Concorso di poesia horror.
Flavia Federico interpreta "Sussurri" di Luigi Brasili.
Lunga è la notte laddove io regno,
graffi nel legno, di gelide porte.
E fredde le mura, se c’è la paura.
Sussurri bugiardi tra lampi di nero,
tu tremi davvero, ti muovi, ma è tardi.
No, non c’è cura, ma solo paura.
Angoscia bambina sugli occhi del mostro,
artiglio ch’è rostro, Babau si avvicina.
Sfuggirmi è ormai dura, io, sono Paura.
Volevo il tuo amore
mi hai dato invece
rabbia e rancore.
Volevo il tuo cuore
ma mi hai colmata
di odio e dolore.
Ora il tuo cuore
ce l’ho tra le mani
sanguina e palpita.
Non vedrai il domani.
Prostrati,
Si seppellirono in terre umide.
Ossute crocchiano le giunture
mentre grattano dai denti
ragni e topi.
Ciechi per età,
infezioni,
il buio per ultimo amico.
Non hanno più
con chi parlare.
La loro fame
cerca i vermi tra le rughe.
Un tempo infuriavano
nelle fiabe,
divoravano i bimbi dalle culle.
Ora
che mostrarsi è morire,
nobili,
durano.
Attraverso la pioggia
rassegnata vita cadente
sfuma la mia eterna notte
nei sospiri cupi delle vele
su onde turbate
dalla mia oltraggiosa anima.
Nessun approdo
appare dal profondo
e perdo antiche speranze di salvezza
nella deserta penombra del ponte
nei gemiti stanchi dei fantasmi.
Non udirò più voci nell’alba.
Non ancora
è l'anima mia
separata
da questa carne viva,
che nell'abisso scende
intrecciando arabeschi
di luci e alghe.
Parlami,
toccami
ora
poichè nulla sentirò
quando
in fondo al mare
oscurità
diventerò.
Crebbe il mirto, d’altro fu il rovo,
ortica, acacia, biancospino.
Dicevano strega, eri una bambina.
Noi in troppi e troppo
il nostro amore.
Un mazzo di carte, due chiodi
a spalancar le cosce.
Fiera, graffiavi,
e ora i germogli:
rami, foglie, spine, fiori,
a spaccar pelle, intasare gole.
Esploso il volto al re di picche,
Aspetto
io,
due di cuori.
Fosco e fulmineo presagio
priva del sonno ogni agio
con lesta palpitazione e tremito incontrollato
volgo intorno lo sguardo ammaliato
eccola!
corvina figura con manto e copricapo
fumosa incombe opprimendo ogni respiro
e ineluttabile grava sull’anima
che con tacito grido accoglie l’assidua presenza
A volte Clito
Al figlio Atlante
Racconta il mito
Tutta tremante.
“Quest'è esistito
Un tempo, quando
Tra lor la guerra
Fu dilagando.
Su quella terra
Dove passando
Furono plebei
Tempo lontano,
E nobili, e dei.
Ciascun umano
Di cui ti tessei
La narrazione.
Un'amantide
Sol, salvazione
Ad Atlantide
Trovò”. Canzone
Degl'istanti de
Il 21.12.2012.
Stelle sbilenche
nel cielo di pece.
Mi stendo al tuo fianco
su un morbido manto.
Ti stringo forte
ti trafiggo la carne
scavando smanioso
fra tendini e nervi.
Lacrime e sangue
sgorgan copiosi
mentre devasto
il tuo corpo stupendo.
E’ soltanto l’inizio
di un incubo eterno.
Siamo donne di cenere,
martirio di fumo,
vendetta che indugia
in parcheggi e semafori.
Prendiamo posto,
irruenti,
nei polmoni della vostra progenie.
Il Maligno
sangue nostro
dal vostro seme.
Forgiaste triangoli,
ruote, pali, aculei
supplizi d’unghie e seni.
Ci chiamavate streghe,
ma eravamo solo femmine
o puttane.
Bruciammo,
urlanti,
imperdonate.
Tu che guardi
l'occhiello vuoto
sul mio cuore,
raccogli il mio lamento sparso
e appuntalo sul petto,
ultimo fiore di settembre,
in ricordo della tua passeggiata
nella città dei dannati.
proprio come voi
sono carne e sangue
cellule e materia
la vostra carne il vostro sangue
le vostre cellule la vostra materia
ma con un p(l)us
mi cibo di carne e sangue
mi cibo di voi
mi cibo di cellule e materia
mi cibo di voi
la vostra carne
il vostro sangue
le vostre cellule
la vostra materia
dell’umano
l’insano
del sacro
il cancro
proprio di voi
cicatrici d’asfalto
catrame fuso
a rimarginare
graffi di verginità
filo per sutura
nero
l’inchiostro
che tu chiami... parole
non senti
il dolore
ché ti tiene in vita
creatura
Dr. Frankenstein
Lui è lì
ne sei consapevole.
Quel mondo ovattato e onirico ti ha inghiottito,
ha plasmato il bambino che in te alloggia.
Lo vedi,
oggi come allora,
nulla è cambiato
sei solo un corpo cresciuto,
ma il terrore più cupo è ancora lì, nell'ombra,
con il suo arto immondo che aspetta,
di agguantarti l'anima e trascinarla nelle tenebre.
Un fiore velenoso è sbocciato.
La tempesta non lo vince
e del sole si ride
nell'ardore dell'estate.
E' di colore rosso, antico è il suo profumo,
sa di polline e di pioggia.
Sogna che una mano lo colga
per accendere uno sguardo,
ma è un fiore velenoso
e il mio cuore lo raccoglierà
per spegnere un desiderio.
lecco scampoli di pelle
per asciugarla
ferita
col ghiaccio fuso
di saliva all’aria
alcol
ad incendiarla
carne
...
ben cotta