di Stephen King, Peter Straub - pagine 731 - euro 4,60 - Mondadori
French Landing potrebbe essere la classica cittadina che fa da sfondo alle fiabe più cupe e spaventose, qui infatti dimora un orco sanguinario, chiamato "il Pescatore", che rapisce i bambini e li divora. In mezzo al bosco inceve, c'è un'inquietante casa dipinta di nero che evoca orrori lontani e innominabili.
Jack Sawyer, ex poliziotto dal passato emblematico, mentre indaga sui feroci omicidi che terrorizzano il paese scopre l'oscuro legame che unisce il Pescatore alla misteriosa casa nera. Scritto a quattro mani da Stephen King e Peter Straub, "La casa del buio" è senza dubbio uno splendido romanzo che regala suggestive atmosfere horror, visioni infernali, azione e brividi a non finire. Da leggere! Voto: 8,5
Incipit
Qui e ora, come diceva un vecchio amico, siamo nel presente che scorre, dove
neppre una vista sgombra garantisce una visione perfetta. Qui: sessanta metri,
l'altezza di un'aquila librata in volo, sopra il limitare occidentale del Wisconsin, dove
il Mississippi traccia sinuosi confini. Ora: mattina presto di un venerdì a
metà luglio, qualche anno dopo l'inizio di un nuovo secolo e di un nuovo millennio; anni
segnati da una tale sotterranea tortuosità che un cieco avrebbe maggiori possibilità di
voi e di me di vederne gli sviluppi futuri. Qui e ora sono le sei appena passate, e il
sole è basso nel limpido cielo orientale, un grande disco fiducioso bianco-giallo rivolto
come sempre al futuro lasciandosi alle spalle il passato, che si accumula senza posa, che
si oscura nel recedere, rendendoci tutti ciechi.
Sotto, il sole radente accende di luce liquida le ampie increspature del fiume, e i raggi
rimbalzano dalle rotaie della ferrovia. La Burlington Northern Santa Fe si snoda tra la
sponda e il retro di fatiscenti case a due piani lungo la County Road OO, nota come la via
dei chiodi: è il punto più basso di un ridente paesino interpicato sul fianco della
collina, a est rispetto alla nostra posizione. In questo momento, nel distretto di Coulee,
si direbbe che la vita stia trattenendo il fiato. L'aria immota intorno a noi è talmente
pura e dolce da farti pensare di poter sentire l'odore di una radice strappata dal terreno
a un chilometro di distanza.
Avanzando verso il sole, ci stacchiamo dal fiume e dalle rotaie lucenti,
dai tetti e dai cortili della via dei chiodi e sorvoliamo una fila di Harley-Davidson
poggiate sui cavalletti. Queste modeste casette sono state costruite all'inizio del secolo
da poco concluso per gli operai delle fabbrica di chiodi Pederson. Contando sul fatto che
quei disgraziati di lavoratori non si sarebbero lagnati delle abitazioni fornite a prezzo
agevolato dall'azienda, gli edifici erano stati costruiti in grande economica. (La ditta
Pederson, che negli anni Cinquanta aveva sofferto di ripetute emoraggie, si era
dissanguata definitivamente nel 1963.) Le Harley fanno pensare che agli operai sia
subentrata una gang di motociclisti. L'aspetto feroce dei loro proprietari, uomini
panciuti, dalle chiome e dalle barbe incolte, che sfoggiano orecchini, giubbotti di pelle
nera e dentature piuttosto carenti, sembrerebbero confermare quest'ipotesi. Come spesso
avviene con le supposizioni, anche questa contiene una scomoda mezza verità.