La notte dei morti viventi

di John Russo - pagine 202 - Siad

Il 1968 rimarrà un anno da ricordare perché, nel 1968, i morti cominciarono a camminare. Mossero i primi passi in un pomeriggio torpido, in mezzo alle tombe di un tranquillo cimitero di campagna e a evocarli era stato George A. Romero.
Quando Night of the Living Dead uscì nelle sale, il pubblico rimase affascinato da quel film anomalo, dalle sue inquadrature in bianco e nero, stranianti e perturbanti, nonché dallo stile registico di Romero, crudo e disadorno, da home movie, che conferiva alla sua storia un’aura di autenticità inquietante, quasi da reportage o documentario allucinato.

Dieci anni più tardi, nel settembre del 1978, i morti continuarono a camminare e comparvero sulla copertina del primo numero de “I libri della paura” della Siad, celeberrima e storica collana curata da Vittorio Cartoni e che, nell’arco di un’esistenza relativamente breve, ha pubblicato numerosi e ricercatissimi classici e novelizations tratte da film famosi.
Il romanzo porta la firma di John Russo, sceneggiatore della storia assieme a Romero, e rappresenta un’occasione irripetibile per rivivere l’atmosfera del film: nelle pagine del suo libro Russo riesce a ricreare a poco a poco, insensibilmente, la stessa atmosfera spettrale del film, dilatando sapientemente le attese, accelerando i ritmi, scandendo la propria narrazione secondo il ritmo della suspence, e trasformando i vari episodi in fedele contrappunto ad altrettanti momenti del film. E’ la forma, forse più del contenuto, a contribuire all’impatto della vicenda, che Russo decide di rievocare con un tono sobrio, asettico, paurosamente sommesso... quanto basta per dipanare davanti agli occhi del lettore una progressione spaventosamente logica di eventi e, soprattutto, per rendergliela credibile.
La storia è nota: le radiazioni provenienti da un satellite precipitato sulla costa orientale degli Stati Uniti fanno sì che i morti resuscitino dalle tombe e ricomincino a vagare nel mondo, sospinti da una fame insaziabile, animati da un’energia misteriosa che si può estinguere solo colpendoli alla testa.
La notte dei morti viventi è la cronaca di un pugno d’ore di terrore vissute da sette persone asserragliate in una casa isolata e assediata dai morti, ambientazione claustrofobia che qui assolve una duplice funzione; da una parte mantiene costantemente viva la tensione grazie al meccanismo perverso (e già ampiamente collaudato nel film), del gioco di fughe, incursioni disperate all’esterno, scaramucce, irruzioni inattese, dall’altra fornisce a Russo l’habitat ideale per la rappresentazione di una faida interna, per condurre, per così dire in vitro, un esperimento lucido e spietato sulla natura umana e sulla sua fondamentale corruzione, esemplificata nella figura di Harry, ottuso padre di famiglia, personaggio in cui molti hanno ravvisato l’incarnazione di quell’egoismo impaurito che impedisce a tanti (forse a troppi) di lasciarsi coinvolgere nei problemi del mondo. Non solo libro horror, dunque, La Notte, ma, nel suo piccolo, anche latore di messaggi dalle valenze sociali e civili ben precise e tra i quali spicca, ad esempio, la critica implicita a qualunque forma di repressione autoritaria e indiscriminata (illustrata dalla strage cieca e sommaria perpetrata dagli “uomini dello sceriffo”, privi di anima quanto i morti che combattono) o, ancora, la messa in discussione del maschio bianco (non è un caso che, nel cast dei personaggi, i due più razionali e costruttivi siano proprio una donna, Barbara e una figura, vagamente messianica, di negro, Ben.
Che Russo e Romero abbiano voluto narrare qualcosa di più che non una semplice storia dell’orrore? Molti ne sono persuasi e non è un caso che il sequel del film sia ambientato in un centro commerciale, correlato famelico di una moderna cultura cannibale, il consumismo, nonché nuovo tempio negromantico in cui si aggirano morti viventi dalle coscienze ottuse e le anime spente.
Comunque stiano le cose, nel 1968 i morti hanno cominciato a camminare.
E camminano ancora.
Voto: 8/9
[Francesco Campanelli]

Incipit
Pensate a tutta la gente che è vissuta ed è morta e non vedrà mai più gli alberi, l’erba, il sole.
Tutto sembra così, così breve, così... inutile, non è vero?
Vivere per un po’ e poi morire. Tutto sembra ridursi a così poco.
Eppure, in un certo modo, è facile trovarsi ad invidiare i morti.
Essi sono fortunati ad esser morti, ad aver risolto il problema della morte, e a non dover più vivere.
Ad esser sottoterra, immemori... immemori della sofferenza, immemori della paura di morire.
Essi non sono più costretti a vivere. O a morire. O a sentir dolore. O a portare a compimento qualcosa. O a chiedersi che cosa fare poi. O a chiedersi che cosa si prova a dover morire...