancora.
Finchè il Dr. Spencer non attraversò la stanza, vivo e vegeto come non lo era mai stato.
In mano aveva un attrezzo del mestiere.
Jack sorrise, si sentì terribilmente stupido, ed entrò deciso nella stanza. Spencer era
di spalle ed era chino su qualcosa.
"Salve, Dr. Spencer, ha dimenticato di darmi la ricevut..." si bloccò prima di
finire la frase.
Quel qualcosa su cui era chino il dottore era un uomo ben vestito sulla cinquantina, che
portava capelli brizzolati e che soprattutto era morto stecchito. Era stato messo a sedere
sulla poltrona riservata ai pazienti, guardava in su con uno sguardo vacuo e aveva la
bocca aperta e intrisa di sangue. Jack non vide denti.
Nel frattempo Spencer si era fermato e si era sollevato dall'uomo. Cominciò a voltarsi
lentamente. Quando gli fu di fronte, il ragazzo notò che sorrideva e che scuoteva
lentamente la testa. Nella mano destra stringeva delle pinze sporche di sangue.
"Salve, ragazzo. Non avresti dovuto tornare indietro. Non ne avevi il diritto."
lo informò gravemente.
Jack era ammutolito e, come spesso succede in questo genere di situazioni, paralizzato
dall'orrore.
Il dentista notò che il ragazzo non riusciva a staccare gli occhi dall'uomo, così disse:
"Ah, questo..." e indicò con la mano "E' per un cliente importante, sai?
Anche più di Ferguson, ragazzo mio... Il problema..." si voltò per un attimo dalla
parte dell'uomo seduto, e Jack avrebbe potuto scappare in quel momento e conservare un
certo vantaggio, oh sì che avrebbe potuto, ma disgraziatamente era ancora in pieno stato
di shock. "...E' che non riesco a trovare un molare adeguato..." Sembrò
pensieroso, poi, rivolgendogli un'occhiata attenta, disse "Figliuolo, ti
dispiacerebbe aprire la bocca un attimo?"
Se non altro, questo servì a farlo tornare in sè. Si girò di scatto
e cominciò a correre verso la scala, in un crescendo di orrore che gli faceva sentire le
gambe di piombo.
Alle sue spalle, il dottore tuonò: "Ehi! Dimentichi la ricevuta!"
Jack sentì che il mentecatto assassino aveva iniziato a correre a sua volta, e senza
accorgersene si pisciò nei pantaloni.
Avrebbe dovuto voltarsi e guardare quanto vantaggio aveva, ma sarebbe stato davvero
troppo. L'aver recuperato l'uso delle gambe era già un traguardo più che accettabile.
"Ma insomma, ragazzo, ho una certa età anch'io e non posso starti dietro per
l'eternità."
Jack cominciò a urlare.
Era a metà corridoio, ora, e la paura di essere improvvisamente afferrato per una
caviglia non voleva saperne di lasciarlo stare.
Vedeva la scala di mogano avvicinarsi velocemente, anzi, già gli sembrava di sentire i
propri passi che riecheggiavano rapidi su di essa, quando qualcosa lo colpì alla testa.
Una fitta di dolore gli attraversò l'emisfero cerebrale destro in un lampo, dopodichè
barcollò su se stesso e quasi perse l'equilibrio. Di sfuggita, riuscì a vedere l'oggetto
che lo aveva colpito.
Era una dentiera. Una dentiera appena estratta.
Fece per ricominciare a correre, ma il Dr. Spencer lo afferrò per il colletto della
camicia impedendogli di muoversi.
"L'educazione innanzitutto, ragazzo." e detto questo calò con forza le pinze
del mestiere nella spalla destra di Jack, che urlò di dolore e chiuse gli occhi per un
attimo. Dalla ferita scaturì subito un fiotto di sangue che andò prontamente a finire
sul camice del dottore, peraltro già macchiato di suo.
"Cissss.... Dai, ragazzo, fammi un bel sorriso" Spencer sorrideva febbrilmente
nella sua personalissima corsia d'ospedale. Sollevò nuovamente le pinze e questa volta
mirò al volto.
Prima che la lama si fosse conficcata nella sua carne, il ragazzo la scansò con successo
e, sferrando un gran calcio da terra, colpì il dottore proprio all'altezza dei testicoli.
Questi urlò di dolore e imprecò selvaggiamente.
"Piccolo, odioso farabutto" disse "Sei morto".
Ma Jack sembrava aver preso in mano le redini del gioco. Con un violento scossone spinse
il suo avversario, che cadde giù con un tonfo pesante e quanto mai inaspettato.
La Nona intanto era arrivata al momento culminante.
Il ragazzo, tremando vistosamente, si mosse per fuggire, ma tutt'a un tratto si arrestò e
osservò il dottore che stava rialzandosi lentamente. La spalla gli pulsava dolorosamente
ed era attraversata da una fitta atroce e costante. Con urla ribelli e che di umano
avevano ben poco, Jack tornò indietro di corsa e sferrò un altro gran calcio al polso di
Spencer, facendogli schizzare le pinze ben lontano.
