Concorso di poesia horror.
Elena Vesnaver interpreta "Il testamento della strega" di Miriam Mastrovito.
Bendata, da lancia trafitta.
Mi avete negato il domani.
Sul rogo umiliata, sconfitta
e voi che battete le mani.
Non temo la fiamma che avanza
e nemmeno il giudizio supremo,
piuttosto la vostra ignoranza.
E’ solo per questo che tremo.
Bruciata nel nome di Dio
perché ho rifiutato l’abiura.
Il mio nome cadrà nell’oblio
ma a voi resterà la paura.
E si dice che la luna
Lasci il sangue dei morti
Tra le grinze della terra
E in lacrime la madre morente
Ti regali quel bacio
Per impedirti di respirare.
Livor mortis, blocco dell'anima;
Un vespro di candele accese
Tra venti nudi e funebri
Sillabanti di sibili di salsedine
E il sogno è un rogo di sabbia
Nell'attimo prima di riposare.
Mute, possenti onde
si abbattono senza posa
sui bastioni del Tempo.
Oltre le scure regioni dello Spazio,
ove ardono soli in disfacimento,
si rincorrono echi, memorie:
tarli della ragione.
Esplodono crepuscoli
in un cielo lacero,
disabitato.
E ci stringiamo in un vano amplesso,
doloranti
come infinite schiere di fanciulli
in ginocchio sui ceci.
Si abbatte la notte
sul collo del sole
e rotola un grido
nella cesta del mare.
Luna di lama su pelle d'albume, d'un tratto si staglia il taglio
veloce.
V'è luce tra il collo e la testa, la tasto, è perfetta.
Di fretta la svuoto, le orbite vuote saranno i miei lumi.
L'amo, è la lampada che sempre ho voluto.
V'è lutto e velluto sul mio secretaire.
La giusta atmosfera per scrivere un noir.
Bambola spenta
innocuo animale
Regina di specchi
Cura al mio male
Neri capelli
pallido il viso
labbra contratte
in tenue sorriso
Occhi di bile
sguardo di brace
incidon pian piano
"Dolor" sul torace
Non fatta di pezza
porcellana o legno
Carnale il calore
d'acqua il disegno:
Sul corpo l'amore
che stupra la mente
Nell'anima la morte
di futuro e presente
Nell’oscurità seduci.
Mi inghiotti.
Principe senza occhi,
senza verbo,
amorevole,
dalle Tenebre mi osservi.
In morbidi guanti
artigli mortali,
antico come il Creato
marionetta della luce.
Nell’Ultimo Giorno,
quando il mio sguardo sarà libero dal chiarore del mondo
e la Morte scioglierà il mio corpo, tuo carceriere,
sarai libero
e io con te.
Dolce notte senza vento
lucciole come lacrime di stelle
disegnano il mio sentiero.
Ponti di ninfee attraverso
su dell’anima lo specchio.
Fate e folletti con fatui fuochi
mi rendon centro dei loro giochi
girotondo eterno di bimbo e vecchio.
Pensieri d’un tempo perso
saran scia di veliero.
Han deciso le tre sorelle
del mio viaggio non mi pento.
Le porte della mente sbattono
nei ricordi di pianti infantili.
Piccole mani afferrano
il cuore.
Candide membra
avvolte dal fuoco
anneriscono,
si sciolgono.
Il cuore si scioglie,
brucia dentro,
per un crudele atto
d’amore.
D’improvviso davanti a me
il bagliore tanto bramato.
Incastonato tra i rami,
l’alveare dorato
splendeva:
una saetta
nella notte spenta;
l’occasione del riscatto,
per un destino
che cieco non pare affatto.
Annientai l’anima del mondo
e il debole filo che lo teneva in vita.
L’esistenza non è una grazia:
dell’avvilimento umano
si sazia.
Marmorea
come pallida statua di ghiaccio
immutabile eterna fanciulla
Eterea
volteggi in un cerchio di fuoco
compulsivamente
sparizione perfetta
contorno liquefatto
Perlacea
come falce di luna calante
ridisegni il perimetro del tuo corpo
fragile
spicchio di specchio
tagliente profilo gotico
dalle ossa aguzze
sempre troppo distanti
Dilanio tre anime lorde
di frutti del regno mio nefasto,
attendo la resurrezione di corpi, a orde,
che darà più sapore all'inumano pasto.
