Regia: Lucio Fulci
Cast: Lucio Fulci, David L. Thompson, Jeoffrey Kennedy, Melissa Lang, Ria Desimon, Brett Halsey
Soggetto e sceneggiatura: Lucio Fulci, John Fitzsimmons, Antonio Tentori
Fotografia: Alessandro Grossi
Montaggio: Vincenzo Tomassi
Costumi: Milena Pintus
Trucco: Pino Ferranti
Musiche: Fabio Frizzi
Produzione: Italia
Durata: 1:28
Anno: 1990
Lucio Fulci è un regista di film dell’orrore a cui il lavoro sta procurando seri problemi psichici: il cineasta è infatti preda di terrificanti incubi ad occhi aperti, visioni che traggono dai suoi stessi film. Decide, perciò, di rivolgersi al dottor Egon Swharz, uno psichiatra. Quello che Fulci non sa, è che il dottor Swharz è un pericoloso maniaco, che vuole usare il regista per mettere in atto un piano diabolico: attraverso l’ipnosi, instillerà nella mente del malcapitato pensieri truci, inducendolo a credere di aver compiuto orrendi delitti; questi saranno invece perpetrati dal folle medico. E’ così che ha inizio, per il regista, una vera e propria odissea orrorifica, che metterà a dura prova la sua psiche.
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Se siete deboli di stomaco, Un gatto nel cervello non è certo il film che fa per voi. La pellicola è infatti un campionario splatter, un concentrato di scene truculente che non risparmiano alcun orrore: corpi fatti a pezzi con la motosega, bambini decapitati, cadaveri in putrefazione con tanto di vermi, arti che saltano via a suon di accettate; e ancora: orge depravate, sesso e sadismo, necrofilia. Insomma, Un gatto nel cervello è un film perverso e morboso, oltreché un gioiellino gore tutto italiano. Si può dire infatti che sia uno dei pochi film italiani (e non) in cui le sequenze splatter non rappresentano un di più, ma costituiscono l’ossatura della pellicola: non si tratta di un thriller, né di un horror in senso stretto, ma di una pellicola “gustosamente” gore.
Un gatto nel cervello è certamente un film innovativo, e ciò si vede innanzitutto da come Fulci ne imposta la trama. E’ egli stesso, infatti, il protagonista del film, un regista ossessionato da visioni orripilanti e spaventose, preso di mira da uno psicopatico assassino. E’grazie a quest’impronta (già di per sé originale) che Fulci può inserire nella pellicola un elemento pressoché estraneo al cinema horror-splatter: l’autoironia. Il regista romano non solo sceglie se stesso come preda di turbe psichiche, non solo fa di sé la vittima ideale per un crudele assassino, ma infarcisce il film di momenti risibili, faceti, che controbilanciano la violenza efferata presente nella gran parte delle sequenze. Inoltre, le visioni terrificanti a cui è soggetto il regista non sono altro che scene di altri suoi film (Il fantasma di Sodoma, Quando Alice ruppe lo specchio) o di pellicole da lui presentate (Bloody Psycho – Lo specchio, Non aver paura della zia Marta): tutto ciò però non vuol essere assolutamente un’autocelebrazione; al contrario, Fulci ironizza sulla sua opera, facendo dei suoi film, che lo hanno reso immortale, il suo incubo peggiore: più autoironico di così si muore!
Ma non è tutto. Un gatto nel cervello è anche un film che fa riflettere. E’nota a tutti infatti la teoria - qualunquista e grossolana - secondo cui le scene di violenza nei film possono essere dannose per la psiche o addirittura criminogene. Fulci ci tiene a ribadire la fragilità di tale scuola di pensiero: nel film non è lui a compiere i delitti, nonostante abbia a che fare quotidianamente con la crudeltà e l’orrore (seppur fittizi); è invece un insospettabile, uno stimabile medico apparentemente affabile, posato, integerrimo. E non è affatto un’interpretazione del sottoscritto: è proprio lo psichiatra-killer, infatti, a citare la suddetta teoria in una sequenza del film: secondo lui, essa servirà ad additare Lucio Fulci come il mostro, e, ovviamente, a scagionare il vero assassino.
Belle le musiche, che non hanno nulla di pauroso (a parte quelle inserite in alcune sequenze), ma anzi sono orecchiabili, leggere, e contribuiscono all’effetto ironico che traspare complessivamente dalla pellicola: esse, commentando scene che preludono all’orrore e alla violenza (o che li mostrano), generano un effetto stridente, grottesco, surreale.
Il finale è, per concludere, la ciliegina sulla torta. Ma, per non rovinarvi la visione, conviene fermarsi qui. E, soprattutto, invitarvi a vedere Un gatto nel cervello: non vi capiterà più tanto spesso di vedere un film così piacevolmente “disgustoso”.
Voto: 7,5
(Salvatori Napoli)
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