Titolo originale: Rope
Regia: Alfred Hitchcock
Anno: 1948
Hitchcock firmò la produzione e la regia di quello che è uno dei suoi film meno conosciuti e più sottovalutati. Ispirato ad un vero fatto di cronaca accaduto nell’America degli anni ’20, un delitto che aveva sconvolto il paese soprattutto per la gratuità dell’omicidio, “Rope”, pur se sottovalutato, rappresenta un punto di partenza significativo nel cinema del maestro del brivido. Due studenti dell’alta società newyorchese, snob e arroganti, eliminano un loro amico senza nessun motivo apparente, di fatto al solo scopo di dimostrare che l’omicidio fine a se stesso è un privilegio che solo individui eccezionali possono commettere.
Tecnicamente il film si basa su due ambientazioni fisse della casa in cui convivono i due studenti, la zona cucina e la zona sala, in quest’ultima attraverso un’ampia vetrata si può tra l’altro ammirare la splendida New York dalle mille luci e seduzioni, un giochetto composto da centinaia di lampadine che costò un occhio della testa alla produzione. Eppure, nonostante una certa fissità (siamo pur sempre nel 1948) la pellicola rimane avvincente e angosciosa grazie agli attori e grazie anche alla gravità – insolita – del tema trattato. Il ritmo è quello di una marcia funebre, implacabile, con Brandon e Phillip a difendersi coi denti dagli attacchi dell’ex professore Rupert, ma in fondo in fondo intenti a sfidarlo spavaldamente senza raziocinio.
L’idea di fondo, oltre che dalla cronaca trae spunto da una teoria particolarmente studiata nella 1° metà del ‘900, un’idea di superomismo nicciano in base alla quale alcuni gesti (persino l’omicidio) potrebbero essere commessi soltanto da individui superdotati, super-intelligenti, a discapito di persone banali e inutili, insignificanti, la cui vita varrebbe meno di quella di un insetto. E’ ovvio che non è questo il pensiero di Nietzche, stiamo banalizzando, diciamo soltanto che il pensiero del filosofo ispirò anche teorie aberranti quanto quella che è alla base del film “Nodo alla gola”. I due studenti infatti, Brandon e Phillip, uccidono un loro amico strangolandolo con una corda per poi nasconderne il corpo dentro una cassapanca sulla quale, opportunamente apparecchiata, decidono di appoggiare le bottiglie e i bicchieri di un party che essi stessi organizzano il giorno stesso. Ciò è aberrante se si pensa che i primi invitati sono il padre e la fidanzata Janet del ragazzo ucciso, e l’ex migliore amico della vittima, Kenneth, tra l’altro anche ex di Janet e proprio per questo invitato dai carnefici.
Deve veramente apparire tutto come un raffinato gioco ai due spietati assassini. Muovono tutti come pedine e in fondo disprezzano anche Janet, ai loro occhi donnetta insipida senza alcuna qualità. Cercano addirittura di spingerla tra le braccia di Kenneth, col corpo ancora caldo dell’ucciso che riposa dentro la cassapanca, imbandita di stuzzichini e cocktail vari. Allucinante. Alle massime soglie della perfidia e della crudeltà bestiale luciferina. Il piano infatti sembra proprio ordito da demoni immondi.
Così, tra un bicchiere e l’altro, passano i minuti, ma mentre Phillip (l’ottimo Farley Granger) controlla appieno se stesso e la scena, Brandon (John Dall) comincia a pentirsi e a cedere. Beve troppo, si lascia sfuggire alcune parole, mezze verità. Bellissima la scena in cui si mette al piano cercando di calmarsi ma proprio mentre suona emerge tutta la propria disperazione. Il loro ex-professore e mentore di un tempo, Rupert Cadell (James Stewart alla prima prova con Hitchcock), di intelligenza e acume superiori alla media, fiuta qualcosa e inizia a stanarli. Domanda, interviene, capisce che Brandon sta per scoppiare. La vera sfida è ora tra Phillip e Rupert, fatta di doppi sensi, di battute scherzose, affondi e difese, e qui viene fuori tra l’altro che lo stesso Rupert aveva teorizzato in passato la superiorità di certi individui cui sarebbero concesse imprese ed azioni eccezionali. Phillip si spinge al punto estremo di giocare pesante per farsi scoprire dal suo ex professore e riceverne il plauso per l’omicidio commesso. Ma la sorpresa è amarissima. Rupert se ne va mestamente. Finge, tornerà poco dopo accompagnato dalla sirena della polizia. Ha capito tutto, ha capito persino che il corpo del povero ragazzo giace dentro la cassapanca, ed è proprio questo particolare raccapricciante a tingere di ignominia indicibile l’azione dei due studenti, Morgan per lo meno sconvolto, Phillip invece per nulla pentito e addirittura fiero e compiaciuto.
Le ultime battute sono estreme e quasi commoventi. La voce di Stewart è strozzata, sul punto di piangere, inchioda i due studenti con una paternale gravissima sull’etica e su tutto ciò che hanno infranto e spezzato, con un comportamento blasfemo nei confronti della vita e della civiltà. Non esistono pene tanto potenti per punire un siffatto crimine. La sirena si fa sempre più forte. “Pagherete” – tuona Rupert – “pagherete tutto fino alla fine, assassini...”
Voto: 7