L'uomo
prese la rivoltella dal cassetto della credenza, dopo averne carezzato a lungo la
silhouette brunita, mirò verso i ratti che a decine infestavano il pavimento della
camera.
Davanti ai suoi occhi atterriti un enorme oceano nero in tumulto, un lacerante squittìo
brulicante che annebbiava i suoi sensi, in uno sgomento e ribrezzo senza fine. Conati di
vomito gli montavano alla bocca dello stomaco, le gambe tremavano piegandosi in regolari
fremiti, non c'era più scampo, occorreva premere quel maledetto grilletto.
Esplose il primo colpo, un enorme testa di ratto saltò per aria e andò a spiaccicarsi
contro la nuda parete bianca, una lunga scia rosso cupo ne accompagnò il lento scivolare
spugnoso verso il pavimento.
Per un attimo nella stanza tornò il silenzio, irreale, ascetico.
L'uomo chiuse gli occhi, li riaprì, il magma nero era fermo, pareva in attesa, l'uomo
ebbe il tempo di guardare verso la finestra, la rigogliosa chioma di un albero che
ondeggiava violentemente nel cielo limpido primaverile, la tranquillità, fu un attimo,
pochi secondi, giusto il tempo che la testa mutila del ratto ripiombasse a terra, fu
quello il segnale decisivo: gli altri compagni ripresero il loro folle sabba sanguinario,
nell'improvvisata arena ferina si contesero a morsi la carcassa dell'animale, levando
orribili squittìi di piacere che empivano la stanza.
Fu allora che una rabbia cieca gli invase la mente, un desiderio di pulizia totale: con il
pollice riposizionò il grilletto e esplose uno, due, cinque, decine di colpi
all'impazzata, fiotti di sangue ferino esplosero in aria come piccoli geyser, brandelli di
carne volteggiavano atterrando sempre più vicini alle suole gommate delle sue scarpe.
Ricaricò il tamburo della pistola più volte, le camere del cilindretto ruotavano
all'impazzata sotto il movimento febbrile del pollice. Pensava di avercela finalmente
fatta, pochi ratti, per lo più stremati e mutili, si trascinavano ora sulle zampine
anteriori epilettiche, scivolavano sui dorsi sbudellati dei compagni, in cerca di riparo.
Poi però un particolare colpì la sua attenzione, un qualcosa che inizialmente gli era
sfuggito dalla periferica del suo sguardo: una considerevole crepa si apriva sulla parete
alla sua sinistra, un enorme occhio bianco che lasciava filtrare la violenta luce esterna
del giorno. L'occhio si chiuse, otturato da oscure masse nere in movimento frenetico; da
quella ferita nel muro un lungo cordone ombelicale irsuto che si snodava sulla parete in
regolare fila indiana.
Fu allora che capì, osservò i tre cartoni di cartucce che giacevano ancora sul tavolo, e
ghignò disperato verso la propria immagine riflessa nello specchio, non sarebbero mai
bastate, i topi provenivano dall'esterno, a centinaia, a migliaia, tutti eccitati
dall'odore di sangue animale che emanava ormai insopportabile dal palazzo.
Immobile, addossato alla parete, chiuse gli occhi e attese che venissero a fare strazio
delle sue carni, sperò in un dolore fulmineo, breve, dacché l'attesa era il supplizio
più atroce
.
Quando disserrò le palpebre, il suo sguardo s'indirizzò istintivamente verso quella
crepa nel muro, ma al suo posto, mirabile portento, trovò il fastoso ingresso di un
salone, un pesante drappeggio rosso pompeiano che ne celava l'esterno, ruotò allora
sbigottito lo sguardo, arazzi damascati alle pareti, vasi istoriati, vetrinette con
statuine in porcellana , carrelli ricolmi di ogni ben di dio, frutta esotica, dolci multi
strato, opulente quaglie in bella mostra
.
Incredulo fissò quindi lo sguardo sul pavimento: cadaveri, corpi agonizzanti, non di
topi, ma di donne e uomini in impeccabili frac, si contorcevano in un lago di sangue,
volgendo a lui lo sguardo incredulo, implorante. Nei suoi occhi, gli abiti trinati delle
donne, lordi di sangue e livide budella.
Dall'ingresso del salone si sollevò più volte la tenda rosso pompeiano, ne uscirono
decine di uomini in frac che ora, con sguardo inferocito, ne era certo ormai, si
appressavano minacciosamente alla sua figura immobile, impietrita, la pistola ancora
saldamente in pugno