Fuoco fatuo

Preti.. E' solo una questione di preti!.. - proclamò Angelo facendosi trasportare da quella discussione pseudo-politica di mezza estate fatta da pseudo-esperti quali eravamo noi.
- Cosa credi che ci sia dietro tutti i paroloni di cui si riempiono la bocca i tuoi cari "artefici del nuovo corso", dietro a tutti quei princìpi che ti attirano tanto? - mi domandò fermando un attimo quel nostro girovagare notturno nella periferia del piccolo paesino fra i monti in cui la mia famiglia era solita trascorrere le vacanze. - Il Vaticano, caro mio che, come sempre, fa la parte del lupo che si traveste da agnello. Ah, io non la bevo! -concluse.
Gli risposi qualcosa che non ricordo bene e che, d'altra parte, cercava di creare un'impalcatura eticamente e socialmente credibile a delle semplici opinioni politiche. Ma era politica vacanziera, politica di giovani inesperti. Giusto per esercitarsi un pò nell'arte della dialettica. Ed Angelo, devo dirlo, prometteva già molto bene. Amici ma nemici, sempre. Avevamo due modi, Angelo ed io, di vedere la vita, diametralmente opposti. Eppure ci cercavamo sempre, quasi che fossimo prigionieri dell'assurdo desiderio di convincere l'altro. Lui, di qualche anno più giovane di me, era il prototipo dell' anarchico anni '70, con capigliatura "casual", abbigliamento imprevedibile e l'eterna sigaretta fra le mani.

Non ammetteva contraddittorio, dietro l'apparente disponibilità ad ascoltare le opinioni diverse dalla sua, ed era capace di tenerti sveglio una notte intera per convincerti di concetti quali la "reazionarietà del potere" o "l'influenza dello sciovinismo nei sistemi socioeconomici occidentali". Io, figlio della piccola borghesia cittadina, ero forse ancora più standardizzato di lui. Niente di speciale, fisicamente parlando. Quella notte indossavo pure i mitici pantaloni a zampa d'elefante. Mi ritenevo e mi ritengo tuttora un libero pensatore, uno a cui è concesso credere, avere degli ideali anche un pò utopistici, cercare disegni nascosti dietro l'apparenza della quotidianità.
Quella sera ci trovavamo su un viottolo fiocamente illuminato alla periferia del paesino di cui dicevo ed avevamo deciso di raggiungere il resto della compagnia di amici che sapevamo trovarsi nella piazza centrale. Erano circa le 23:30. Il viottolo era una scorciatoia che ci avrebbe riportati rapidamente in paese dalla campagna risuonante del frinire dei grilli in cui ci eravamo attardati, costeggiando spesso casolari e baite abbandonati. L'illuminazione era scadente, non di rado affidata a lampioncini antiquati con cavo elettrico ancorato al sostegno, che reggeva un cappellotto parapioggia in ferro ruggine e lampadina ad incandescenza; tanto bastava. Mentre percorrevamo il viottolo, proseguiva la nostra animata discussione fino a che, svoltati nella parte stretta e non illuminata del percorso, ci fermammo nuovamente per scandire meglio le nostre convinzioni. In quell' occasione, lo ammetto, fui io a lasciarmi maggiormente infervorare e trattenni addirittura Angelo per un braccio ponendomi di spalle alla direzione di marcia. Non avevo nemmeno notato la grande baita abbandonata vicino a cui ci eravamo fermati e che, sinceramente, non mi sembra nemmeno, ora che ci penso, di aver mai notato.
- Antonio, ti vuoi calmare?! - mi disse ad un certo punto il mio amico. - Vuoi capirla che... - ma, pochi istanti dopo che Angelo aveva iniziato a declamare l'ennesimo teorema politico-sociale, qualcosa, improvvisamente, attirò la mia attenzione, sulla destra. Era una specie di luminescenza verdastra, una sorta di illogica fosforescenza. Mentre Angelo continuava a parlare, voltai lentamente la testa e vidi... Quello che vidi mi lasciò completamente inebetito: c'era una figura umana fatta di fumo o di una strana sostanza trasparente e tenuamente luminosa, che se ne stava seduta con una gamba sull'altra ed il gomito appoggiato al ginocchio, mento appoggiato sulla mano, nella classica posizione di chi sta attento ad una spiegazione. Mi osservava immobile. Vedevo il muro della baita attraverso quella figura! Aveva la consistenza dell'aria e le forme erano facilmente distinguibili per via della sua intrinseca luminescenza.
A quel punto, finalmente, Angelo si accorse che non lo stavo più seguendo. Istintivamente si voltò nella stessa direzione verso cui stavo guardando io, presumo con un'espressione obnubilata e, come me, restò muto. Trascorsero attimi lunghissimi durante i quali il mio cervello era incapace di formulare qualcosa di razionalmente utile a spiegare quell'assurda situazione. Anche Angelo, presumo, si trovava nelle mie stesse condizioni ed intanto quella "cosa" ci guardava nella sua compiaciuta immobilità.
Ad un tratto, come risquotendosi, il mio amico allungò la mano nel tentativo di sperimentare un senso che, evidentemente, in quell'occasione era del tutto inutile: il tatto.
Il cuore galoppava nel mio petto e le tempie mi pulsavano in testa. Se non stavo cadendo preda di un attacco di panico, poco ci mancava e, prima di soccombere alla completa irrazionalità di tali attacchi, afferrai Angelo ad un braccio quel tanto che bastò per far sì che i nostri sguardi s'incontrassero. Un istante dopo, condividevamo pienamente e finalmente un' esperienza: la FUGA!

