Regia: Ridley Scott
Cast: Harrison Ford, Rutger Hauer, Sean Young, Edward James Olmos, M. Emmett Walsh.
Anno: 1982
“Blade Runner” è stato un capolavoro e lo è tuttora per vari motivi: fotografia, storia, narrazione, scenografie, veridicità dei fatti raccontati, e soprattutto per la sceneggiatura, che si apprezza ad ogni visione (c’è anche chi se lo rivede almeno una volta l’anno). Capolavoro ma anche un unicum nel panorama della fantascienza, perché in fondo la storia di questo cacciatore di replicanti, duro cinico e spietato, che finisce per innamorarsi di Rachaael, forse anche lei replicante, è estremamente struggente e romantica.
Da quest’opera sono state prese frasi, sequenze, motivi musicali. Ha ispirato altrettanti film di genere ma non solo. Ce ne sono tra l’altro diverse versioni, il final cut del 1992 per esempio (il taglio finale del regista), ma quella più convincente a detta di chi scrive rimane quella con la voce narrante dell’ex poliziotto Rick Deckard (Harrison Ford), voce tolta nella versione rimasterizzata del 2007, che dona alla narrazione un fascino irresistibile oltre che una non futile chiarezza nella rappresentazione dei fatti.
In una Los Angeles del 2019 (ci siamo quasi) cupa, buia, piovosa, caotica e pervasa ovunque da odori e atmosfere esotiche, asiatiche, ci si muove in inquietante sovraffollamento stando attenti ad evitare i replicanti. In tutto e per tutto uguali agli uomini ma in realtà macchine, robot programmati per durare al massimo 4 anni, di forza e potenza superiore ma senza sentimenti. Ad essi è stato dato un passato fittizio, dei documenti falsi, innestati dei ricordi di altri, e questo dovrebbe bastare. Ma non è così. In realtà questi esseri cominciano a sviluppare sentimenti e atteggiamenti simili a quelli umani: rabbia, dolore, nostalgia, attrazione, amore, ira, e questo pone problematiche di carattere etico non trascurabili.
E’ in questa fase la parte più avvincente. E’ nella caccia di Deckard ai replicanti l’essenza di Blade Runner. Deckard che si era ritirato dalla L.A.P.D. viene richiamato, risucchiato dai suoi ex superiori per eseguire gli ultimi “lavori in pelle” (come vengono chiamati in gergo dalla polizia). Si tratta di replicanti evasi da una base spaziale stazione extra-mondo, particolarmente pericolosi e aggressivi, i Nexus 6. Ma nel frattempo, durante la caccia, avviene l’imponderabile. Cioè avviene che il cacciatore si innamora di Rachael, una fantastica replicante impiegata presso uno dei creatori più influenti di replicanti, un grande scienziato costruttore.
Deckard va a terminare tutti i replicanti uno ad uno, come un killer infallibile, ma nello scontro finale con il leader dei nexus 6 Batty (interpretato da un Rutger Hauer in gran forma) il cacciatore ha la peggio e sta soccombendo, non fosse che il robot, captando la propria fine naturale imminente, lo risparmia dando agli umani un’ultima drammatica lezione.
Qualche anno fa in un’intervista Harrison Ford diceva che si era data sempre troppa importanza a questo film, che per lui in fondo era uno dei tanti, uno come tanti. Beh io stavolta darei invece torto al grande attore, concludendo che Blade Runner chiude una stagione particolarmente felice – iniziata nel 1970 - di grandi film, pensati, sceneggiati, e realizzati da grandi professionisti dell’industria del cinema americano, ognuno secondo le proprie competenze.
Quando un film viene rivisto periodicamente nel tempo continuando ad emozionare chi guarda, spesso è perché esso stesso è stato costruito con le emozioni e col cuore di chi ci ha lavorato. L’emozione, unita al lavoro, può creare altrettante emozioni. Non ci sono altre spiegazioni.
Voto: 8