Ultimi momenti

Li sentiva sempre più vicini, sentiva i passi avvicinarsi ogni metro di più, sentiva i loro versi sguaiati e le loro grida. Grida che lo avrebbero perseguitato per tutte le sue notti di lì a venire sempre ammesso che se la fosse cavata, cosa in cui ormai non credeva molto. Era solo il suo istinto di conservazione che lo faceva andare avanti, che gli impediva di fermarsi, cercava di non fargli sentire il dolore che quella strana vegetazione gli procurava graffiandolo nella sua corsa disperata, cercava di impedirgli di voltarsi indietro perché, inconsciamente, sapeva che se si fosse voltato indietro sarebbe impazzito all'istante alla visione di quelle creature che lo inseguivano.
Quasi non si rese conto dell'impatto con quell'ostacolo imprevisto ne' tantomeno della successiva caduta, solo la percezione del suolo freddo gli ridiede quell'istante di lucidità per rendersi conto di essere arrivato al capolinea della sua avventura. In fondo provava un senso di sollievo nel pensare che di lì a poco tutto sarebbe finito, non avrebbe più sentito il dolore delle ferite riportate negli scontri con quegli esseri, né il bruciore dei graffi che si era procurato durante la fuga in quella specie di curiosa foresta, soprattutto non avrebbe più sentito il peso di quella gravità così diversa da quella di casa, che rendeva così faticoso ogni movimento tanto da dargli l'impressione di trovarsi in uno di quei sogni in cui, inseguiti dalle nostre paure più profonde, non si riesce a fuggire ma si corre sempre più piano trattenuti da qualche forza misteriosa fino a che, quando tutto sembra perduto, qualcuno ti viene a svegliare.

Era improbabile che qualcuno lo svegliasse, ed era incredibile come il suo cervello nella certezza di avere ancora pochi istanti di vita, potesse elaborare così tanti dati e ricordi remoti e gli impedisse di ricordare cose elementari come il nome dei suoi compagni in questa missione benché ne avesse le figure stampate nella mente, ricordava quel tale corpulento e diffidente che da quando erano scesi dal veicolo non aveva mai posato un istante la sua arma d'ordinanza, fino a quando durante la prima imboscata, dopo avere scoperto che le loro armi, probabilmente a causa delle radiazioni presenti su questo pianeta non funzionavano, gli era stato staccato di netto l'arto in cui la reggeva. Ricordava anche uno degli ufficiali che aveva tentato come ultima speranza di interagire con quegli esseri, parlando loro con calma come si parla ad un animale domestico particolarmente ottuso ma estremamente pericoloso; da principio lo avevano osservato come se capissero le sue intenzioni non ostili ma un attimo dopo avevano iniziato ad emettere quei suoni irriproducibili da un normale apparato vocale e si erano scagliati su di lui con una cieca e disordinata furia tanto da ferirsi anche tra di loro, ricordava di essersi stupito che il colore del sangue di quegli esseri fosse uguale al suo.
Era stato in quel momento che il suo istinto di conservazione aveva preso il sopravvento sul suo cervello e lo aveva fatto correre verso il veicolo che avevano usato per la ricognizione, insensibile anche alle invocazioni di aiuto del dottore di bordo, che qualche ora prima, consultando il computer, aveva annunciato che quel pianeta sullo schermo risultava, secondo i dati della confederazione dei mondi, disabitato da migliaia di anni a causa di una guerra che aveva portato la civiltà originaria all'estinzione; che non vi era nulla di sfruttabile a causa della meticolosità con cui i nativi avevano condotto il conflitto finale; ma che comunque era l'ideale per fermarsi a riparare i danni riportati dalla nave durante la tempesta di meteoriti che li aveva investiti. Be' il dottore non godeva più di molto credito, anche perché quella che era stata la sua testa era ora in cima ad una delle primitive lance di quella specie di ominidi, che in quel momento lo osservavano con un misto di curiosità e ripugnanza, per un istante ebbe l'impressione che tra i suoni inarticolati che emettevano, vi fosse una sorta di derisione nei suoi confronti, era quasi certo che lo stessero prendendo in giro. Poi quello che doveva essere il loro capobranco si avvicinò brandendo una rudimentale clava con la quale prese accuratamente la mira; quasi volesse con un gesto ultimo di pietà finirlo senza farlo soffrire, anche se dubitava che specie così vicine agli animali potessero provare sentimenti quali pietà e compassione. Nella frazione di secondo prima che la clava si abbattesse su di lui ebbe ancora a stupirsi di come gli tornasse in mente improvvisamente, come se servisse a qualcosa, il nome di quel pianeta in cui sarebbe morto e che impronunciabile nella lingua della confederazione li aveva fatti ridere quando era apparso sul computer del dottore: Terra.

Marcello Guidi