L'airone

Non so come possa essere accaduto, né perchè. Presunzione, forse eccessiva ambizione o, molto più probabilmente, solo disperazione. Se mi fermo a pensarci, potrei dubitare anche che tutto sia semplicemente nato dal mio urgente bisogno di denaro e dalla volontà di riscattare una vita un pò troppo fallimentare, almeno agli occhi di chi non sapeva più apprezzarmi. Se devo dire la verità, non mi piacevo un gran che e non mi piaceva la mia vita. Kate me lo diceva sempre, nei momenti in cui l'alcol le tirava fuori tutto il suo cinismo: - Sei un fallito, un buono a nulla ... Lo scienziato pazzo che non sa fare di meglio che passare il giorno fra aggeggi da paranoico e uccelli spennati! Intanto fa patire la fame alla sua famiglia! ...
Anche Jenny, quando la mamma mi gridava così, o di peggio, mi osservava con quei suoi occhioni curiosi di bambina e si chiedeva che razza di papà avesse. Me lo domandavo anch'io, ormai. Per questo avevo voluto tentare l'impossibile. C'è una ragione per cui Kate parlava di "uccelli spennati" ma per spiegarla devo tornare a circa due anni fa. Trentacinque anni non mi sembrano poi tanti per essere un ricercatore di biologia con all'attivo tre corsi annuali e quattro testi sulle "nuove frontiere dell'evoluzione" che avevano anche riscosso un certo interesse fra gli accademici. O forse sì? L'università in cui svolgevo il mio lavoro, il "Lincoln Institute" di San Antonio, Texas, non era certo fregiata di prestigiosi riconoscimenti federali e sicuramente non era in cima alla lista degli istituti a cui il governo intendeva elargire nuove sovvenzioni a tempo breve. Ma era un istituto dignitoso e considerato, ed il suo dipartimento di biologia era il fiore all'occhiello di tutti gli stati del Sud.

Comunque, per noi scienziati, o sei davvero "qualcuno" o fai la fame. Un complesso insieme di fattori determina il successo di uno scienziato, se posso parlare di successo come se la ricerca scientifica fosse una sorta di hit-parade in camice bianco, ed il valore personale non è, credetemi, fra i primi. Bisogna adattarsi ad un sistema, sia che si faccia parte del "Gotha" della scienza oppure delle sue diramazioni. Schierarmi con quel gruppo di ricercatori che mette in discussione radicalmente la tesi darwiniana dell'evoluzionismo mi aveva creato non pochi nemici ed è già tanto, ritengo, quello che ero riuscito a conquistarmi, in termini di "spazio vitale", al Lincoln Institute. Ma questo Kate non lo capiva. Lei, poveretta, capiva solo le ingiunzioni di sfratto ed i vari conti da pagare. Così, un giorno, un giovanottone dai capelli rossi ed occhialini rotondi riuscì a convincermi di tentare.
Vedete, nei laboratori dell' università, ogni anno, in autunno, qualche uccello migratore veniva tenuto sotto osservazione per effettuare studi sui complessi sistemi bio-chimici del loro cervello che consentivano ad un intero stormo di ritrovare sempre la rotta giusta e di volare in perfetta sintonia. Quell'anno era stata la volta di un airone rosso, uccello protettissimo dalle autorità federali. Ci era stato concesso solo per una settimana, prima di riconsegnarlo agli organi forestali della California, fra le cui paludi l'airone rosso nidifica volentieri.
Gli aironi sono uccelli bellissimi. Volano sempre con il collo ad S e, se camminano, lo tengono teso, dritto in alto. Jack, come avevamo chiamato il nostro esemplare, era probabilmente ansioso di riunirsi al suo stormo per partire per lidi lontani, forse a Sud, nel Messico, o ancora più lontano, nell'America Latina o addirittura oltre l' oceano.
