Chi sono?
... Dove sono? ... non riesco a capire dove mi trovo ... sento che ho aperto gli occhi ma
non riesco a intravedere niente ... nessuna immagine o bagliore di luce. Shhhhhh ...
silenzio ... ho sentito un rumore ... forse l'ho provocato io cercando invano di muovermi
se non fosse per questa specie di peso che mi blocca le caviglie ... tutto è umido
qui intorno e ho i vestiti bagnati. Forse sto ancora dormendo, ancora sto facendo quel
brutto sogno che mi tormenta ogni notte ... però questa volta è diverso nel senso che le
condizioni sono differenti: il dolore, l'umidità li sento troppo reali per essere un
sogno ... No ... non può essere ... non può essere quello che sto pensando ... sta
tornandomi in mente il motivo per il quale sono finito qui! Fino ad ora non ricordavo come
... o forse avevo paura di ricordare, ma purtroppo devo rassegnarmi al terrore e a cercare
di rianalizzare passo passo tutti gli eventi ...
Ricordo che era una serata come tutte le altre, una di quelle sere in cui la televisione
non passa nulla (all'infuori di una stupida partita di calcio), quasi vorrebbe suggerirti
di andare a dormire ma è troppo presto anche per questo, ero indeciso tra la solita
sortita notturna senza meta e la lettura sbadata di qualche libro in attesa che il sonno
prendesse il sopravvento. Se non fosse stato per quel maledetto messaggio ... maledetto
... di Giacomo, il quale si ricorda della mia esistenza soltanto nelle buie serate di
studio dove l'angoscia non lascia alcun spirito di iniziativa, che ricordo ancora adesso:
Che fai? Io se non esco, questa è la volta buona che vado in depressione totale ... :-(
fammi sapere se vuoi uscire ... [giacom@felixtype.it].
E' con questo messaggio retorico che mi esortò ad uscire. Appena fuori casa, resomi conto
del clima, capii che non era la serata giusta per uscire; la pioggia aveva smesso di
scendere imperterrita senza tregua da qualche minuto e per strada non c'era nulla di
nuovo, di rilevante. Il fatto che c'era un atmosfera tetra nell'aria era compensato dalla
luna piena che esaltava, con il suo splendore, contorni delle montagne che circondavano il
paese e unificava in blocco tutti i colori della natura. Giunto fuori casa di G, come da
accordo, gli feci uno squillo ma erano passati ormai cinque minuti e di G nessuna traccia.
Spensi la macchina per non disturbare il vicinato e continuai ad ascoltare la radio che
trasmetteva una vecchia canzone dei Queen.
Tutto ad un tratto lo stereo si spense senza motivo proiettandomi in uno stato di assoluto
silenzio dove la pioggia battente martellava sulla carrozzeria come se tentasse di
sfondare o quantomeno di lesionare il tettino apribile dell'auto. Spaventato dalla totale
assenza di luce la prima cosa che mi venne da fare era accendere i fari della macchina ma
appena lo feci balzai in aria terrorizzato e mi spinsi indietro contro il sedile perchè
davanti al cofano della macchina era ferma, immobile, una figura tetra avvolta
dall'oscurità. Capii dopo che era quel deficiente di G che era rimasto lì con l'intento
di farmi paura e credetemi c'era riuscito pienamente, infatti non c'era niente del mio
corpo che ancora non tremasse dalla paura. Divertito dalle mia reazione scoppiò in una
risata secca e stridente.
- Deficiente! - pensai prima che salisse in macchina poi, una volta dentro, mi fece notare
che sotto il suo giubbetto nero aveva con sè due bottiglie di vino che servivano, secondo
lui, ad allietare la serata. Io non sono un gran bevitore ma quando sto con G, per
rimanere in "compagnia", mi spingo anche altre il famigerato "qualche
bicchiere".
Comminciammo a parlare dei suoi studi e del mio dolce far niente giornaliero; discutendo
mi chiese di girare verso la parte alta del paese, una cosa insolita conoscendolo perchè
questo tipo di serate apatiche eravamo soliti passarle in giro per i locali notturni
cittadini, ma si capì subito che quella non doveva essere una serata come tutte le altre
...
Giunti ad una radura G mi esortò a fermarmi su un lato di essa per meglio ammirare il
grande paese (o piccola città che dir si voglia) che ci si presentava davanti agli occhi.
Avevamo dinanzi la piccola città che riusciva con le sue luci a creare uno strano
effetto; infatti da sinistra verso destra come in un crescendo musicale le luci
aumentavano e si condensavano sempre più per poi giungere fino alla piazza, sita sulla
destra, dove talmente tante erano le illuminazioni dei lampioni e la concentrazione delle
autovetture che pareva quasi che fosse già sorto il sole. Quando però l'occhio era
inento e fermo nell'ammirare la quantità di luce emessa dai suddetti lampioni la sua
parte più sensibile ai raggi luminosi (quella esterna) era invasa da un bagliore
particolare e cupo. Queste lucine soffuse e coperte da grandi alberi provenivano dalla
parte sinistra del paesaggio, ovvero dal cimitero.
