L'ultima caccia

di Joe R. Lansdale - pagine 177 - euro 11,00 - Fanucci

A volte accade di acquistare un libro pur sapendo con assoluta precisione qual sia il contenuto della storia, come si svolgerà, come saranno i personaggi e addirittura come finiranno le cose.
Soprattutto per gli amanti del sempre più onnipresente, prolifico e osannato Joe Lansdale, basta un cenno, un paio di parole, consegnare al futuro lettore tutte le suddette certezze.
È esattamente cosa accade con “L’ultima caccia”, nel momento in cui si descrive questo lavoro paragonandolo ad altri come “La sottile linea scura” o “In fondo alla palude”, da cui peraltro, si trae il contesto storico e ambientale.

Per chi si ricorda il momento de “In fondo alla palude” dove i due protagonisti, da una fessura del tetto, assieme ad altri due bambini, assistono dell’autopsia del cadavere di una donna, c’è da notare che sono proprio questi altri due, Richard e Abraham, uno black e uno white, gli eroi della cattura del grande Cinghiale che circola tra i boschi intorno al fiume Sabine. L’aggancio però è solo questo, perché le due storie si sviluppano distintamente, anche se vi sono i classici punti di contatto lansdaliani, come l’amicizia, la condanna al razzismo e il classico superamento dell’adolescenza.
Insomma, è il tipico romanzo di formazione che si può agevolmente regalare a un adolescente che non ama leggere. Certo, non c’è nulla di nuovo e, a dirla tutta, nessuna scena particolarmente brillante. Solo puro e semplice intrattenimento: un inseguimento, una caccia, le difficoltà nello sbarcare il lunario.
Il buon texano mantiene fede a due delle considerazioni che ormai si possono fare di tutti i suoi lavori:
1) si finisce sempre per dire che “non siamo certo di fronte al miglior Lansdale” (che cominciamo sempre più a pensare che non esista), ma non è poi così male.
2) Una volta cominciato a leggere, si è sicuri che si arriverà alla fine, e anche abbastanza in fretta.
Della trama ben poco da dire: due ragazzini vogliono catturare un cinghiale vecchio e cattivo, ed è ovvio che alla fine ci riusciranno, ma è altrettanto ovvio che non è certo questo il bello della storia, bensì il fatto che pare di essere seduti su una veranda, ad ascoltare le storie del nonno, che sputa grumi di tabacco e rende belli e misteriosi i fatti della sua adolescenza.
Piccola nota dolente, in questo periodo di eccesso di lansdalianesimo, gli 11 euro del prezzo, che per essere intrattenuti un pomeriggio, è onestamente troppo.
Voto: 6/7
[Gelostellato]

Incipit
Accadde nell’estate del 1933 tra le paludi del fiume Sabine, nel Texas orientale. Quelli che ancora se lo ricordano, lo chiamano il Cinghiale del demonio.
Fu anche l’anno in cui Richard Harold Dale diventò uomo all’età poi non così matura di quindici anni.
So quello che dico perché probabilmente quell’anno e il Cinghiale del demonio me li ricordo meglio di chiunque altro. E ne ho ben donde. Sono io Harold Richard Dale e ne porto tutt’ora le cicatrici.
Erano tempi duri quelli. Davvero duri. La Depressione infuriava e sopravvivere non era molto facile.
Immagino che, sotto molti punti di vista, a noi gente della campagna e delle paludi andasse meglio rispetto ai fighetti di città. Eravamo sempre stati poveri, e quando le cose si fecero difficili non ce ne accorgemmo quanto quelli che avevano lavori stabili e li persero. La nostra famiglia viveva dei prodotti della terra, come era sempre stato, coltivando ciò che mangiava e vendendo l’eccedenza.