Anche
l'ultimo mobile fu caricato sull'autocarro dell'impresa di traslochi. Il vecchio guardiano
si fermò per un attimo ad osservare con aria triste la grande casa che per molti anni era
stata suo luogo di lavoro, lanciò un lungo sospiro e con l'enorme lucchetto che teneva
fra le mani ne chiuse per sempre il portone d'ingresso.
Alcuni addetti al trasloco distrattamente lo sentirono pronunciare alcune parole:
"Che Dio abbia pietà di voi". Poi il vecchio salì sulla sua eterna bicicletta
e più nessuno seppe qualcosa di lui. Quella casa era il vecchio ospedale infantile,
struttura per decenni perfettamente funzionante ma che nel giro di poco tempo aveva subito
un lento quanto inspiegabile degrado. Da alcuni anni solo Mario, il guardiano, era l'unica
persona che ogni mattina entrava in quell'elegante villa del Settecento e ne usciva dopo
il tramonto. Solo gli acciacchi della venerabile età gli imposero la resa. Una resa molto
dolorosa.
E' passato molto tempo da quel giorno e oggi, percorrendo la vicina strada, è quasi
impossibile scorgere la figura del vecchio ospedale ormai inghiottito dalla vegetazione
lasciata nel più completo abbandono. Un luogo divenuto spettrale teatro di mille favole
spaventose ma per qualcuno irresistibilmente attraente.
Come diceva un saggio, sono pochi gli ingredienti per cacciarsi nei guai ... un bar,
qualche birra e tre o quattro ragazzi che non sanno come trascorrere la serata. "Vi
cagate sotto ... conigli!". Riccardo il più spavaldo lancia la sfida. Luciano ed
Enrico non sono del tutto convinti ma sanno che l'onore, specie di fronte alle ragazze, va
difeso ad ogni costo.
"Noi non ci caghiamo addosso!". Meno di un'ora e i fari di
una Golf illuminano la notte davanti a quella che un tempo era la cancellata del vecchio
ospedale ora nient'altro che un ammasso di ferri contorti e arrugginiti divorati dall'
edera. "Abbiamo le pile?" - "Sì ... merda che postaccio!".
I tre avventurieri cercano di nascondere in malo modo i brividi che passano sulle loro
schiene. Un unico pensiero - "... che cazzo stiamo facendo qua?". Riccardo
compie il primo passo e scavalca con un balzo quell'informe groviglio metallico-vegetale.
"Cosa state aspettando?"
Riccardo finge sicurezza ma in realtà sta accusando inaspettatamente il fatto di non
avere vicino i compagni d'avventura. Un lunghissimo attimo di silenzio poi una serie di
rumori disordinati indicano che anche i due si sono decisi ad affrontare l'impresa. Le
torce elettriche illuminano alla meno peggio ciò che un tempo fu un meraviglioso giardino
ora invece reticolo impenetrabile di rami e rampicanti. "Questo è il viale
principale ... si vede la pavimentazione!" - "Andiamo avanti ... qui si passa
meglio".
I tre avanzano lentamente togliendosi dal volto le ragnatele tese fra una fronda e l'altra
... "ragni di merda!".
Una miriade di falene danza attorno ai fasci di luce mentre tutt'attorno un inquietante
silenzio.
"Ma da quanto tempo stiamo camminando?" - "Quanto è lungo questo
viale?". Nessuno ha la concezione del tempo trascorso ... forse pochi minuti ma tutti
hanno la sensazione di essere lì da ore.
"Ragazzi dove cazzo stiamo andando?" - Enrico comincia a dubitare dell'impresa.
"Ormai siamo arrivati ... non sarà mica lungo dei chilometri sto viale ...".
Improvvisamente, quasi per incanto, la nera sagoma del vecchio edificio appare a pochi
metri dai tre esploratori. "Cazzo ... non me l'aspettavo ... mi ha preso un colpo
porca puttana!". Enrico impreca mentre gli altri due rimangono muti per la sorpresa.
"E' enorme ...!". Riccardo tenta di fare lo spiritoso: "Forse vediamo un
fantasma ...!" - "Vaffanculo stronzo!" - Non è il momento per le storie di
paura. Ora il silenzio è veramente tombale. Ognuno vorrebbe parlare ma ci si rende presto
conto che ciò che trattiene in gola qualsiasi rumore è la paura. Una paura fottuta.
