Titolo originale: The village of the damned
Regia: John Carpenter
Cast: Christopher Reeve, Kirstie Alley, Linda Kozlowski, Michael Paré, Mark Hamill, Meredith Salenger, Peter Jason
Sceneggiatura: David Himmelstein
Fotografia: Gary B. Kibbe
Montaggio: Edward A. Warschilka
Scenografia: Don De Fina, Rick Brown
Costumi: Robin Michel Bush, Bob Bush
Produzione: USA
Anno: 1995
Durata: 1:33
A Midwich, un villaggio sull’Oceano Pacifico, niente pare turbare l’amena quotidianità dei suoi duemila abitanti; finché un giorno essi cadono preda di un sonno collettivo e, quando si risvegliano, scoprono che alcune delle loro donne sono gravide. Sul posto è inviata un’equipe medica capeggiata dalla dottoressa Susan Verner (Kirstie Alley), che cerca di far luce sull’accaduto. Non appena arrivano i nuovi nati, la cittadina è sconvolta da una serie di morti misteriose: i responsabili sono proprio loro, i bambini, che, cresciuti, rivelano la loro vera natura, quella di esseri senza emozioni, che riescono a leggere i pensieri della gente e ad influenzarne la mente, e che, come se fossero consapevoli di appartenere ad un'altra specie, annientano chiunque tenti di nuocergli. Contro di loro cercherà di combattere, coadiuvato dalla dottoressa Verner, il dottor Alan Chaffee (Christopher Reeve), la cui moglie, anche lei vittima dell’inspiegabile inseminazione, è morta suicida poco dopo aver avuto una bambina. Riusciranno a sconfiggere questi inquietanti esseri?
Remake del film omonimo del 1960 diretto da Wolf Rilla, a sua volta spirato al romanzo The Midwich Cuckoos dello scrittore britannico John Wyndham, Il villaggio dei dannati è un fanta-horror corale: un’intera comunità, la cui vita è scandita dalla quotidianità più banale e ripetitiva, è improvvisamente posta davanti ad un terrificante sconvolgimento della propria realtà ordinaria. La bravura di Carpenter è già evidente nella prima parte del film, dove il regista si concentra sulle reazioni degli abitanti rispetto agli eventi inspiegabili e spaventosi che hanno rubato loro la serenità: il senso di spaesamento, di inquietudine, di terrore che avviluppa gli abitanti di Midwich è reso in maniera molto realistica, e permette allo spettatore di immedesimarsi completamente nei tormenti di gente normale, che all’improvviso si ritrova a dover fare i conti con qualcosa di orribile ed imperscrutabile.
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Il senso di terrore ha ovviamente il suo cuore pulsante negli antagonisti: i bambini, biondi e pallidi (che ricordano un po’i prototipi della razza ariana hitleriana), così piccoli e già tuttavia capaci di parlare come adulti acculturati, dalla fisiognomica amorfa, che rende bene l’assenza di emozioni e quindi di umanità, e che gli conferisce un aspetto quasi “robotico”. Magistrale la trovata degli occhi come tramite tra i bambini e le menti degli sventurati abitanti di Midwich; occhi che mandano una luce diabolica ogniqualvolta questi misteriosi esseri decidono di controllare le menti dei malcapitati (“gli occhi sono lo specchio dell’anima”, afferma freddamente la figlioletta del dottor Chaffee).
Ma il film di Carpenter non si accontenta di spaventare: quasi fosse un poema in fotogrammi, esso rivela un’affinità col linguaggio poetico, mostrandosi polisemico, ovvero pregno di significati, che prescindono dal genere. Sono tanti, infatti, gli argomenti toccati dal regista nel film. I bambini, come già detto, non mostrano segni di emozioni umane: non provano rimorso quando uccidono, poiché per loro annientare fisicamente un essere umano è soltanto questione di mera sopravvivenza (la loro razza, per la sua diversità, non potrebbe adattarsi a quella umana), e le loro azioni sono tutte finalizzate alla preservazione di questa nuova specie (il richiamo alla teoria darwiniana e ai pericoli insiti nella sua applicazione anche a forme di vita superiori a quelle animali è chiaro). Le emozioni: non debolezza congenita della specie umana, incapace di ergersi al di sopra dei concetti di bene e male, bensì, proprio per la nostra naturale inclinazione all’empatia, prova dell’esistenza di un’anima che tende a qualcosa di divino, di superiore; ma anche connotato imprescindibile degli esseri dotati di intelletto: come dimostra David, l’unico bambino della nuova stirpe la cui “compagna di vita” è morta appena nata, evento che lo spinge a soffrire, e quindi ad essere diverso dagli altri.
E ancora: Carpenter ragiona sulla maternità, sul suo essere tendenza atavica ed irrazionale, al di là della logica. Ne sono un esempio le sequenze in cui le donne ingravidate dall’oscura presenza che si è impadronita di Midwich, pur consapevoli di portare in grembo creature non concepite naturalmente, decidono di tenere i bambini: certo, alcune lo fanno per intascare i lauti contributi offerti dalla Fondazione Nazionale, che ha interesse a studiare i nuovi nati; ma l’atteggiamento prevalente è quello dell’accettazione passiva della gravidanza, quasi fosse una “missione sacra”, un dogma, che prescinde dalle sue cause naturali e pone al di sopra di tutto il legame ancestrale tra madre e figlio.
Di più: Carpenter non dà una spiegazione esaustiva di ciò che sta succedendo, affidando la parziale comprensione del terrificante fenomeno a poche immagini e a qualche battuta. Ne trapela una visione pessimistica della realtà: non siamo nulla in confronto all’universo infinito, qualcosa di terribile può accadere in ogni istante, senza peraltro che a tali eventi si possa trovare una spiegazione, poiché siamo tutti vittime di un disegno casuale ed astruso.
Il film rinuncia a scene forti e truculente (ce ne sono alcune, ma sono marginali) e fonda la sua potenza sulla psicologia dei personaggi, sconvolti da ciò che sta accadendo, oltreché sull’angoscia e la paura causate dall’aspetto e dai comportamenti dei bambini (paura che raggiunge l’acme nelle scene in cui questi “umanoidi” spingono chiunque gli metta i bastoni tra le ruote a togliersi la vita o a toglierla ad altri). Il genio di Carpenter si rivela poi in tanti altri aspetti: in alcune inquadrature, carrellate, panoramiche (inquietante quella iniziale), che sono veicolo già di per sé di inquietudine, angoscia, terrore; nelle trovate per “suggerire” la presenza dell’entità misteriosa che aleggia su Midwich (i sussurri distorti che “musicano” alcune sequenze, la grande ombra che, all’inizio, si muove sul villaggio, ecc.); nelle musiche (opera dello stesso Carpenter, insieme a Dave Davis), nelle ambientazioni (inquietante le sequenze che rendono lo spopolamento del villaggio a seguito della nascita dei bambini), e in tanto altro ancora.
Che dire di più? Gustatevi Il villaggio dei dannati. E... occhio a non svenire!
Voto: 9
(Salvatore Napoli)
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