di Eraldo Baldini - pagine 171 - 8,50 euro - Frassinelli
La prima antologia di Eraldo Baldini, quella che ne ha definito e reso celebre lo stile e le linee guida di una sua personale rielaborazione del racconto fantastico. Ambientazioni rigorosamente nostrane, e come specificato nel titolo rurali. La realtà dei piccoli paesi di campagna, collina o palude (paludi nebbiose, minacciose, presenti in successive opere di Baldini, forse trasposizione letteraria di quelle presso cui originariamente fu fondata Ravenna, la sua città natale). Comunità a volte formate da gente semplice e spensierata, altre di gente che porta il suo isolamento come un pesante fardello sulle spalle.
Le tematiche: il ricco e vario patrimonio di leggende e tradizioni di queste realtà. Che
si mostrano sorprendentemente, e spesso orribilmente dure a morire di fronte al mondo
moderno.
I fantasmi di Baldini sono poco edulcorati, non adulterati da elucubrazioni
trascendentali, poco letterari. Sono sempre la personificazione di terrori
atavici delluomo semplice (la nebbiosa Borda del racconto Nella nebbia;
lagghiacciante lamento che si propaga nelle campagne come in Il Gorgo nero;
la follia festante che degenera in Re di Carnevale). Molto spesso sono
generati dallo stesso animo dei protagonisti, dal loro lato più oscuro, e ne riemergono
per rammentare il senso di colpa per antichi crimini e misfatti commessi da unintera
piccola comunità (come accade in La collina dei bambini e A
lume di candela). Neanche i bambini, associati tradizionalmente a
personificazione dellinnocenza, sono estranei dal celare il lato oscuro
delluomo (vedi il racconto Linsuccesso scolastico e le sue
conseguenze). Particolarmente inquietanti poi racconti come Foto
ricordo e Urla nel grano. Chiude il libro una breve
post-fazione di Francesco Guccini.
Una raccolta di racconti caldamente consigliata.
Voto: 8
[Vincenzo Barone Lumaga]
Incipit (dal racconto La collina dei bambini)
La ruspa si zittì a mezzogiorno meno dieci, e Gianni Vincenti tirò un sospiro
di sollievo. «Meno male», borbottò, «hanno deciso di fermarsi un po prima,
stamani.»
Stavano sbancando la cima di quella collinetta da tre giorni, e quellossessivo,
fragoroso ruggito non dava tregua, non gli consentiva di concentrarsi sullo schermo del
computer. Lavorava allultimo capitolo di quello che sarebbe stato il suo secondo
libro, e aveva bisogno di pace e silenzio. Ma neppure coi tappi nelle orecchie riusciva a
ottenerli, e non capiva se a disturbarlo davvero fosse quel po di rumore che
trapassava le palline di cera, o la rabbia per la tranquillità perduta. Perduta forse per
sempre.
Quella collinetta (solo una modesta, morbida convessità del terreno, per la verità) non
aveva mai conosciuto, chissà perché, il cemento o lasfalto. La posizione era
stupenda, ma nessuno ci aveva mai costruito. Ora su quella dolce ondulazione verde che
Gianni vedeva, vicina, dalle finestre di casa sua, si sarebbe insediata (come un
parassita, gli veniva da pensare) la villa di un tale che aveva acquistato il terreno del
vecchio Sani, bisognoso di denaro dopo il fallimento del mobilificio.
Gianni si alzò dalla sedia lasciando i computer acceso, andò alla porta-finestra e
scostò le tende. La ruspa era stata sì fermata, ma a differenza degli altri giorni non
vide gli operai seduti attorno alla baracca degli attrezzi, con i panini in mano Erano
tutti là, chini a guardare nella terra squarciata, e si sentivano voci concitate, uno
faceva ampi gesti con le braccia e un altro, salito sulla jeep, partì verso il paese.
Gettò unaltra occhiata allorologio: quasi ora di mangiare. Spense il
computer, prese dal cassetto della scrivania il pacchetto delle sigarette e
laccendino e uscì nella veranda. Laria era fresca, e luce viva e ombra
repentina si alternavano sui prati al passare rapido di nuvole primaverili.
Accese una sigaretta e guardò gli uomini indaffarati a frugare con le mani nel terreno.
Uno si girò, lo vide, e con un «Ehi, professore!» che arrivò aiutato dal vento, e con
un gesto del braccio, linvitò ad andare là.
Si guardò i piedi e constatò di avere le ciabatte. Rientrò, si infilò le scarpe e il
giubbotto, inforcò gli occhiali e uscì di nuovo. Forse gli operai avevano trovato
qualcosa, nella collina. La curiosità gli fece tenere un passo svelto.
Già a una decina di metri dallo scavo vide cosera: nello scuro della terra
biancheggiavano un numero incredibile di ossa.
E quei teschi parlavano chiaro: erano ossa umane.