Scricchiola la notte
di sussurri senza senso:
un’ombra di bruma
spiffera e sospira
e dita indistinte
di morti senza morte
m’afferrano e m’affondano
in buio senza quiete.
Silenziosa danza
nel buio fusa
un’ambigua figura.
Scivola la sua lama d’argento
a disegnare
invisibile
un filo rosso sulla gola
poi volteggia
e se ne va
mentre zampilli di morte
di cremisi tingono la luna.
Vagavi nella bruma,
ti vidi, eri la morte,
giungevi a me per sorte.
Mi prendi e timor sfuma.
Lieve qual bianca piuma,
varcai le ignote porte
di realtà distorte:
ero cigno, tu puma.
La falce non hai mossa.
“Amo la tua figura,
ti salvo dall’orrore!”
Vòta resta la fossa,
volo con te sicura:
non fu sorte, fu amore.
io, disgraziato,
in questo limbo di nebbia nera,
la vita altrui osservo,
silenzioso spettatore,
giacché vita non possiedo.
Fantasma stordito la guardo,
lupo affamato la inseguo e,
unico sollievo,
la catturo quando,
nell’istante dell’ultimo sospiro,
dagli occhi vitrei delle vittime
sfuma.
Contemplando cupi cumulonembi,
conduco carretti che caricherò con cadaveri,
complici cimiteriali custodi.
Cucirò cuore con corpo, cervello con capo.
Con carne corrotta, che cenere coprì,
costruirò creatura che cammina.
Non è smeriglio d’artigiano
a grattare sul tetto del tuo rifugio,
ma le unghie di mille streghe furenti
nell’ombra della mia fucina.
Tu non scorgi la scintilla
nei miei occhi.
(fuochi fatui e mirabili follie)
Sappi che un attimo
è abbastanza per sapere.
Questo acciarino illuminò la stanza.
Un attimo fa
ho visto il mio riflesso
nello specchio.
/Nell'alba velata di bruma/
/ascolto le urla dei morti,/
/sepolto nell'abissale cavità/
/d'una tomba profanata./
/Sfuggo alle bestemmie crescenti/
/degli insepolti che vagano intorno/
/e al pensiero/
/d'un non ritorno fra i viventi/
/sorrido appagato/
/e godo/
/nel veder la mia carne/
/deturpata e divorata/
/dai vermi bianchi su cui giaccio./
Bocca
la tua ora trema
Gioisce la mia
Riempita della tua carne calda
Mangiami mi avevi detto
Sorridendo maliziosa
Ed io amo esaudire i desideri
Stretta la mia mano alla tua gola
Pulsava veloce la tua vita
Il sangue scorreva nelle vene
Come ora nella mia gola appagata
Mangiami ancora mi hai invitato
Ed io dolcemente ti ho accontentato
Eterna figlia
del tramonto,
demone incarnato,
vago nella notte
collezionando
anime perdute.
Vana
speranza,
folle ambizione,
ritrovar quella
a me sottratta.
Lenzuola si gonfiano
come le orbite vuote
dei suoi Occhi
al tumefarsi pieno di Labbra
che potrebbero raccontare
Notti di nebbia del senno
mentre la Creatura
Famelica
Bellissima
Asimmetrica
strappa le Carni
al rosso riflesso
di una Luna sfacciatamente
ipnoticamente
Bella.
Finì di dare il grasso alla fune
Vaghi bagliori trapelarono
Attraverso la tenda entrarono in mente
Che la porta forse era stata aperta
L’improvviso flash gli segnalò abbagliante
Un attimo dopo lei penzolava
E lui si lavava le mani nel bagno per gli ospiti
Dolente sentì lacrime sgorgare
Troppo dolorosi nell’impiccarla quei calli sfibrati
bara laica mai notata dai visitatori
balalaica tra seccume e altri rumori
né terra né vermi, del trapasso la cruna
in cima a un cimitero tra lumini e luna
sospeso in ascolto sto pazzo e zitto
nella cilindrica sozza bara in affitto
nel cestino petali, ricordi secchi, spine
e fazzoletti in volo su evaporate lacrime
Sei come farfalla
nel letto del vento;
fotogrammi offuscati,
di lontani ricordi.
Il volto di mamma,
ombra lontana;
alito d'inferno,
l'infanzia ingoiata.
Mucido artiglio,
un fiore reciso;
piovono lacrime;
su petali di sangue.