"Maledetto..." disse il Dr. Spencer da terra, e si che adesso sembrava molto
più vulnerabile. Ciononostante digrignò i denti.
Dal canto suo, Jack replicò:
"Brutto stronzo..."
La cosa più saggia da parte sua forse sarebbe stata quella di alzare i tacchi e fuggire a
gambe levate. Ma si sa, la violenza è un pò come la droga. Più ne fai uso e più ne
diventi dipendente.
Il ragazzo colpì di nuovo con la punta della scarpa il mento del dottore, che ruzzolò
all'indietro e finì a pancia in giù, proprio sopra la dentiera. Ma Jack non aveva
finito. Lo afferrò da dietro per il camice e stava per sferrargli un altro calcio, ma
Spencer si voltò di scatto e per la seconda volta gli scagliò contro il suo gioiellino.
Roteò per qualche secondo nell'aria e finì in pieno volto di Jack, che, colpito,
indietreggiò di qualche passo tenendosi il naso sanguinante.
"Avresti dovuto andartene finchè eri in tempo, ragazzo" e detto questo si
lanciò per terra nel punto in cui erano cadute le pinze. Jack si mosse a ruota e in
fretta, ma non abbastanza da impedire a Spencer di raggiungere il suo obiettivo.
"Adesso ti sgozzo" disse, e puntò le pinze contro Jack.
Questi si fermò, improvvisamente disarmato e di nuovo nei panni della preda, e aspettò
di essere caricato.
Spencer, da questo punto di vista, non si fece attendere. Con uno scatto felino si
avventò contro Jack nel tentativo di spaccargli il cuore, ma ancora una volta il ragazzo
si mosse tempestivamente e le pinze lo sfiorarono soltanto.
Colse l'occasione per sganciargli un formidabile destro che ribaltò nuovamente la
situazione. Spencer finì lungo per terra, imprecando, rosso in viso di rabbia e con poca
lucidità mentale. Da un labbro gli fuoriusciva un beffardo rivoletto di sangue.
Stavolta, però, Jack aveva imparato la lezione. Prese a fuggire ininterrottamente, senza
mai guardarsi indietro e rischiando di cadere, per l'eccessiva foga, in un paio di
occasioni. Arrivò alla scala a chiocciola e scese di corsa. Una volta giù, si fermò
giusto il tempo di dare una rapida occhiata alle sue spalle.
Spencer ancora non si vedeva. Be', poco male.
Continuando a correre (ma rallentando un tantino l'andatura) superò lo sgabuzzino e
attraversò i due brevi corridoi che lo separavano dalla salvezza.
Finalmente, dopo un lungo ed imprecisato periodo di tempo, fu davanti alla porta.
Allungò una mano verso la maniglia, ma prima che potesse toccarla si sentì bussare alle
spalle.
Istintivamente si voltò, giusto in tempo per vedersi arrivare in faccia un pesante ferro
da stiro.
Cadde, privo di sensi, al suolo.
Il ragazzo finalmente era steso. Oh, Santa Madonna, ce n'era voluto di
tempo e sudore per accopparlo!
La donna si chinò su Jack, gli prese la mano e gli disse:
"Felice di conoscerti, ragazzo" nessuna risposta dall'altro lato "Mi chiamo
Marta Shevall e sono la segretaria del Dr. Spencer".
Ho 17 anni e naturalmente studio. 4° anno del Liceo Classico a Napoli. Scrivo da quando ero veramente piccolo e come hai avuto modo di vedere me la cavo abbastanza, anche se sono consapevole di dover crescere ancora molto. A dire il vero ho cominciato con la poesia, ma poi ho avuto il buon senso (visti i risultati) di abbandonare. Da sempre fervido ammiratore di Stephen King & Company, ho sentito quasi subito l'immediata necessità di adattarmi al genere. Nn ho intenzione (e francamente spero di nn farmela venire mai) di scrivere cose tipo "trattati" sulla filosofia, sull'etica, sulla politica (Dio ce ne scansi), e via dicendo, perchè sono tutte cose che se discusse con una certa frequenza e intensità, finiscono con l'annoiare di brutto. Mi occupo attualmente soltanto di racconti semplici (possibilmente brevi) che abbiano, naturalmente, un nn so che di inquietante. Penso che scrivere un romanzo lungo e riuscire nello stesso tempo a nn annoiare mai il lettore, sia veramente difficile. Nn ci riesce neanche Stephen King. Be', mi sa che davvero nn ho più nulla da dire, tranne forse che se ti aspettavi cose tipo: "ho già pubblicato un'antologia di brevi storie horror e bla bla bla", devo deluderti. In questo campo sono un perfetto sconosciuto. Tutte le mie cose finora sono state rinchiuse nel famoso cassetto dello scrittore, e francamente non so davvero se ne usciranno mai.