Poltergeist - Demoniache presenze

Regia: Tobe Hooper
Cast: Craig T. Nelson, JoBeth Williams, Dominique Dunn, Oliver Robins, Heather O’Rourke, Beatrice Straight, Lou Perry, Zelda Rubinstein
Anno: 1982
Soggetto e sceneggiatura: Steven Spielberg, Michael Grais, Mark Victor
Produzione: Metro Goldwyn Mayer, SLM Production Group (Steven Spielberg, Frank Marshall)
Fotografia: Matthew F. Leonetti
Montaggio: Michael Kahn, Steven Spielberg
Effetti speciali: Richard Eldund, Michael Wood, Bruce Nicholson
Scenografia: James H. Spencer, Cheryal Kearney
Costumi: Ann Gray Lambert
Musiche: Jerry Goldsmith.

Trama

La famiglia Freeling è una delle tante a occupare le villette di Cuesta Verde, una nuova, ridente zona residenziale sorta da poco e ancora in piena espansione, dove il sogno americano diviene realtà anche per le frange più modeste della classe media.
Qualcosa, tuttavia, sembra non gradire la serenità di casa Freeling: una presenza malefica, che riesce ad entrare in contatto con la piccola Carol Anne (Heather O’Rourke) e che, una notte, la rapisce portandola via con sé, in un’altra dimensione.
Disperati, i Freeling ricorrono a studiosi di parapsicologia e ad una nota sensitiva per cercare di comprendere quali siano la natura e gli intenti dell’entità infernale e, soprattutto, per riavere Carol Anne. Ci riusciranno?

Recensione

Di Poltergeist si parla soprattutto a proposito della sua fama di film maledetto, quasi il degno corrispettivo cinematografico del Macbeth: è ben nota infatti la sorte sciagurata che toccò a vari attori e tecnici che vi presero parte, da Dominique Dunne (che nel film interpretava Dana Freeling), uccisa dal suo ex fidanzato nel 1982, alla piccola Heather O’Rourke, che morì di malattia nel 1988 poco prima che uscisse il secondo sequel di quella che era ormai diventata una fortunata saga, fino all’attore Lou Perry (che nel film interpretava Pugsley, l’operaio che “si serve da solo” il caffè affacciandosi in casa Freeling dalla finestra), ucciso a colpi d’ascia da un evaso psicolabile in Texas nel 2009.
Eppure questo film è molto più di un cult, per vari motivi. Anzitutto, per il notevole apporto innovativo ad un genere, l’horror, che spesso risente più di altri dell’eccessivo ossequio ai canoni tradizionali. In Poltergeist, la vicenda autenticamente inquietante e orrorifica è innestata su un sostrato afferente al cinema fantastico, e non è un caso che il film sia stato scritto e prodotto da Steven Spielberg, la cui poetica si rifà spesso a toni e suggestioni afferenti alla sfera emotiva e sensoriale dello stupore e della meraviglia, dell’incanto, del favolistico, dell’avventuroso. Un progetto ardito, vista l’intuitiva antinomia che separa i due filoni cinematografici, uno così positivo e sognante, l’altro così nefasto e spesso pessimista: eppure, Hooper e Spielberg, da grandi maestri, avevano ben chiaro che la distanza era incolmabile soltanto in apparenza, e che entrambi i generi, seppur diversissimi, traggono linfa vitale da un’unica radice.

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Inutile dirlo: l’esperimento è riuscito. Il repertorio attinto dal calderone del fantastico si riverbera di guizzi orrorifici e viceversa, dando luogo a dissonanze e a ossimori semantici e percettivi che rinnovano e rinvigoriscono i toni angoscianti, paurosi e macabri che promanano dalla visione, colorandoli di un inquietante e grottesco surrealismo. La luce che prelude all’aldilà, ad esempio, abbacinante, pura, paradisiaca, che spesso sfolgora in casa Freeling, appare tutt’altro che idilliaca allo spettatore, perché costui sa bene che in essa si nasconde l’inganno di una creatura diabolica, che la utilizza per togliere la pace alle anime erranti e per attuare la sua terribile vendetta: non è soltanto l’inferno, in altri termini, a far paura, ma anche il fatto che esso riesca a camuffarsi da paradiso.
Horror e fantastico trovano poi un ulteriore punto di contatto nella tradizione della fiaba, antesignana per antonomasia della narrativa fantastica e orrorifica, da cui Hooper e Spielberg non esitano ad attingere. Memorabile la scena dell’albero che, in una notte tempestosa, si anima e tenta di inghiottire il piccolo Robbie Freeling (Oliver Robins), oppure la presenza, nella stanza del bambino, di un inquietante pupazzo con le fattezze di un clown ghignante, che per Robbie incarna l’uomo nero di turno, il concentrato di tutte le paure, che però vanno affrontate per diventare adulti, come ci suggeriscono tante fiabe popolate da personaggi mostruosi e da bambini spauriti. Ma la contaminazione tra i topoi e le suggestioni relative ai due filoni si ritrova anche nelle soluzioni più spiccatamente estetiche, al fine di generare straniamento nello spettatore: si pensi ad esempio alle vivaci e “irreali” tonalità cromatiche del cielo ingombro di nuvoloni tempestosi incombente su Cuesta Verde in una delle inquadrature presenti nel film (una scelta stilistica molto simile a quella che si ritrova, con maggior sistematicità e vigore, ne Il promontorio della paura di Martin Scorsese, del 1991), a al corridoio di casa Freeling, che si dilata in lunghezza allorché Diane cerca disperatamente di raggiungere la cameretta dei bambini minacciati dal poltergeist.