Gelido il tuo corpo riverso;
il lupo cattivo son io,
oscuro e perverso.
Agghiacciante la scena:
sguardo spaurito,
mani tremanti
stringono involucro,
carne senza vita,
annegata in un mare
di sangue innocente.
Dall’albero è stato staccato
acerbo frutto.
Non serve il coro di Medea
a dispensar giudizi.
Quel canto di civetta
sciagura preannuncia.
L’eco di quei colpi
é ombra che negli occhi rimbalza.
Ti ghermii in un sogno
nel pallore argenteo d’aurora.
Ti scovai nei miei pensieri
quando vi cercavo la gioia.
Ti baciai strangolandoti
irretendo l’estremo tuo respiro.
Eserciti di nani deformi
allungano mani invisibili
verso un cielo rosso scarlatto
Nella notte che incombe vedo
mucchi d’ossa affiorare dalla terra
e mutare forma e colore
Tutto è buio e rumore e paura
fiumi di sangue travolgono senza pietà
e ogni cosa è perduta per sempre
Cento notti di sangue
non basterebbero,
ora che il mio cuore
palpita
e scalpita,
urlando a squarciagola
dai recinti dell'anima.
Torturami con voluttà.
Questa strada che sa dei miei passi
È oggi per me tribunale e patibolo.
Amici, fratelli, padri:
Indossate maschere di diavoli
O avete tolto quelle da umani?
Scagliate pietre appesantite
Da disgusto e moralità,
Venefiche infamie sul mio corpo
Martoriato dalla vostra Giustizia.
COLPEVOLE!
Del sangue mio di vergine sul letto sbagliato.
Vago
fantasma inquieto
un'ingiusta fine
la Vergine di Norimberga
il mio sarcofago
Orrido maniero
culla d'alchimia
e prigione
per stregoneria
Lancinante il dolore
degli aculei
nelle mie tremule carni
dell'incunearsi di vermi
nelle ferite
nei miei occhi putrefatti
e lento
fino e oltre l'ultimo lamento
Poi silenzio
solo macabro
infame
silenzio
Diciottomila respiri al giorno
precipitano,
come denti dalla bocca
in marcia funebre
fino allo stomaco.
Matasse di fiato
cieche
perdono la strada
e rotolano
secche
tra rantoli e cenere.
L'ultimo sospiro
è incenso
che brucia in chiesa,
che infiamma narici
e sale crudele
ghignando leggero
di fumo e anima.
Dalle viscere dell'inferno
sorge la mia ira,
strazianti grida
provocano eccitante sconforto nella mia mente,
ti gusterò pian piano
di te non rimarrà niente.
La fine è giunta per mano mia
la stessa
che t'ha espropriato del Cuore
che palpitante ancora
è diventato il mio cibo.
Succulento e pieno d'ardore
mi nutre e torna ad amare.
Nuda e gracile
saluta la vita,
maschera inerte
sola, per lo specchio.
Il mio calamaio
è un bulbo oculare
svuotato
dall'ingordigia dei vermi.
Il mio pennino
è il dito stanco
del lebbroso
che semina brandelli rugginosi
sulla benda di cellulosa
e come il dente del vampiro,
ti penetrerà il collo
per succhiare
il tuo inchiostro.
Così scriverò
inedite parole d'amore
tra gocce rosse
sparse sul parquet
come petali di rosa.
Spine conficcate nel fianco,
atroce dolore!.
Spine nelle mani,
negli occhi,
e poi
silenzio...
Aspetto luce che mi
risvegli da questo
incubo eterno,
inferno del mio spirito,
covo dei miei disagi.
Tu, presenza muta,
masso sull’anima mia:
mi hai tradito.
Delle mie ossa,
rose da un ratto ingannevole,
ti cibi.
Sul tuo viso, che ancora mi attrae,
nè lacrime, nè risa.
Impetuosamente il mio bacio
irrompe sulle labbra.
Infranto, lo specchio lacera freddo
la tua,
la mia,
giugulare.
Non potrai lasciarmi mai più.
Godi questi istanti, fratello,
i boschi all’orizzonte,
il paesaggio tranquillo,
e le nere tristi fronde.
Prenderà vita la brughiera:
oggi, amara sorte, saremo
di fameliche fauci, cena.
Guarda: la gelida neve
ricopre le ossa degli avi.
Possa almeno colmare,
lieve, i nostri ventri cavi.
