di Scott Smith - pagine 443 - euro 18,50 - Rizzoli
Non occorre essere per forza sempre originali. Non è necessario mettere in piedi idee rivoluzionarie che sconvolgano il mondo narrativo. Non bisogna essere obbligati a inventare qualcosa di nuovo per essere apprezzati. Rovine, di fatto, ha una trama classicamente lineare, ordinaria, se vogliamo, che prende spunto dal miasma survivor-orrorifico per eccellenza (un gruppetto di ragazzi in vacanza in Messico, un giovane scomparso, e un orrore inimmaginabile che li metterà alla prova con loro stessi - e quando dico orrore, dico orrore; quel thriller che lampeggia in copertina è assolutamente fuori luogo), ma che non vuole farsi portabandiera di sterili vaneggiamenti letterari.
Scott Smith ha semplicemente raccontato una storia, diretta e immediata,
ma non per questo meno spontanea. E ha puntato sui sentimenti. Pochi dialoghi, ridotti
allosso, ampie descrizioni e parentesi emotive. È su questo che gioca lo scrittore
americano, sugli animi dei protagonisti (dei lettori), su ciò che provano, su quello che
vivono. Rovine è un continuo intrecciarsi di pensieri, sensazioni, dubbi e
sospetti. E mentre la trama evolve poco a poco, Smith continua a tornare sul reparto
psicologia, ricalcando e soffermandosi sulle percezioni di Jeff, Amy, Eric, Stacy, Mathias
e Pablo, dove lamore diventa odio, dove lequivoco si trasforma in certezza,
dove la rabbia muta in lacrime. Senza MAI stancare, senza MAI essere pesante, senza MAI
risultare tedioso, senza MAI sfociare nel ridicolo, senza MAI ripetere se stesso. Sintomo,
questo, di grande dottrina narrativa, che permette alle sue parole di essere sempre varie,
ma soprattutto fluide e scorrevoli. La scelta di non dividere il romanzo in capitoli, ma
semplicemente in paragrafi, infatti, verte proprio sulla ricerca di uneleganza
stilistica capace di ancorare il lettore, farlo commuovere e contagiarlo di una curiosità
che gli impedisca di staccarsi dallimmaginario creato.
La trama, dal canto suo, è abile ingannatrice in terra dimmedesimazione, grazie a
un sorprendente crescendo dorrore. Questo sì, segue ciecamente una linea evolutiva
semplice ed evidente, ma monopolizza, a ogni cambio di registro, il controllo delle
emozioni, accaparrandosi così il diritto di irruzioni inaspettate, che equivalgono a un
calcio nei reni, sentimentalmente parlando.
La degradazione a cui vanno incontro i sei malcapitati turisti, la spirale di sofferenza e
disagio che li avvolge, lo sconvolgimento fisico e mentale che li percuote, tutto è
votato a far patire il lettore, negandogli ogni spiraglio di luce e di salvezza narrativa.
Smith sa inoltre prendersi in giro, relegando volontariamente la sua opera nel circondario
di spazzatura letteraria-cinematografica (il già citato spunto di partenza che, per
quanto affascinante è molto abusato, e le prime bozze di caratterizzazioni - tutte parti
abilmente derise tramite il delirio di uno dei protagonisti), per poi distruggere e
spazzare via qualsiasi riferimento banale o derivativo, portando una (poca, ma sincera)
ventata di novità dalla metà in poi.
Una prova superlativa, che ha permesso a chi scrive di vivere il romanzo come poche altre
volte gli era capitato prima dora. Unesperienza.
Voto: 9
[Simone Corà]
Incipit
Mathias lavevano conosciuto a Cozumel, durante una breve gita. Avevano
presto come guida un pescatore che doveva portarli a vedere - con maschera e boccaglio -
il relitto di una nave affondata lì vicino, ma la tempesta aveva trascinato la boa che
segnalava il punto del naufragio e la guida non riusciva a trovarlo. Così si erano
limitati a nuotare vicino alla barca, senza osservare nulla in particolare. Poi, dalle
profondità, avevano visto salire verso di loro Mathias, come un tritone di qualche
vecchio mito e con le bombole sulla schiena.
Mathias sera messo a sorridere quando aveva saputo delle loro difficoltà, poi li
aveva portati a vedere il relitto. Era un tedesco dalla pelle abbrustolita dal sole, lungo
lungo, con i capelli biondi tagliati a spazzola e gli occhi del colore dei jeans
scoloriti. Sullavambraccio destro aveva il tatuaggio di unaquila nera con le
ali rosse.
Aveva prestato loro le bombole a turno, perché potessero scendere a dieci metri e vedere
meglio il relitto. Era un tipo cordiale, ma senza eccessi di familiarità, e parlava
inglese con soltanto un lievissimo accento straniero. Quando erano risaliti sulla barca
della guida per fare ritorno a riva, era venuto via anche lui.
Avevano incontrato i greci due sere più tardi, dopo il rientro a Cancún, sulla spiaggia
davanti allhotel.