di Richard Matheson - pagine 200 - euro 3,00 - Mondadori
Una misteriosa epidemia trasforma tutti gli abitanti della Terra in terribili vampiri assetati di sangue. Solo un uomo si salva dal contagio, Robert Neville, unico superstite in un mondo di mostri. Durante la notte rimane nascosto nella propria casa fortezza mentre di giorno, esce per uccidere i vampiri.
Paradossalmente l'uomo diventa l'eccezione, il
"mostro", mentre i vampiri, razza ora predonominante, diventano la norma in
questa nuova, spaventosa, realtà.
"Io sono leggenda" è un romanzo che narra in modo superbo
tutti gli aspetti di un incubo angosciante e che illustra con lucidità un pianeta
devastato dalla follia e dalla morte. Un capolavoro! Voto: 10
Incipit
Nei giorni come quello, in cui il cielo era coperto di nuvole, Robert Neville non
era mai sicuro di quanto mancava al tramonto e a volte li trovava già nelle strade, prima
di riuscire a rientrare in casa.
Se non avesse avuto tanta avversione per la matematica, avrebbe potuto calcolare l'ora
approssimativa del loro arrivo; invece, si atteneva ancora all'antica abitudine di
regolarsi sul colore del cielo per stabilire la fine del giorno, e, nei pomeriggi senza
sole, quel sistema non funzionava. Perciò quando il cielo era grigio, non osava
allontanarsi troppo dalla sua abitazione.
Fece il giro della villetta nel cupo grigiore del pomeriggio; dall'angolo delle labbra gli
penzolava una sigaretta, che si lasciava dietro una sottile scia di fumo. Controllò ogni
finestra per vedere se qualcuna delle tavole era staccata. Dopo gli assalti più violenti,
molte assi rimanevano scheggiate o danneggiate in altro modo e bisognava sostituirle. Un
lavoro che odiava. Ma quel giorno ne trovò solo una traballante. Davvero una bella
fortuna, si disse.
Terminato l'esame della facciata, andò in cortile per dare un'occhiata alla serra e alla
cisterna dell'acqua. A volte cercavano di danneggiare la struttura di sostegno della
cisterna o di piegare e rompere i tubi che venivano dalla pompa. A volte lanciavano sassi
al di sopra dell'alta recinzione che circondava la serra e di tanto in tanto riuscivano a
sfondare la rete che la proteggeva in alto; allora Neville era costretto a sostituire
qualche pannello di vetro.
Ma la cisterna e la serra, quel giorno, non apparivano danneggiate.
Rientrò in casa per prendere il martello e i chiodi e, nell'aprire l'uscio, scorse la
propria immagine nello specchio che aveva inchiodato sul pannello, un mese prima.
L'immagine era distorta, lo specchio incrinato. Al primo attacco, le taglienti schegge di
vetro argentato sarebbero cadute a terra. "Cadano pure" si disse Neville.
"E' l'ultimo specchio che inchiodo qui fuori. Non servono a niente, gli specchi.
Meglio appendere una collana d'aglio. L'aglio è sempre efficace".
Scivolò lentamente nel denso silenzio del salotto, si diresse a sinistra per imboccare il
breve corridoio e poi ancora a sinistra per entrare nella camera da letto.
Un tempo, l'arredamento di quella stanza era allegro e confortevole, ma a quell'epoca le
cose erano molto diverse. Adesso, l'aspetto era funzionale e basta. Poichè il letto e
l'armadio occupavano pochissimo spazio, Neville aveva trasformato in laboratorio l'altra
estremità della stanza.
La parete era quasi interamente occupata da un bancone con il ripiano di legno grezzo
ingombro di una grossa sega a nastro, di un tornio da falegname, di una mola a smeriglio e
di una morsa. Al di sopra, sulla parte, c'era una mensola occupata da una distesa
disordinata degli attrezzi usati da Robert Neville.