L'altare Azteco

"Dedicato a Michele Piciocco e a Manuele Forcucci con la più profonda stima."

 

"Impia tortorum longos hic turba furores
sanguinis innocui, non satiata, aluit."

 

"Qui la turba malvagia, non paga dei prolungati
eccitamenti delle torture, si saziò di sangue innocente."

 

In principio erano le tenebre. Nelle acque non vivevano i pesci, sulla terra non strisciavano i serpenti e non correvano gli animali. Gli uccelli non popolavano i cieli. Poi una piccola divinità lebbrosa si gettò in un braciere e dal suo sacrificio nacque il Sole. Altre divinità si sacrificarono per permettere al Sole di alzarsi in cielo e di portare la vita sulla Terra. E così potè nascere e prosperare la stirpe degli uomini. Ma sugli uomini pesa un'oscura minaccia: il Sole, portatore di vità, può fermarsi, esaurirsi da un momento all'altro, e allora tutto tornerà alle tenebre e al caos dei primordi. Per evitare questo disastro, c'è solo un mezzo: continuare a fornire al Sole il suo nutrimento naturale: il "chalchiuatl", l"acqua preziosa", cioè il sangue ...

 

A dimostrazione di tutto ciò vi propongo, carissimi lettori, questo manoscritto, trovato nel 1992 dal mio fedele amico archeologo Jonh Swifft il quale per primo mi informò di questa tremenda scoperta. Ebbene, anche se le mie cellule grigie si sono annebbiate con l'avanzar degli anni e visto che la madre terra vuol ch'io finisca la mia esistenza da un momento all'altro, voglio trascrivervi questo sensazionale testo che la storia volle cancellare dalla mente umana.
Inanzitutto questo pregiato libro risale, a quanto pare, al secolo decimoquarto, duecento anni prima dell'arrivo degli europei a Tenochtitlàn, la capitale Azteca che Cortès scopri con i suoi uomini, ma quando giuse in questo luogo rimase colpito non solo dalla grandezza della città ma anche dai numerosi sacrifici agli Dei che venivano compiuti, tanto da far distruggere alcuni templi ad essi dedicati. Ecco lo stralcio di testo azteco che mi accingo a tradurre:

 