 

Corremmo fino alla prima svolta. Oltre, in fondo al primo tratto di viottolo, una seconda lampada illuminava la via: io mi fermai sull'angolo a sbirciare e, benchè impaurito, potei assistere ad un secondo, stranissimo fenomeno: nel luogo in cui avevamo visto l'inquietante apparizione si vedevano ora come delle bolle verdastre e trasparenti, che crescevano fino alle dimensioni di una palla da tennis o poco più e, crescendo, attenuavano la propria luminosità prima di scomparire. Era come un lento getto di bolle verdastre che spuntavano dal terreno e poi si dissolvevano. Angelo si era praticamente abbarbicato al lampione e sembrava non avere nessuna intenzione di non riprendere subito la corsa verso la piazza. Io, che ero rimasto indietro in una zona più oscura, cercai di convincerlo a raggiungermi per dare un'ulteriore occhiata all'incredibile fenomeno a cui stavo assistendo. Ma Angelo mi disse che non si sognava nemmeno e che ero un pauroso, visto che non avevo il coraggio di raggiungerlo. Pauroso io! Provai a fargli capire che, se dovevamo proprio parlare di paura, era lui ad averne di più, visto che restava abbrancato al lampione ma niente da fare: secondo lui il pusillanime ero io.. Fu irremovibile ed io conoscevo fin troppo bene Angelo per sperare che avrebbe ceduto, conoscevo benissimo quella sua tipica capacità di rivoltare letteralmente i dati di fatto e le argomentazioni per farti apparire come lui ti disegna, a suo piacimento. Mi arresi e corremmo entrambi verso la piazza.

Nessuno, fra gli amici della compagnia, volle credere a quello che avevamo raccontato. Anche Angelo, che in quell'occasione mi fu d'appoggio, non ottenne maggior credito di me. Il nostro resoconto coincideva quasi completamente, se si esclude il particolare che il volto dello strano "vecchio" era apparso ad Angelo come rugoso mentre a me era sembrato, piuttosto, come quello di un "uomo-pesce" dei fumetti di cui non disdegnavo la lettura a quell'epoca. Tutto il resto coincideva.

 

Ci perdemmo di vista per qualche giorno, Angelo ed io. Poi venne il momento della sua partenza per la città. La fine delle vacanze era ormai vicina. Io sarei rimasto in paese per un paio di giorni ancora, così ci demmo appuntamento in una trattoria per.. l'ultimo bisticcio prima dei saluti. Il fatto era che l'assunto principale di Angelo consisteva nell'affermazione che IL PARANORMALE NON ESISTE e, poiché non ci fu possibile non tornare con la mente alla strana esperienza avuta entrambi quella sera di luglio, mi resi conto che, nel frattempo, il mio amico si era costruito un vero e proprio castello di argomentazioni faziose a sostegno della sua convinzione totalmente materialista. Parlò di "riflessi", di "immaginazione", di "suggestione" e di.. "lucciole giganti"!!!.. Sembrava un'altra persona, come se nemmeno fosse stato lì accanto a me, quella sera, come se non avesse visto anche lui la strana figura di vecchio che lo aveva fatto correre via a gambe levate... Così era, e suppongo fortemente sia ancora oggi, Angelo. Mi resta poco da aggiungere a questa storia. Penso comunque possa interessare qualcuno sapere che mia madre, quando le dissi il luogo esatto della nostra "visione", si sbalordì ricordando che già in passato quella baita era stata teatro di fatti strani e si era guadagnata la fama di "casa dei fantasmi". Mia madre era nativa del paese e quelle cose le sapeva bene. Aggiunse che, un tempo, la gente evitava di passare accanto a quella casa di notte asserendo che vi si sentivano strane voci.

 

Ora, scusatemi ma devo lasciarvi. Sono le 23:00 ed è luglio. Anche quest' anno, come tutti gli anni, sono qui in vacanza. La barba ed i capelli sono un po' più bianchi ma l'entusiasmo è quello di sempre. Devo andare. Il viottolo mi attende. Forse, questa volta, lo rivedrò, quel vecchio. Ma credetemi: non ho nessuna intenzione, ora, di correre via.

Antonio Bruno