Ovviamente, la vena horror si ritaglia nel film i suoi spazi di autonomia, dove si libera dalle contaminazioni. Anche qui, però, il film dimostra di essere niente affatto banale o epigonale. Basti citare la scena in cui uno dei parapsicologi accampati in casa Freeling, colto da appetito notturno, vede una bistecca cruda strisciare lentamente, a mo’di lombrico, su uno dei ripiani della cucina per poi spappolarsi, e subito dopo la coscia di pollo che stava addentando ricoperta di vermi; scena che raggiunge il suo macabro climax quando l’uomo, terrorizzato, si reca in bagno per sciacquarsi il viso e, in un surreale caleidoscopio di luci, si scarnifica il volto con le dita davanti allo specchio. Oppure, la sequenza in cui Diane Freeling cade nella piscina in costruzione e si ritrova circondata da cadaveri: una scena a cui Dario Argento renderà poi omaggio nel suo Phenomena (1985), esasperandone però l’aspetto relativo alla corruzione dei corpi.
Inquietanti, infine, le scene in cui Carol Anne “entra in contatto” con il poltergeist attraverso la televisione: all’inizio, quando viene sorpresa, a notte inoltrata, immobile davanti al televisore, rivelando subito dopo alla madre che “stanno arrivando”, oppure in una sequenza di poco successiva, quando la tv che illumina la stanza da letto dei Freeling comincia a mandare un fastidioso, ronzante scintillio, che sveglia Carol Anne e la spinge ad avvicinarsi al televisore con fare ipnotico: da notare, qui, il ricorso a forti luci intermittenti per riprodurre i riflessi guizzanti della tv sulle pareti e sulla piccola Carol Anne, che disturbano visivamente lo spettatore, acuendone l’angoscia.
Ma Poltergeist non è soltanto un esperimento formale: è un film allegorico, pregno di critiche all’America dell’epoca – l’inno americano non solo apre la pellicola ma, pochi minuti dopo l’inizio, torna a riecheggiare tra le pareti della camera da letto dei Freeling nella già citata scena in cui il poltergeist si mette in contatto con Carol Anne tramite la tv... -, che con Ronald Reagan assiste al rilancio delle idee neoliberiste e alla fiducia nell’individualismo, nell’iniziativa privata, nel libero mercato e nelle sue leggi come mezzo più efficace per diffondere al meglio il benessere economico e realizzare così il sogno americano; un’America che sintetizza perfettamente gli effetti nefasti della modernità, in cui vivono uomini immiseriti dal materialismo, che misurano il proprio valore in base a quanto riescono a consumare e a possedere, che non sanno guardare oltre la cortina del superficiale, del tangibile, del mondano, dimentichi della loro dimensione metafisica e spirituale. Nel film è proprio quest’ultima che, invece, si palesa come spirito maligno per compiere la sua vendetta contro le aberrazioni dell’era contemporanea, e lo fa, guarda caso, attraverso uno strumento simbolo dell’era del progresso e del benessere, il televisore, infestando poi la casa dei Freeling con l’obiettivo di distruggere la loro serenità e di colpirli nei loro affetti più cari.

Casa e famiglia: fonti di stabilità e sicurezza, dimensioni affettive per antonomasia, riparo sicuro dai mali del mondo esterno, nonché due degli ingredienti fondamentali del sogno americano, attraverso cui ogni individuo può finalmente godersi il cosiddetto “diritto alla felicità”. E proprio per questo la vendetta del poltergeist, che si fa portavoce di anime errabonde, incapaci di trovare la pace eterna per i sacrilegi compiuti in nome del sogno americano e, più in generale, del progresso, può trovare compimento – in una sorta di contrappasso dantesco – solo distruggendo ciò che per i viventi più rappresenta la pace, la serenità, la sicurezza. Poltergeist ribadisce e rivitalizza, insomma, una funzione cardinale del genere horror, ossia quella di mettere in discussione la visione rassicurante delle istituzioni sociali tradizionali, come avevano d’altronde già fatto, ovviamente in maniera differente, film come Amityville Horror e Shining (pellicola, quest’ultima, che sembra aver avuto una certa influenza sull’opera di Hooper: basti pensare alle analogie fisiche tra i piccoli protagonisti dei due film, nonché alla loro capacità di attrarre forze occulte...), per citarne due dei più celebri.
Un certo rilievo narrativo assumono infine nel film i toni ironici, che ne arricchiscono ulteriormente lo spettro emozionale, si rivelano ai personaggi – nonché allo spettatore stesso! – come un efficace antidoto per esorcizzare il terrore di cui si ritrovano vittima e, last but not least, strappano sincere risate allo spettatore, come avviene, ad esempio, nella scena finale... che però non svelo!
Non sapete cosa sia un poltergeist, e perché si distingua da un semplice fantasma? È l’ennesimo, ottimo motivo – visto che il film include, tra le altre cose, anche qualche virata tecnica nella parapsicologia rispondendo a queste domande – per gustarvi Poltergeist! Del resto, non vi servirà per forza un televisore...
Voto: 10
(Salvatore Napoli)



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