di José Saramago - pagine 513 - euro 11,50 - Einaudi
In una città qualunque, di un paese qualunque, un guidatore sta fermo al semaforo in attesa del verde quando si accorge di perdere la vista. All'inizio pensa si tratti di un disturbo passeggero, ma non è cosi. Gli viene diagnosticata una cecità dovuta a una malattia sconosciuta: un "mal bianco" che avvolge la sua vittima in un candore luminoso, simile a un mare di latte. Non si tratta di un caso isolato: è l'inizio di un'epidemia che colpisce progressivamente tutta la città, e l'intero paese. I ciechi, rinchiusi in un ex manicomio e costretti a vivere nel più totale abbrutimento da chi non è stato ancora contagiato, "scoprono - come ha scritto Cesare Segre - su se stessi e in se stessi, la repressione sanguinosa e l'ipocrisia del potere, la sopraffazione, il ricatto e, peggio, l'indifferenza" (dall'ultima di copertina).
Cosa succederebbe se tutti gli abitanti del pianeta diventassero improvvisamente ciechi?
Si scatenerebbe il caos, i governi crollerebbero, le città si trasformerebbero in
discariche a cielo aperto e i sopravvissuti (ridotti alla fame, alle malattie e alla
follia) vagherebbero come morti viventi alla disperata ricerca di cibo.
Il premio Nobel José Saramago ha descritto tutto questo in un romanzo
che non lascia nulla all'immaginazione: ogni dettaglio del degrado umano, anche il più
squallido e raccapricciante, non viene risparmiato al lettore. Ciò che spaventa e
inorridisce è l'assoluto realismo di questa realtà apocalittica dove uomini e donne
abbandonano ogni inibizione per trasformarsi in bestie primordiali. Da leggere!
Unica nota negativa di "Cecità" è l'inusuale struttura
narrativa che all'inizio rende davvero faticosa la lettura, il libro infatti è
caratterizzato da periodi lunghissimi che non si interrompono mai, e anche la forma dei
dialoghi è davvero particolare.
Voto: 7
Incipit
Il disco giallo si illuminò. Due delle automobili in testa accelerarono prima
che apparisse il rosso. Nel segnale pedonale comparve la sagoma dell'omino verde. La gente
in attesa cominciò ad attraversare la strada camminando sulle strisce bianche dipinte sul
nero dell'asfalto, non c'è niente che assomigli meno a una zebra, eppure le chiamano
così. Gli automobilisti, impazienti, con il piede sul pedale della frizione, tenevano le
macchine in tensione, avanzando, indietreggiando, come cavalli nervosi che sentissero
arrivare nell'aria la frustasta. Ormai i pedoni sono passati, ma il segnale di via libera
per le macchine tarderà ancora alcuni secondi, c'è chi dice che questo indugio, in
apparenza tanto insignificante, se moltiplicato per le migliaia di semafori esistenti
nella città e per i successivi cambiamenti dei tre colori di ciascuno, è una delle più
significative cause degli ingorghi, o imbottigliamenti, se vogliamo usare il termine
corrente, della circolazione automobilistica.
Finalmente si accese il verde, le macchine partirono bruscamente, ma si notò subito che
non erano partite tutte quante. La prima della fila di mezzo è ferma, dev'esserci un
problema meccanico, l'acceleratore rotto, la leva del cambio che si è bloccata, o
un'avaria nell'impianto idraulico, blocco dei freni, interruzione del circuito elettrico,
a meno che non le sia semplicemente finita la benzina, non sarebbe la prima volta. Il
nuovo raggruppamento di pedoni che si sta formando sui marciapiedi vede il conducente
dell'automobile immobilizzata sbracciarsi dietro il parabrezza, mentre le macchine
appresso a lui suonano il clacson freneticamente.