Nota dell'autore: il racconto che state per leggere non è esclusivamente frutto della mia fantasia. L'ho elaborato basandomi sulle visioni di un amico, che nel corso degli anni ha sviluppato un'insana passione per il sadomasochismo e il feticismo più estremi.
L'ultimo
articolo scritto dall'illustre studioso delle perversioni sessuali Irwin Seest fu
pubblicato sul numero 25 della rivista <Le scienze>. Secondo alcuni quell'articolo
dimostrava in maniera lampante che lo stesso Seest era ormai preda della follia, come
molti dei suoi pazienti. Lo scritto verte su una delle perversioni a cui Seest aveva
dedicato gli ultimi anni della sua vita: il masochismo maschile. Ma non si limita a
un'analisi del fenomeno, secondo lo studioso molto più esteso di quanto si possa credere.
No, in esso Seest racconta una strana storia su un luogo di cui gli aveva parlato un suo
paziente.
Il Paradiso, così si chiamava quel luogo. Il paziente, di cui Seest non rivela il nome,
era un masochista all'ultimo stadio. Nessuna umiliazione subita riusciva ormai a
soddisfarlo.
Non gli bastava più bere la pipì della dea, né alcun tipo di sottomissione. E
l'appartamento dove la padrona lo degradava gli appariva come la casa della nonna nella
quale aveva trascorso la sua fanciullezza, caldo e accogliente. Le emozioni provate
inizialmente erano scomparse. Così s'era messo a cercare qualcosa di nuovo, che potesse
ridargli quelle sensazioni che lo facevano impazzire. Un amico che non vedeva da parecchio
tempo, e che condivideva con lui lo stesso ardente, continuo desiderio d'essere dominato
da una donna, gli parlò per la prima volta del Paradiso.
Seest, nel suo articolo, non da nessuna indicazione circa la zona geografica dove si
trova, o si troverebbe, il Paradiso. Riporta però le parole del suo paziente senza
metterle in dubbio, nonostante il resoconto dell'uomo appaia come l'improbabile vicenda di
un film dell'orrore. Questo, secondo gli esperti, confermerebbe che Seest aveva perso la
lucidità dello studioso, per scivolare sempre più nella stessa malattia che cercava di
curare.
Ecco uno dei brani riportati da Seest di ciò che gli disse il paziente. "Il Paradiso
non è facile da raggiungere. In base alle indicazioni del mio amico, però, dopo un lungo
viaggio, vi arrivai. M'inerpicai su una montagna e alla fine d'un lungo cammino vidi,
finalmente, la fortezza entro cui vivevano le magnifiche Dee. Il mio amico non v'era mai
stato, ne aveva soltanto sentito parlare, ma la descrizione sommaria che m'aveva fatto di
quelle meravigliose creature m'aveva in un certo modo preparato a ciò che mi trovai
davanti."
Il paziente, secondo Seest, si rifiutò di precisare l'aspetto di quelle donne che, in
ogni caso, dovevano essere di straordinaria bellezza. Fece soltanto un cenno ai lunghi
capelli biondi, agli occhi di un blu mai visto, della Regina del Paradiso. Sembra comunque
che molte delle Dee non mostrassero mai il loro volto agli schiavi, e che alcune fossero
persino in grado di mutare le fattezze.
Le Dee erano capaci di esaltare la sessualità dell'uomo con giochi erotici
inimmaginabili, e di distruggerlo poi psicologicamente e fisicamente. La loro perversione,
la loro crudeltà non avevano limiti. L'estrema alterigia con cui trattavano gli schiavi,
il disprezzo che mostravano erano reali. Non si trattava d'una messinscena, non venivano
pagate per le loro prestazioni.
Il Paradiso era davvero il loro regno.
"Dopo alcuni giorni che ero prigioniero nel Paradiso," racconta il paziente a
Seest, "assistetti a uno spettacolo che mi procurò un'eccitazione mai provata prima.
Uno degli schiavi, che stava nella gabbia vicino alla mia, venne portato al centro di un
salone, legato a una catena. Noi tutti eravamo distesi a terra, mentre la Dea Regina stava
seduta sul trono. Il suo volto era coperto da un velo, lo splendido corpo invece era quasi
completamente nudo. Uno schiavo era disteso ai suoi piedi. M'aspettavo che le Dee
cominciassero a frustrare lo schiavo, o a picchiarlo. Invece una Dea s'avvicinò, armata
di una scure. Si guardò intorno, fissò noi con sommo disprezzo, infine gettò
un'occhiata alla Regina. Nel salone regnava il silenzio più assoluto. La Regina fece un
cenno, e allora la Dea sollevò la scure e poi la calò, troncando di netto la testa dello
schiavo. Un getto violento di sangue macchiò l'abito della donna, la testa dell'uomo
rotolò ai suoi piedi. Non potevo non provare un orrore nauseante per ciò che era
accaduto sotto ai miei occhi, ma nemmeno impedire al mio membro di irrigidirsi con una
violenza spasmodica. Guardai la testa dell'uomo e a pochi centimetri da essa il piede
della Dea, calzato in un sandalo d'oro. Venni con uno schizzo potente, e lo sperma colò
in rivoli attraverso le mutande, finendo sul pavimento. Una delle Dee se ne accorse e me
lo fece leccare."