Morti viventi,
che emergono dalle tenebre,
in un oscuro cimitero,
avvolto in una cupa nebbia densa,
d'un lugubre Novembre.
Ora la notte bianca,
diventa uno strazio,
di ossa e sangue,
in un fiume di vittime innocenti.
Di notte la maledizione
s’infila nel mio letto
tinge di nero il blu del televisore
e il bisogno d’azzannare
mi viola il sonno
In una vertigine sbilenca
Pensieri senza consolazione
fanno lo sgambetto alla ragione
Per sopravvivere spalmo bugie
Su toast al veleno
La notte ha una sola carezza
profuma d’oblio e non è per me
Non so dirti cos’ho provato,
sta a te, credere, decidere.
Tu guarda, e pensa, e rifletti.
Tre giorni, tre notti, tre anni, non fa differenza.
Voci che urlano.
La mia, le loro.
La tua.
Non cerco giustizia, vendetta.
In me c’è la morte,
e dentro, mi scorre una vita.
E non c’è galera, o condanna, a mondarci.
Io sono morta, e con me, quella vita.
Al momento fatale,
laccio pietoso e molle,
lenti mi parlano i futuri nati
morti, del proprio male,
il gesto insano e folle:
la schiera immobile degli impiccati
suicidi ed annegati.
Noi che verremo al mondo
già col nodo alla gola
non siam che una parola;
moriam, che tra noi in fondo
dal principio si muore:
che furto sia quel che fu don d'Amore.
Sovrana
aleggia indisturbata
nello spazio ristretto
e recintato di spine.
Non osi andare oltre quel limite?
Hai lo strano presentimento
che qualcuno ti osservi?
Ed ecco che... indietreggi.
La paura dell’ignoto ti blocca;
ti stanca il tuo stesso respiro.
Non è nulla, pensi.
E intanto, ti rintani nello stagno
denso di rosso purpureo.
Amare il proprio carnefice
baciarlo
calmarlo
mentre urla,
per non morire
è una pugnalata al cuore rovente
ad ogni istante.
Un respiro scende a placare
il cuore.
Deve uscire
solo dolcezza,
per poter vivere.
Il tempo che scorre
dà la forza per continuare
ad amare
per poter fuggire
respirare
sognare di vederlo ansimare,
poi morire.
Mani tinte di terra e sangue,
Cremisi testamento d’uno spirito abominevole.
Le dita emersero trionfanti come araldo dell’anima oscura,
Ove l’odio era linfa, e con ululato di lupo feroce gioiva
Laddove la sua infausta presenza elargiva tenebra.
Uscì dalla fossa ferendo il terreno, scorticando il proprio corpo,
Imprecando e ghignando!
Non può fare che bene berne un bicchier ogni ora
Mi ricorda la gioventù, quando vivo eri. Me ne dai ancora?
Chi ne vuole assaggiare resti con me senza tema, è puro, dal bel colore
Uhm, saprei dirti anche l’annata se chiudessi gli occhi
E fallo, chiudili pure, non costerà certo nulla
Dici che davvero posso? Non rischio l’osso del collo?
Di sangue
ubriaca
mi metto alla guida.
E tra un singhiozzo
e un rigurgito
accelero
verso l’ultimo orgasmo.
La mia pelle trasuda
un segreto: bevo
per dimenticare
una vita sottovetro.
Un’ombra alla finestra
silenziosa si muove,
facendo raggelare il sangue
e sussurrando un timore ancestrale
racchiuso nel profondo della notte buia.
Cerco distrazione.
Ogni sguardo obliquo implora
epifania di orizzonti arcani
ma frammenti iridei si palesano, cùpidi
nel macabro teatro
che le mie viscere putrescenti allestiranno.
Becco sporco di
polvere di cannella bionda,
testa a quaranta gradi: temperatura a cui lavare il manto
che detiene la tua prole in un vago cieco calore
reale solo nei loro sogni.
Luce verde nella cappella intrecciata di piante,
danza di braccia sopra di noi, quella di un mago
che legge il futuro in una sfera felice:
quella dove siamo.
Col suo lucor Ti alletta l'astro lucifero:
Lustro di Dio, Superbia fu per Te rovina.
Misero, nelle ree viscere, ma libero!
Satan, exorire!
La notte si protrae grazie a Te, o mia regina,
Grazie a Te la libidine nell'uomo, e il fuoco.
Lilith, exorire!
