L'esorcista

di William Peter Blatty - pagine 393 - Club degli Editori

Georgetown, Stati Uniti. La tranquilla e felice esistenza di Chris MacNeil, una giovane attrice di successo, viene drammaticamente interrotta da una misteriosa malattia mentale che colpisce la figlia Regan. La ragazzina si "trasforma" in un essere brutale e violento caratterizzato da una malvagità che nulla ha di umano. Chris si rivolge a medici e psichiatri ma nessuno di questi riesce a risolvere il tragico problema.

Regan è affetta da una grave forma di schizofrenia o è veramente posseduta da un'entità diabolica? Il prete gesuita Damien Karras, esperto di psichiatria, cerca in tutti i modi di salvare la bambina. "L'esorcista", narrato superbamente da William Peter Blatty, è il romanzo horror più terrificante che mai sia stato scritto. E' un angosciante e sconvolgente viaggio nei recessi più oscuri della follia umana. Un capolavoro che vi regalerà parecchie notti insonni. Voto: 10

Incipit
L'avvampare del sole spremeva goccioloni di sudore dalla fronte del vecchio, tuttavia egli strinse il bicchiere di tè bollente e dolciastro tra le mani, come a scaldarle. Non riusciva a scrollarsi di dosso il presentimento. Gli si era appicciato sulla schiena come gelide foglie fradice.
Gli scavi erano terminati. Uno strato dopo l'altro, il suolo era stato setacciato; gli oggetti trovati nelle sue viscere, esaminati, etichettati, erano già stati spediti. Le collane e i ciondoli, le gemme incise, i falli, i mortai di pietra viva dipinti con l'ocra, i vasi bruniti. Niente di eccezionale. Un cofanetto assiro d'avorio, con l'occorrente per la toletta. E resti umani. Ossa umane. Gli avanzi friabili dell'angoscia cosmica che in un tempo lontano lo avevano indotto a chiedersi se la materia non fosse Lucifero brancolante verso i cieli per tornare al suo Dio. Ma ormai aveva perso le illusioni. La fragranza delle piante di liquirizia e dei tamarischi attirò il suo sguardo sulle alture coperte di papaveri, sui canneti delle piane, sul tratto di strada scabra e sassosa che si tuffava a capofitto nell'orrido. A nord-oves c'era Mossul, a est Erbil, a sud Bagdad e Kirkuk e la fiammaggiante fornace di Nabucodonosor.
Era seduto a un tavolo davanti alla solitaria baracca sul bordo della pista; spostò le gambe e rimase in contemplazione delle macchie d'erba che imbrattavano i suoi stivali e i suoi pantaloni cachi. Bevve un sorso di tè. Gli scavi erano terminati. Cosa stava per cominciare? Indugiò a forbire il pensiero come un reperto ancora sporco di argilla, ma non riuscì a catalogarlo.
Dall'interno della chaykana uscì ansando il padrone, vizzo e sfatto, si trascinò veso il tavolo scalciando polvere con le scarpe di fabbricazione russa, portate come ciabatte, la parte posteriore del tomaio che gemeva schiacciata sotto il calcagno. La sua ombra scura si proiettò sul tavolo.
"Kaman chay, chawaga?..."
L'uomo in cachi scosse la testa, lo sguardo fisso su quelle scarpe senza lacci, incrostate dei detriti della sofferenza di vivere. La sostanza del cosmo: materia, meditò tra sè e sè, eppure, in qualche modo, spirito, alla fine. Spirito e scarpe per lui non erano che due aspetti di una materia prima fondamentale, la materia originaria e del tutto differente.