Sarti non commenta il terribile racconto del suo paziente. Si limita a constatare che la
follia masochista di certi uomini non conosce limiti, e che nemmeno di fronte all'orrore
si placa. Lo dimostra il crescendo di violenza efferata, di morti atroci cui assistette il
paziente, che ammetteva il proprio disgusto e nello stesso tempo il grande, intenso
piacere provato ogni volta che le Dee massacravano uno di loro. Lo sperma schizzato a
profusione dinanzi allo schiavo triturato in un enorme macchinario, da cui la carne del
poveretto esce a brani, mista a sangue e ossa sminuzzate. La mano che va su e giù, su e
giù, senza fermarsi, mentre è seduto in un'arena e le Dee si accaniscono a colpi di
forcone sul corpo martoriato di uno schiavo. I lineamenti dell'uomo non si distinguono
più, è una maschera di sangue, e lui non riesce a staccare gli occhi.
Riconosce che quelle non sono donne, non appartengono agli esseri umani, sono creature
infernali. Eppure il loro sadismo lo eccita inevitabilmente.
L'articolo di Seest prosegue con un'altra parte del racconto del paziente. "Ad un
certo punto, pur sconvolto, inebriato e distrutto nel morale e nel fisico, mi resi conto
che il numero degli schiavi s'andava assottigliando. Capii che prima o poi sarebbe toccato
a me. Le Dee avrebbero fatto scempio del mio corpo, e gli altri schiavi si sarebbero
eccitati e masturbati nell'assistere allo spettacolo della mia morte, proprio come avevo
fatto io. Provai una paura indicibile. Certo, essere ucciso da quelle creature
meravigliose poteva essere la morte migliore per uno della mia specie, eppure dentro di me
qualcosa si ribellava. Non volevo morire, nemmeno se la mia testa veniva schiacciata dal
piede della Dea Regina. Così decisi di fuggire, e insieme a me fuggì un altro schiavo
che ne aveva ormai abbastanza degli orrori consumati nel Paradiso. Credevamo si trattasse
d'una impresa impossibile d'attuare, invece il nostro tentativo fu coronato dal successo,
pur tra enormi difficoltà. Il viaggio che m'aveva condotto lì fu nulla rispetto a quello
che passammo in quegli interminabili giorni. Infine riuscimmo a ritornare nella società
civile. Da allora non sono più riuscito a guardare una donna senza provare un orrore che
mi sconvolge fin nel profondo della mia mente."
Seest ad un certo punto dell'articolo fa una considerazione: il masochismo è per la
maggior parte degli uomini un gioco che li riporta all'infanzia. Molti di questi uomini
sono degli eterni bambini, che si fanno dominare perché ciò toglie loro la
responsabilità di essere adulti. Non credo che il racconto del mio paziente sia
veritiero, o meglio, credo che quelle Dee meravigliose mettano in scena degli spettacoli
terribilmente reali per guarire gli uomini malati di masochismo. E ci riescono meglio di
quanto ci sia mai riuscito io. Però non ho le prove per dimostrarlo, e fino a quando non
le avrò considererò il Paradiso come realmente esistente, e le morti atroci descrittemi
dal mio paziente come realmente avvenute. L'idea della morte, la paura di essa, può
guarire da ogni perversione.
La considerazione viene smentita qualche riga più avanti, in un brano che sembra una
postilla aggiunta in un secondo tempo. In esso lo studioso usa un tono delirante, da
folle. No, scrive, mi sbagliavo, le Dee esistono e non attuano alcuna messinscena. Sono
davvero esseri venuti dall'inferno. Le ho viste. Sono ovunque. Il Paradiso è il loro
regno, ma a loro non basta più. Presto o tardi domineranno l'intero pianeta. Sanno
ammaliare gli uomini con una sessualità magica, e gli uccidono con una crudeltà
demoniaca.
La direzione della rivista <Le scienze> prende naturalmente le distanze dal discorso
apocalittico e certo poco scientifico fatto da Seest, precisando che l'articolo è stato
pubblicato nella sua interezza per rendere omaggio alla memoria di un grande studioso. Chi
scrive questo racconto vuole però concluderlo evidenziando due fatti, poco considerati
dalla stampa e da tutti coloro che hanno tacciato Seest di follia. Il giorno 20 settembre
un uomo fu trovato morto in una strada di campagna. Era stato massacrato, tanto che si
faticava a ricostruirne i lineamenti del volto. Ho fatto delle indagini, scoprendo infine
che quel poveretto era il paziente di Seest. Da mesi viveva per strada. Seest è morto il
7 ottobre. Non di morte naturale. Il suo cadavere è stato scoperto tre giorni dopo, in un
fosso. Era letteralmente schiacciato. Secondo gli investigatori lo studioso sarebbe stato
investito più volte da un automobile. Anche in questo caso ho fatto qualche domanda in
giro, e sono venuto a sapere che non c'erano tracce di pneumatici sul cadavere di Seest.
Bob Freed ha pubblicato le raccolte "Splashes of blood", "Shudders" e il racconto "The Mercenary". Tra i suoi romanzi (ancora inediti): "Beating for all" e "The dim light". Collabora con i siti Clubghost. it e HorrorCult.com.