Il nostro esperimento aveva qualcosa di pazzesco, anzi, ora posso dire con certezza che ERA pazzesco. Se funzionava una certa "sostanza" di cui mi magnificava le doti psichiche quel matto di Billy Travers, il giovanottone di cui sopra, un allievo fin troppo sveglio ed intelligente ma irrimediabilmente immerso in un mondo del tutto suo, avrei probabilmente fatto una scoperta eccezionale. Forse mi sarei perfino meritato un Nobel per la Biologia, anche se il mio obiettivo non era prettamente attinente alla biologia. Comunicazione diretta e corrisposta fra uomo ed animale ... Avevo sentito dire che, per via di certe sostanze chimiche presenti nel cervello di quasi tutti gli uccelli migratori, è possibile che si verifichi, a livello di stormo, di comunità, una sorta di telepatia che risulta loro preziosa durante gli spostamenti effettuati in gran numero nei periodi di migrazione. Mark Bellini, ad esempio, un ricercatore del Dipartimento di Scienze Biologiche e Chimiche di Houston ne era convinto ed altri, nella sua scia, avevano eseguito interessanti esperimenti. Ma ci volevano laboratori attrezzati ed una buona dose di appartenenza all'entourage di un nome rispettato per effettuarli. Singolarmente, io, non ero nessuno. Billy Travers, però, un ragazzo eccezionalmente spontaneo che fin dal primo anno di corso mi considerava più un amico che un insegnante, era convinto della sua "scoperta". Ogni anno, al momento di accettare un nuovo "ospite" alato nei laboratori dell'università, lui mi piombava letteralmente alle spalle e, ammiccando con fare complice, mi sussurrava in un orecchio: - Allora, professor Thomas Fenton, ci proviamo? ...
Per tre anni ero riuscito a resistere alle sue lusinghe ben studiate psicologicamente. In primo luogo, mi preoccupavano le implicazioni legali della proposta di Billy ed in secondo luogo non ero affatto convinto che la cosa avrebbe funzionato. Ma quel dannato ragazzo sapeva sempre come stimolare i punti più sensibili della mia personalità, era capace come nessun altro di intuire le parole più efficaci, per me, in un determinato momento. Credo che sarebbe stato un ottimo psicologo e, quell'anno, riuscì a far fruttare questa sua capacità. In poche parole, Billy sosteneva che mescolando insieme una determinata dose di uno psicofarmaco che, per prudenza, non nomino ora ed un'altra di LSD ed assumendone per via orale una determinata quantità, si sarebbero potuti ottenere straordinari risultati telepatici con gli animali. Appena me lo disse non potei fare a meno di sorridere bonariamente, ma la sua immediata e tenace insistenza mi fecero subito capire che quel ragazzo non stava affatto scherzando. Diamine, la prendeva proprio sul serio. Billy disse che, in seguito ad una specie di "esperimento" sugli stati alterati di coscienza indotti da sostanze chimiche, si era messo accidentalmente "in contatto" con il suo gatto e che l'esperienza che ne derivò fu per lui sconvolgente. - Queste sostanze psicogene, nella giusta proporzione - mi disse un giorno con il fervore che gli era consueto - non mi hanno fatto parlare con il gatto, mi hanno fatto diventare un gatto! - Disse che, ripetendo altre volte l'esperimento, aveva sempre sperimentato uno stato eccezionale di "felinità" una conseguenza del quale era riuscire a capire i pensieri del gatto con un linguaggio fatto sia di sensazioni che di istinto. Aveva scoperto, a suo dire, che gli animali comunicano continuamente fra loro e che non esistono mai, nella loro realtà, veri momenti di silenzio. Un'altra volta disse che aveva "interagito" con il canarino di sua sorella da un punto di vista estremamente felino: lo "desiderava" con tutto il suo essere e si ritrovò ad avvicinarsi al piccolo volatile con tutte le tipiche strategie del predatore. Dall'altra parte, aveva perfettamente percepito la paura e l'allarme del canarino e, oltre ad esse, la sua "richiesta" di risparmiarlo, di avere pietà.
