Titolo originale: The Birds
Regia: Alfred Hitchcock
Cast: Rod Taylor, Tippi Hedren, Jessica Tandy
Anno: 1963
Paese: U.S.A.
Considerato non a torto una sorta di testamento del grande maestro del brivido, Alfred Hitchcock, ‘Uccelli’ è probabilmente il film più moderno che abbia girato, proiettato negli anni ’70 e svincolato dai ’60.
Film del 1963, non è cronologicamente l’ultima fatica ma rappresenta la pietra miliare nella filmografia di Hitchcock, ancor più di ‘Topaz’ che è invece l’ultima pellicola diretta dal maestro. La sua modernità è dirompente, non solo per gli effetti speciali impiegati (con le conseguenti ingenti spese) e per l’addestramento impartito a veri gabbiani passeri e corvi, ma per il concept che sottende tutta l’opera, per il filo che la pervade senza romperla.
Hitchcock, lontanissimo da effetti splatter che si affermeranno poco più tardi nei ’70 tipo ‘La casa’ e simili, era orientato verso lo studio delle atmosfere, del brivido sottile creato da un’inquadratura, da un sospiro, lontanissimo dagli sghizzi di sangue e dalle teste mozzate. Eppure The Birds è una cosa ancora diversa, inquietante come pochi horror riescono ad essere, ma non fantasy, non fantascienza, bensì brivido e preoccupazione, angoscia del futuro.
Intrecciata come un’apparente e banale vicenda borghese nei dintorni di San Francisco, con il centro della storia puntato sul tira-tira tra l'avvocato Mitch Brenner (Rod Taylor al primo ruolo importante) e la ricca e giovane Melania Daniels (Tippi Hedren - ex modella), figlia dell'editore di uno fra i maggiori giornali della città, la trama è in realtà soltanto un pretesto per questioni più serie. Ci sono stati episodi spiacevoli con protagonisti gli uccelli. Attacchi improvvisi, ferimenti. Ma niente è ben chiaro e le informazioni scarseggiano. Anche qui si evidenzia il genio. Nel rendere le notizie scarne, poco dettagliate, del tutto assenti. Hitchcock inventa una realtà borghese fragilissima, solo apparentemente felice e compatta, dove il male può penetrare e far sconquassi. E quando arriva, il male, esplode non soltanto negli artigli dei corvi, ma anche nei nervi tesi dei protagonisti che sbottano scagliandosi gli uni contro gli altri, nelle ruggini che covano, nelle vecchie antipatie, nell’incomunicabilità di un mondo.
Non è questo un film sugli uccelli, questo sia chiaro (almeno secondo chi scrive), o sugli animali. I gabbiani, o i corvi, o i passeri, sono un agente, uno strumento. Essi rappresentano l’oscurità, il nero delle viscere della terra, le tenebre. Rappresentano l’ignoto, il lato scuro della luna, il sesto senso che ci mette in guardia, il demone che è dentro di noi. Essi ci attaccheranno e ci colpiranno, tentando di annientarci, e sono tanti, compatti, determinati, come se avessero una sola testa. E per questo avranno la meglio.
Il testamento di Hitchcok è nerissimo. E’ il testamento di chi intravede la fine per la propria specie, e difatti lo scenario delle ultime scene assomiglia a quello post-atomico, surreale, fermo, impalpabile, ma granitico come il monolite che apre e chiude il 2001 di Kubrick. Silenzio, assenza di musica e commenti. Poche inquadrature ci dicono di più e meglio di interi trattati filosofici.
Mi ripeto, ma nelle sequenze finali di Birds c’è solo spazio per il genio. I protagonisti sono barricati in casa, assediati dai volatili. Melania è stata gravemente ferita. Mitch decide di portarla all'ospedale, con decisione sofferta perché significa rischiare la pelle. All'alba i quattro rimasti nella casa si muovono per partire con l'auto di Melania alla volta di San Francisco. Fuori dall'uscio di casa, appollaiati ovunque, migliaia di uccelli osservano, immobili e minacciosi. E proprio questa scena è tra le più stralunate e allucinate della storia del cinema. Siamo vicini ad Hall 9000 che viene messo fuori uso (2001 Odissea nello spazio), o alla moto di Capitan America che vola via mentre il contadino sogghigna col fucile fumante (Easy rider). Siamo vicini alle sequenze più estasiate di 60 anni di cinema.
I quattro camminano pianissimo, come alla moviola, attenti a non rumoreggiare. Entrano in macchina, movimenti lenti e pensati. Gli uccelli, neri, di tutte le dimensioni, sono calmissimi. Aspettano, osservano. I pesi, i rapporti in campo sono cambiati: noi umani fuggiamo terrorizzati, nel silenzio più assordante, mentre i corvi controllano e decidono se e quando fermarci. E’ l’alba..., scende la notte.
Voto: 7,5