"Cronaca dell'11 Aprile 1219, Tenochtitlàn
Quinto mese dell'anno azteco

... Alle luci dell'alba, i preparativi febbrili ed estenuanti per Tezcatlipoca sono già iniziati. Questa mattina, durante la mia visita al mercato più grande della città, alcuni abitanti del luogo mi hanno informato che si tratta del rito più importante dell'anno in onore all'"anima del mondo" contro la siccità e la carestia. Andando in giro per i piccoli borghi che costeggiano la città azteca noto con grande meraviglia, che tra il popolo, prima dell'evento, vi è una cura particolare riservata alla confezione delle vivande, alla cottura di alcuni tacchini belli grassi e alla preparazione di piatti ricercatissimi con pesce fresco degli oceani profondi solcati da lunghe ed agili canoe che gli indigeni conducono con la sola forza di un ramo resistente di quercia.
A mezzogiorno inizia un lauto banchetto dove sono invitati tutti i sacerdoti e il re Montezuma II. Durante il grande pranzo, alcuni fanciulli giocano con un pallone di pelle chiamato "tlachtli". Il campo su cui corrono è a forma di "T" e colpiscono la palla con gambe e anche spalle ma mai con le mani.
E' verso sera, quando tutte le vivande sono state servite e il re è sazio, che i sacerdoti si alzano e chiamano presso di loro una dozzina di giovani prigionieri. La folla mi spinge, si accalca sulle gradinate e per poco non finisco per terra come alcuni miei compagni travolti dalla folla urlante. Il sacerdote, con un piccolo pennello rudimentale di legno segna con un inchiostro nero seppia i ragazzi pallidi. I simboli ombrosi sono strani da decifrare ma sembrano corrispondere a dei numeri primitivi. Ora un sacerdote smunto e gracile avanza con il suo bastone sacro tra la folla e massaggiandosi il mento, con un un gesto repentino urla verso il cielo: "Tezcatlipoca asej jumine ... klos diies hemmen ... Fashyr amatl" "Tezcatlipoca, anima del mondo ... oggi noi ti invochiamo ... Fate la vostra scelta".
Pronunciate queste parole getta ai piedi dei prigionieri una polvere purpurea e la folla è invitata a scegliere il più nobile e il più bello. "Atten ... Atten ... Atten..." "Tre ... Tre ... Tre ..." urla la folla.
I sacerdoti subito afferrano il poveretto che rimane sorpreso quando alcune schiave cominciano a rivestirlo con alcuni splendidi abiti d'oro, mai visti prima. Quindi profumato ed unto con degli olii è caricato sopra una lettiga di bronzo e portato in giro per il paese. Quale strana sorte è capitata a quest'uomo. Acclamato dalla folla come un salvatore, come un dio ... saluta tutti ed ordina di farsi portare il cibo migliore del luogo.
Passa un'ora ... tutti si inchinano al suo passaggio e lui allegro sorride accompagnato da quattro bellissime fanciulle. E' il dio in persona. Lo stesso Montezuma II, a cui a nessuno, eccetto le sue fedeli guardie, è osato avvicinarsi, lo invita a sedersi e a partecipare al banchetto finale. Il nostro giovane amico, si avvicina timoroso al suo signore ed è accolto calorosamente come se fosse sempre stato un nobile o un sacerdote del luogo.
Passano due ore ... il giovane è accerchiato dalla folla che si getta ai suoi piedi, lo bacia e lo abbraccia. Passano tre ore ... ora il giovane è invitato a dilettarsi con alcuni strumenti musicali. Inpugna un liuto ma da quel dolcissimo strumento escono solo strazianti rumori, egli si scusa con il re pensando, forse, di aver oltraggiato il suo udito raffinato. Il re sorride con tutti i suoi amici, calorosamente gli tocca la spalla e gli porge un nuovo strumento ma il risultato è lo stesso.
Passano quattro ore ... il re convoca un'assemblea dove partecipano tutti i nobili più importanti della città. Tra questi non può mancare il nostro amico, che, abituatosi a quel lusso sfrenato non declina l'invito e partecipa alla riunione. Sembra proprio che ci stia prendendo mano questo ragazzo, ora non teme più l'ira del re: scherza, propone dei progetti per la città, come se fosse un cittadino a tutti gli effetti.
Passano cinque ore ... il giovane partecipa ad una festa nunziale, canta e beve in continuazione. Durante la festa mi sono avvicinato al ragazzo per fargli delle domande ma lui mi ha accolto con grande fervore, come un amico. Ora non sono sicuro, ma credo ch'io abbia fatto irare un pò troppo il re, infatti dopo una bella mezz'ora passata a discutere con il "prescelto", mi sono lasciato trascinare dalla baldoria e forse pronunciai qualche parola di troppo.