Ululano i demòni, e unito a lor v'invoco:
Lumina hominum, rex reginaque, exorimini!
Affilami che non te ne pentirai
Che incubo, che eco! Anche tu adesso parli?
Provami e ogni dubbio eliminerai
Usami sul collo senza perder tempo
Ma perché mai scalpiti? L’urgenza non comprendo
No!, fidati di me, urgenza non è, ho solo cura di te
Voglio fidarmi, dammi tempo che ti affilerò
Sentii altre voci e poi solo gocce sempre più lente
Una mano, una mano lontana.
Più in là, poco più in là, polso reciso,
come lo stelo di fiore scarlatto.
L’osso bianco, in cosmo di fluida
lava che scende, cola, scivola e
crea orridi fiordi, come isolotti,
su quello che fu piastrelle e cemento.
“Cane! Annusa quel macabro quadro,
e insegna all’uomo un po’ di umanità.”
Eterea
gente
si muove
piano
nei magazzini
stagnanti
Chissà che penserà!?!
Muovo piano anch'io
le idee stentoree
Allucinati
gli occhi
guardano altrove
disgustano queste
apparenti fantasmagorie
Sognano lontano
le stelle agognate
che forse non ci sono.
Fuggirò?!?
Succulente membra amo degustare
(stinco d’un apprendista idraulico
polpaccio di macellaio stanco
cuore di uno scellerato amante)
in compagnia di asettici commensali.
- il vino è finito
- ma non il sale!
Il sangue scintilla
Mentre i tuoi occhi si offuscano nel piacere di quell’attimo.
Una goccia dopo l’altra,
Le pretendi tutte.
Linfa vitale rubata,
Indispensabile.
Per entrambi.
Pochi passi mi separano dal diventare la tua prossima vittima.
Non ti temo.
Arrivo.
Assaggiami.
E mi perdo,
benché prigioniero di me stesso,
... dove?
La leggera piacevole
Angoscia
Velo di nera quiete
Che tuttavia non soffoca
I fantasmi urlanti e gementi
Dentro di me...
Che pungono e ondeggiano in profondità
Sordamente...
Un uomo oscuro vaga nella notte,
l’odio vedo nei suoi occhi di sangue,
l’aria è gelida tutto intorno
come è gelida prima del giorno.
E’ mezzanotte, l’ora del terrore,
in lontananza suonano le campane,
in questa lunga notte del male
rompe il silenzio un urlo di dolore.
(a Bela Lugosi)
Ho atteso per dei mesi i sorrisi assai cortesi, i pedinamenti eran sottesi. Qui le gambe e lì le braccia, schizzi ovunque sulla faccia, mentre svelta cala l’ascia sull’amante di Natascia. Ora sono cheto a casa, suo cervello sulla blusa, penso non è ancor conclusa, ecco entra la collusa. Interrompo confessione e finisco la missione.
Avverto la tua morbida carne dilaniarsi sotto le mie unghie.
Il tuo sangue caldo avvolge le mie dita avide.
Affondo i miei denti nel tuo cuore ancora pulsante.
Ecco l’unico modo per sentirti completamente mia... Amore!
Ti taglierò il pene.
Non hai rispettato
Dio e le sue leggi.
Hai sparso il tuo seme,
infettando il mondo.
Ti sei masturbato,
abominevole essere!
In ginocchio, perdono è morte.
Uscirò dal confessionale,
sangue sulle mani:
le netterò nel battesimale,
assaporando la giustizia di Dio.
Io, Padre Wank,
salverò dall'inferno
i sedicenni impuri!
Crema a pulsione
la peste è schizzata sui muri
Dalle ginocchia
partono e muoiono le rondini in picchiata
e sui piedi maestri
ogni nido si abbevera
dal mio scroto spugnoso
Le pulsioni vitali
sono morbidi uncini dietetici
Il cappio è un cordone ombelicale
Il vampiro esce allo scoperto
Cigola una porta, si
rivela uno spettro,
Insieme cominciano a vagare...
al Circolo dei pensionati vogliono andare!!
I conti fatti da loro son però sbagliati
Nessuno è più tenace dei pensionati
Si conclude così una notte di terrore
Con i mostri afflitti,
da malconci vecchietti sconfitti!!!
Risate sdentate echeggiano nell’oscura balera.
“Si è tinta i capelli, signora?”
La morte indossa pailettes e canta una polka,
nell’aria pesante che sa di tigella.