di Samuel Marolla - pagine 251 - euro 4,90 - Epix Mondadori
È sempre un grande piacere, forse perché provato poche, pochissime
volte, scommettere su certi scrittori underground, con cui in qualche
maniera si cresce, e vedere che, quando compiono finalmente il grande
salto, e per Samuel Marolla è stato davvero un salto da medaglia
d’oro, la qualità della loro penna non è solo rimasta invariata, ma è
addirittura migliorata, offrendo così un prodotto tremendamente
accattivante e assolutamente ai livelli di chi scrittore esordiente non
lo è più da un pezzo.
"Malarazza" è un’antologia, e già questo stupisce, perché la
prima regola degli scrittoruncoli underground, per lo meno quelli che
ambiscono a qualcosina in più, è ‘lascia perdere i racconti e scrivi un
romanzo’. Inutile recriminare sul gusto del lettore medio italiano, ma
si sa, con dati a volte sconfortanti, quanto le raccolte di racconti
siano evitate, snobbate, quando in realtà, soprattutto nel genere
horror, è il racconto stesso a essere la forma primigenia della storia
del terrore.
Fortuna vuole che il colosso Mondadori abbia voluto scommettere su
Samuel, infilarlo nella nuova collana Epix, che per il momento, causa le
pessime prove di nomi noti come Evangelisti e Wellington, fatica ancora
a piacere, e lanciarlo così, per l’uggioso mese novembrino, in tutte le
edicole tricolori.
Ci sono 14 racconti, in "Malarazza", che vanno dalle due alle sessanta
cartelle, e ognuno di loro, tolto il bene o male inutile "Tequila e
peccati", hanno molto, molto da dire su una scena che non ha mai
sfruttato a dovere, né raccolto nel momento propizio i propri frutti.
Dalle tentazioni splatter de "La carne", passando per un certo
onirico lovecraftiano con "La pista ciclabile" e "Il giorno
che era il giorno", toccando la fantascienza con "Il nemico è",
e poi via, horror, horror e ancora horror con lo splendido "Sono
tornate", il perfido "Il coccodrillo" e l’originale, perverso
giocattolo de "Tè nero", Samuel Marolla costruisce atmosfere che
grondano miasmi soffocanti, sangue grumoso, scenari deliranti.
Ha uno stile, Samuel, ricco, ricchissimo, che gli permette di creare
frasi spesso molto lunghe, colme di subordinate e incisi, ma che non si
rivelano mai complesse o troppo arzigolate, e anzi, si mostrano curiose,
affascinanti, suadenti, golose.
Descrizioni tentacolari e sovraggetivazione seducente imprigionano così
trame magari semplici, esili ("La carne", "Sono tornate", "Candelora"),
ma le gonfiano di una tale carica orrorifica da lasciare storditi per
l’inquietudine che appare, più di una volta, tra le pagine di questo
gioiellino.
E così anche racconti striminziti, potenzialmente innocui, inconsistenti
nelle mani di un narratore qualsiasi, come "L’estraneo" e "L’uomo
che sussurrava ai cadaveri", hanno modo di turbare con rantolii
traumatizzanti (il primo) e ammaliare con squisite immagini (il
secondo).
Da citare, ancora una volta, senza mai stancarsi, "Sono tornate",
lugubre, terrorizzante incubo che vede tre amici affrontare due bambine
deformi, demoniache, cannibali (prologo allucinante, gente, da stare
svegli la notte); "Il coccodrillo", che, costruito attorno a un’idea
simile allo spunto portante del manga e anime "Death note", spara
dialoghi travolgenti e vomita cattiveria incontenibile; e "Tè nero",
brillante, geniale nella sua intelaiatura apparentemente onirica, ma in
realtà di un’annichilente, beffarda crudeltà, contro la quale nulla si
può fare.
Dispiace solo per la mancanza di una prefazione, sempre utile, piacevole
introduzione a una raccolta di racconti.
Tra le migliori uscite del 2009, Malarazza è L’ACQUISTO indispensabile
per chiunque bazzichi il sottobosco horror italiano e sogni un futuro
decente per la narrativa di genere. E se non lo comprate, tra l’altro a
questo prezzo, dovreste davvero vergognarvi.
Voto: 8
[Simone Corà]
Incipit dal racconto "La carne"
Zoltan Nardi parcheggiò la bicicletta, ma ci rimase seduto sopra
ancora cinque minuti, il tempo di fumarsi un joint, prima
dell’inizio del turno.
Si stava ambientando un po’ alla volta in questo nuovo centro
commerciale, che riteneva ragionevolmente meglio del precedente. Da
dove, peraltro, era stato cacciato via senza troppi complimenti, causa
le sue continue assenze e nonostante fosse stato assunto come lavoratore
disabile. Tre anni prima Zoltan aveva perso due dita della mano destra a
causa di un incidente sul lavoro.
Era stato licenziato prima dell’estate (e giusto in tempo per partire
per Ibiza), quand’era rientrato dopo sei mesi di malattia per essersi
ferito a un mignolo della mango sinistra.