Fui sempre convinto che Billy non facesse altro che seguire uno dei tanti stati di "sogno" indotti dalle sostanze stupefacenti. E c'è da dire che Billy di stupefacenti se ne intendeva. Inoltre, non mi convinceva quel suo antropomorfizzare le istintualità animali. Chiedere pietà, in fondo, è un elaborazione comportamentale prettamente umana. Probabilmente Billy interpretò così lo stato di soggezione e di sottomissione del canarino. E poi, in lui c'è sempre stato un che di felino, dietro quegli occhialini tondi. Questa e tante altre considerazioni non smossero minimamente la convinzione del giovane che, ogni anno, ci riprovava con me. A lui nessun altro avrebbe creduto: ex tossicodipendente, carattere difficile e studente del tutto imprevedibile, non era quello che si sarebbe potuto propriamente definire uno che aveva le carte in regola per essere preso sul serio su un argomento come quello, dove, per di più, si aveva a che fare con l'LSD.
Cosa disse per convincermi a provare? Nulla di più, in fondo, di ciò che aveva sempre fatto: insistere. La verità, probabilmente, era che io non possedevo più alcuna ferrea certezza. Cosa rischiavo, dopo tutto? Nessuno se ne sarebbe accorto. Billy diceva che l'effetto durava solo pochi minuti dopo i quali ci si ritrovava intontiti ma assolutamente integri nelle proprie facoltà di intendere e volere. Non c'era nemmeno, a suo dire, il rischio di dipendenza. Bastava non farsi prendere la mano ... Le benzodiazepine contenute nello psicofarmaco e l'LSD erano in grado, secondo la teoria di Billy, di condurre la nostra consapevolezza nel "piano di coscienza" specifico dell'animale con cui si era a più stretto contatto al momento dell 'esperimento, una sorta di spostamento in una diversa dimensione. Billy fu letteralmente elettrizzato dalla prospettiva che io potessi verificare di persona la sua "scoperta" e mi aiutò ad organizzare tutto con entusiasmo. Io avevo posto le mie condizioni, anzi, LA mia condizione: che la prova venisse effettuata al di fuori dell'ambiente universitario. Era del tutto logico, per me, e Billy non si oppose affatto. E' sempre stata mia opinione (ed ora più che mai) che l'ambiente universitario fosse il meno adatto per sperimentare a fondo e globalmente qualsiasi cosa avesse a che fare con la psiche o con il pensiero, due concetti che non si potranno mai rimpicciolire negli angusti spazi artificiali di un laboratorio. Billy mi chiese solo di consentirgli di riprendermi con la videocamera durante l' esperimento. Non fu molto logico, invece, scegliere Jack, l'airone prestato all'Istituto, per tale scopo. Infatti Billy mi consigliò perlomeno una decina di animali alternativi, dal suo gatto ad uno dei cavalli di un allevatore della zona. Io, però, sentivo una strana attrazione per Jack, l'airone rosso. Avevo passato parecchie ore con lui, in laboratorio, ed in quelle ore, mentre gli applicavo dei fastidiosi sensori elettronici sul capo o mentre lo osservavo di nascosto da dietro un vetro, il mio sguardo cadde più volte nei suoi occhi, in quelle grandi pupille scure. Era particolare la sensazione che percepivo, quasi una sorta di comunicazione fra me e lui che correva su canali sconosciuti. Jack mi conosceva, mi distingueva, quando mi avvicinavo a lui. Ma chi o che cosa percepiva, oltre all'uomo che aveva di fronte? Cosa si aspettava da me, cosa voleva comunicarmi fissandomi così insistentemente? Ed anche quando non sapeva della mia presenza, cosa "pensava" con quegli aggeggi attaccati sulla testa? ... Pensai che, per quanto remota fosse la probabilità di comunicare con Jack, come mi assicurava Billy, io glielo dovevo, a quel pennuto: dovevo, almeno, chiedergli scusa ... Jack era calmo, non mostrava particolare apprensione. Così pensammo di condurlo nel pollaio dismesso della madre di Billy, in una casa di campagna che la sua famiglia abitava d'estate. La recinzione era abbastanza alta da garantire che Jack non se ne volasse via e l'aria aperta, a nostro parere, avrebbe favorito l'esperimento. Avevamo sottovalutato la potenza contenuta nelle fragili gambe di un airone ... Quando fummo pronti, tutti e tre (Jack ed io nel pollaio e Billy al di là della recinzione) aspettammo per qualche minuto che l'airone si abituasse al nuovo ambiente. Vagò pigramente qua e là, poi si fermò, pur mantenendo estremamente vigili e mobili lo sguardo ed il capo. Fu in quel momento che fui preso dall'assurdo.