Luciano ha i nervi a fior di pelle. "Adesso torniamo a casa". Nessuno tuttavia
muove un muscolo. La lugubre dimora esercita sui tre un fascino tenebroso. Le finestre
sbarrate, le grondaie pericolanti, la muffa sui muri. Tutto ciò è un seducente richiamo
per i tre giovani la cui immaginazione cerca di penetrare quelle antiche mura alla
scoperta di chissà quale mistero. Vengono alla luce le paure dell'infanzia ... il lupo,
la strega, il buio ... chissà che buio là dentro. Voglia di tornare indietro ... voglia
di cercare un passaggio che conduca all'interno. Nessuno parla. Il cuore batte fortissimo
su quell'andirivieni di emozioni contrapposte.
Forse un topo muove un cespuglio, i ragazzi a stento trattengono un grido. Riccardo
finalmente toglie del tutto la già traballante maschera del temerario ...
"andiamocene di corsa!". Ma i suoi amici non lo stanno ascoltando. Ora nel buio
le fronde si muovono sempre più violentemente. Non sono topi quelli là. I ragazzi
sentono che qualcosa si avvicina e la paura comincia a trasformarsi in terrore. Le torce
illuminano la calma più totale ma qualcosa o qualcuno in distanza si sta muovendo là
dove le luci non potranno mai arrivare. "Dio ... cosa facciamo ora?".
La razionalità lascia subito il posto all'istinto, quell'istinto che porta ogni creatura
vivente a cercare la salvezza.
Nessuno riesce a capire come sia potuto succedere, c'è un istante di buio che impedisce
di ricordare. "Come abbiamo fatto ad entrare?". Fuori nessun rumore e le luci
sempre più deboli illuminano le pareti del vecchio ospedale. "Cazzo ... come abbiamo
fatto ad entrare?". Enrico continua meccanicamente a ripetere la stessa domanda.
Riccardo si guarda attorno inebetito mentre Luiciano accovacciato a terra singhiozza come
un bambino.
Finalmente un attimo di lucidità. "Ragazzi qui qualcuno ci sta facendo uno scherzo
... adesso usciamo e gli rompiamo il culo!". Parole che portano una ventata di
energia destinata tuttavia ad esaurirsi immediatamente quando Luciano smette di piangere
...". Ma da dove siamo entrati?".
Le torce elettriche assomigliano a deboli candele e le tenebre di quella casa stanno
inghiottendo rapidamente i suoi occupanti. "Ci siamo persi ... ci siamo persi!".
I cuori stanno per esplodere e i tre amici si stringono fra loro quando il buio vince
definitivamente la sua battaglia.
Ora il silenzio è veramente irreale, sembra di essere sospesi nel vuoto. Poi lentamente i
ricordi riaffiorano dalla nebbia del terrore. Il portone che cede alla spinta furibonda,
la fuga a perdifiato in sale tutte uguali, la breve sensazione di essere al sicuro.
Improvvisamente un fruscio, poi un altro accompagnato da un sospiro, tanti sospiri.
Riccardo, Enrico e Luciano capiscono, paralizzati da un lucido e inaudito terrore, di non
essere soli. Purtroppo non è uno scherzo. Un'esplosione di urla disumane poi il nulla.
Riccardo apre gli occhi risvegliandosi da un sonno senza sogni. La vista è appannata ma
sufficente per scorgere la sagoma di una piccola finestra dalla quale sta entrando la
grigia luce dell'alba. Capisce di essere steso al suolo mentre le idee faticosamente
cominciano a riordinarsi. Vorrebbe chiamare i suoi amici ma dalla bocca fuoriesce un
flebile rantolo. Il torpore del risveglio viene subito scalzato da un'ondata di
disperazione. Vorrebbe muoversi ma nessun muscolo risponde; solo la vista è l'unico senso
in grado di aiutarlo. Gli occhi si riempiono di lacrime quando all'improvviso sopra di lui
appaiono come fuoriusciti dal nulla, i misteriosi abitanti di quella villa. Riccardo non
ha neppure la forza di avere paura ma solo il tempo di ricordare una delle mille leggende
nate dopo l'abbandono del vecchio ospedale. Una leggenda carica di tristezza che parlava
di bambini orribilmente deformi nascosti alla derisione del mondo dei normali e rinchiusi
per sempre nei sotterranei dell'ospedale. Non era una leggenda. Ora Riccardo prova solo un
profondo senso di pietà per quelle creature dimenticate e non sente dolore quando i primi
denti fanno strazio delle sue carni. Qualcosa dovranno pur mangiare.