Sapevo che quella zona così tetramante affascinante aveva colpito anche G ma non dissi
nulla e continuai a discutere con lui.
Dopo parecchi sorsi, il vino cominciò a far da padrone, spianando la strada a discorsi
senza significato, se ascoltati da una mente sobria, ma densi di significato e di
contenuti se condiviso con un'altra persona allo stesso livello alcolico. Si parlava di
tutto e di tutti senza timori ed io quasi mi divertivo, ma bastava volgere lo sguardo
sulla sinistra a togliermi tutta l'euforia che l'alcool mi aveva regalato.
Esaurito tutto il vino a disposizione dissi una frase che forse, se fossi stato sobrio,
non avrei detto oppure l'avrei esposta in modo differente; - Che ne dici se facciamo una
capatina giù al cimitero? -
La buttai lì senza riflettere ... coglione! ... E con altrettanta indifferenza G
acconsentì. Era logico che entrambi per non fare la figura del pisciasotto fingevamo una
calma ed una indifferenza degna del migliore becchino del mondo ... deficienti ...
Scesi in un lampo dal colle ci ritrovammo al bivio che indicava la città a destra e il
Dragonetti (cimitero) a sinistra. Non ero io a decidere dove andare ma il mio orgoglio del
cazzo e quindi svoltammo a sinistra.
Arrivati fuori il cancello lasciammo la macchina e procedemmo a piedi con una torcia
tascabile. Scesi dalla macchina notai subito un silenzio profondo accompagnato soltanto
dai nostri respiri; ogni traccia, ogni effetto del vino era sparito dai nostri corpi e
questo traspariva dai nostri sguardi che fino ad allora erano stati stanchi ed
addormantati me ora sembravano svegli e alimentati dal terrore.
Il cancello principale era aperto e ci introdusse in un lungo viale alberato che lasciava
scorgere alla sua fine una gradinata che a sua volta conduceva verso il basso e quindi
verso le tombe a terra.
Ormai si sentiva soltanto il rumore che i nostri passi facevano sul terriccio.
L'ambiente circostante faceva da colonna sonora alla situazione con i silenzi assordanti
della notte ... continuammo imperterriti nel nostro cammino senza che nessuno dei due
avesse la capacità di riuscire ad esplicitare la propria paura; il viale finì presto e
davanti a noi avevamo un paesaggio terribilmente "bello" e silenzioso. Davanti a
noi proseguiva per una decina di metri la scalinata che portava alle tombe sottostanti,
mentre alzando lo sguardo si potevano notare i contorni dei cipressi ben definiti da un
bagliore lunare particolarmente inquietante.
Io non avevo intenzione di andare oltre e penso neanche G (lo capivo dal suo sguardo) ma
appena ero in procinto di andare via, come se il cimitero non lo volesse, sentii
direttamente da un luogo non definito del cimitero alcune filastrocche cantate sottovoce
da voci ingenue che vennero subito interrotte da un forte urlo straziante e lacerato
proveniente penso dalla stessa direzione, dalle parti basse del cimitero
... parti basse del cimitero ... la prima reazione fu quella di mantenere un contatto con
Giacomo ma rimasi impietrito quando allungai la mano per toccarlo e lui non c'era! Paura
... Terrore ... Morte ... questi gli unici pensieri che mi frullavano in testa. Dove era
finito Giacomo? Di chi erano quella voci? E soprattutto di chi era quell'urlo?
Indeciso sul da farsi pensai di correre a chiedere aiuto e infatti girai i tacchi e
cominciai a correre come non avevo fatto mai in vita mia verso il cancello di uscita.
Quando ero giunto a pochi metri dal cancello con un muovimento brusco mi si sbarrò
davanti senza lasciarmi opportunità di uscita. Provai senza riuscire ad aprire,
scassinare, rompere, scavalcare ... a questo punto mi poggiai di spalle al cancello e
provai a riflettere .... ma, mentre ero nel terrore più totale, arrivò una luce, un
bagliore a darmi un briciolo di speranza, era la casa dei Levoni, sì i signori Levoni ...
di lì proveniva questa luce che molto probabilmente era irradiata dai lampioni siti nel
giardino ...
NELLO STESSO ISTANTE
... Era tardi ormai, per Cesare era arrivato il momento di andare a dormire, non prima di
aver fatto finire i compiti a sua figlia Laura; mentre lo faceva seguiva con la coda
dell'occhio la partita della nazionale che scorreva alle spalle di sua figlia. Finiti i
compiti Laura si apprestò ad andare a dormire e Cesare, terminata la partita ormai, si
mise a fissareil paesaggio fuori dalla finestra con lo sguardo assonnato.
Era tardi oramai, aveva sonno, lanciò un'ultima occhiata al cimitero che vedeva da
lontano e rimase un attimo senza pensare nulla ... poi decise di andare a dormire, il
richiamo del sonno era irresistibile.
Note dell'autore
"Queste sensazioni che state provando adesso erano il mio obiettivo quindi
consideratevi sconfitti! ah ah ah ah ..."