Come in un filmato rivisto velocemente alla moviola, mi si presentarono alla mente tutte le cose che non volevo facessero piu parte della mia vita. Dettagli, abitudini, volti di una quotidianità frustrante scorsero nel mio cervello per lunghi, interminabili istanti. No, no, non aveva più senso tutto ciò. Kate aveva ragione: io ero solo un fallito, un buono a nulla ...
Mentre Billy mi guardava incuriosito, iniziai a riempire un foglio di scrittura. Scrissi per un buon quarto d'ora spiegando al ragazzo che stavo prendendo appunti. Poi mi avvicinai a Billy che, al di là della rete, attendeva mie istruzioni. Gli chiesi di porgermi un bicchiere d'acqua. - Quante ne hai, li? ... - gli chiesi indicandogli una tasca. Billy mi guardò stupito. - Di cosa, di pasticche? Dieci ... Ne ho dieci, oltre a questa che ho in mano. - Dammele ... Tutte ... - gli dissi con il tono più serio che riuscii ad esprimere. Billy sorrise e fece un passo indietro scuotendo la testa: - No, professor Fenton, non è possibile. Non sappiamo cosa può succedere. Tesi la mano verso quel ragazzo che mi appariva, all'improvviso, come il figlio che avevo sempre desiderato e la voltai all'insù, in attesa, senza dirgli altro.
Lo fissai intensamente negli occhi. Billy capì. Estrasse dalla tasca una scatoletta di latta per pastiglie, l'aprì e me la porse lentamente. Non distolse mai il suo sguardo dal mio. Tremava ma aveva capito, con grande acutezza, che non avrebbe potuto contrastare in nessun modo la mia decisione. Presi le undici pastiglie e le deglutii insieme all'acqua. - Grazie ... - dissi a Billy sorridendo. Poi andai a sedermi di fronte a Jack mentre Billy correva via, verso l'auto che avevamo parcheggiato oltre il cancello della tenuta, un chilometro circa più lontano. Rideva, Billy, quanto rideva! Aveva capito ed a me questo bastava ... Avevo svolazzato abbastanza davanti alla sua auto per fargli capire. Non volevo che rimanesse prigioniero di un rimorso che non si meritava. Volevo che capisse che ero felice. Accanto al corpo del professor Thomas Fenton, esanime nel pollaio, il foglio che avevo scritto lo avrebbe scagionato da qualsiasi responsabilità ma io non sarei stato felice fino a che non avessi avuto la certezza che sapesse quanto bene mi aveva fatto. Sono due anni, ormai, che torno a dare un'occhiata al "Lincoln Institute". La stagione mi mette una grande frenesia in corpo. Le foglie multicolori che si staccano giorno dopo giorno dagli aceri e dalle betulle del parco ricoprono come sempre il terreno di un morbido tappeto ed il bidello Tompson, come sempre, le raccoglie pazientemente in un sacco di tela grezza infilzandole con un bastone accuminato. Gli studenti arrivano sulle loro auto da futuri scienziati, figli della borghesia terriera o coraggiosi quanto rari idealisti di una ricerca che molto probabilmente non avrebbe mai fatto scoprire loro ciò che io stavo sperimentando. Troppo con i "piedi per terra", quei loro professori accademici! Da quassù non posso fare a meno di constatare, ogni volta, quanto sia piccolo ed irrilevante quel mondo che un tempo mi sembrava tutto. Billy è all'ultimo anno, credo, e anche questa volta mi sono fatto vedere da lui. Non vi dico quanto ha cercato di corrermi dietro gesticolando! Ma sono felice, veramente felice di pensare che un giorno lui potrà forse raccontare di me a suo figlio ... Quel giorno, nel pollaio, Jack mi stava aspettando. Solo quando mi sono "fuso" con la sua essenza profonda mi sono ritrovato ed ho compreso che lui era una parte di me, o io di lui ... Ora devo lasciarvi. Mille voci di amici mi chiamano. E' un'armonia, un'onda fluttuante che non saprei spiegare meglio. Devo andare. Ma è bello, credetemi, incommensurabilmente bello ...

Antonio Bruno