Allo scadere delle sue cinque ore di gloria, in mezzo ad una folla strabocchevole, è condotto al tempio del sacrificio, scortato dal re in persona; ai piedi della scalinata si spoglia dei suoi ricchi paludamenti e fa a pezzi i suoi strumenti musicali che aveva suonato poco prima. In cima alla piramide lo attendono, ieratici, sei sacerdoti che lo afferrano e gli tolgono gli indumenti. La folla urla, acclama il loro Dio, alcuni si arrampicano sugli alti arbusti per assistere all'evento più importante dell'anno. A tentoni provo a farmi spazio ma sono continuamente respinto a malo modo. Alla fine, anche se in maniera poco ortodossa, mi accovaccio su un alto albero portandomi fino all'ultimo ramo cosicchè possa osservare tutta la scena. Ora i sacerdoti con il giovane giungono sul punto più alto della piramide. Lo distendono su un enorme blocco di diaspro leggermente incurvato, la pietra sacrificale.
Un sacerdote, avvolto in un sinistro mantello scarlatto, si avvicina. Gli altri sei lo tengono fermo per la testa e le membra. La folla chiassosa si placa e su tutto il luogo regna un silenzio mortale. Si sente solo il fruscio delle piante ed il vento che emana un fischio così cupo che una scossa di terrore mi fa rabbrividire e per evitare di cadere dalla mia posizione, tento di sorreggermi con la forza delle braccia. Il sorriso del giovane si tramuta in ansia, angoscia, terrore, annaspa e prova a dimenarsi inutilmente. Sbatte violentemente i piedi contro la pietra ruvida provocandosi dei profondi tagli ma i sacerdoti sono impassibili, guardano il loro capo avvolto nel mantello che estrae fuori il coltello di ossidiana sacrificale. Il mio istinto mi induce a chiudere gli occhi di fronte a questo rito macabro. Ma, contro ogni forza, rimango immobile.
Ad un tratto l'urlo straziante ed agonizzante del giovane lacera l'aria. Nel frattempo il capo-sacerdote vibra il coltello che si infilza nel petto roseo e gracile dello sventurato giovane. Con mani da esperto estrae il cuore palpitante e dopo averlo mostrato al popolo, lo porge in una bacinella colorata. Il sangue irrora l'altare, sgorga per terra e schizza violentemente contro le vesti candide dei religiosi; il profumo della morte si diffonde in ogni membra e lo sguardo del giovane si contrae in una smorfia di dolore. Gli altri sacerdoti, senza perdere tempo, squartano il corpo della vittima, lo dividono in bocconi e, con le mani macchiate dal sangue sacro, li gettano addosso alla folla ansiosa che come in preda ad una follia urla e si dimena per accaparrarsi un brandello di pelle del loro Dio, altri li conservano in alcune sacche per offrirli in un futuro banchetto. Poi la parte restante ricoperta dalla pelle molle è scorticata dalle ossa, lo scheletro è gettato dall'alta gradinata del tempio e finisce all'interno di un malsano fiumiciattolo che lo trascina per una ventina di metri.
Il sacerdote dal mantello scarlatto con una frase incomprensibile, che non riesco a riportare per iscritto, attira su di sè l'attenzione della moltitudine poi, lentamente, avvolge il cuore in un tessuto lanoso e morbido il cui colore bianco si contrappone con il rosso vivo e infuocato del sangue; poi lo getta ai piedi della statua della divinità e dopo averla ringraziata esclama gioiosamente: "Abi ... Achnme" "O popolo ... siamo benedetti" ...
Un altro sacrificio è stato compiuto! Ahimè che funesta sorte, quale rito maligno possa aver contemplato il mio spirito cristiano! La conoscenza porta ad un'amara realtà indelebile che lacera dentro l'anima e fuori il corpo. Un popolo rozzo, barbaro, che solo con la morte riuscirà a salvare il mondo? O amici miei, o popolo blasfemo, perchè il creatore non operò in voi la gentil dolcezza d'animo? Perchè continuate a percorrere le vie del peccato e del dolore? Se mai popolo verrà a conoscenza di queste lagrimose terre, possa Iddio impedir loro di toccar il tetro lido. Ma un giorno sarà il Giustiziere a scendere immacolato dal ciel puro e coloro, figli ingenui, che avrete sacrificato li rivedrete nel profondo inferno dei dannati che arde e risplende nell'infinito sereno. Era l'alba di un nuovo giorno. Era l'alba e tutto era stato compiuto."

 

... Così si conclude questo testo. Il nostro sconosciuto amico che ci ha raccontato questa folgorante storia dovette subire la medesima sorte e i suoi scritti furono successivamente bruciati, solo questo riuscì a salvarsi.

 

"Secondo alcune fonti storiche, sotto il regno di Montezuma II, in un solo giorno furono sacrificati circa 20.000 prigionieri di guerra."

Fabrizio Scorrano