Moebius

Regia: Kim Ki-duk
Cast: Cho Jae-hyun, Seo Youngju, Lee Eun-woo
Anno: 2013
Nazione: Corea del Sud
Durata: 90 minuti

TRAMA

Una famiglia vede la propria distruzione a partire dalla violenta reazione della madre ai tradimenti del padre. Ma alla fine sarà il figlio a pagare il prezzo più alto.

RECENSIONE

Una famiglia di tre persone. Un padre infedele, una madre disperata e un figlio schiacciato dal peso dei conflitti. Una famiglia come tante che di colpo, però, apre le danze alla follia. Il nucleo familiare è completamente chiuso e implode a discapito di qualsiasi volontà di uscire dal dramma creato dall’egoismo di due genitori tesi a far pagare all’altro il conto dei propri peccati.
Il silenzio regna sovrano, non una sola parola viene spesa all’interno della rappresentazione di un dilemma antico, nessuna sottolineatura musicale, solo i suoni quotidiani amplificati dal vuoto rimbombo di una tragedia che incombe.
Abbandonata la cifra stilistica e con essa l’inutile zavorra del linguaggio parlato, Kim esplora qui i limiti del dramma familiare proprio al confine con la commedia nera.
Moebius è un intricato puzzle che si compone in parti diseguali di reazioni esagerate e di edipici seni materni.
Se con Amen il gioco era costituito da un voyeristico sbirciare con Moebius il tutto è estremizzato dalla cruda rappresentazione degli estremi che si raggiungono là dove si abbandona ogni possibilità di dialogo. Moebius è il ritorno al primordiale, un cammino a ritroso nell’evoluzione dei rapporti umani, con solo un giovane a pagare per tutto il non detto che affolla la scena.
Ed è così che la parola viene rimpiazzata dal passaggio all’azione e al rapporto sessuale si sostituisce la penetrazione con le lame e lo sfregamento delle parti sensibili del corpo. Ma attenzione, non è nella cruda rivelazione di dettagli anatomici o di sgradevoli modalità di soddisfazione sessuale che è da ricercarsi il messaggio del film, Kim ci tiene a far presente che i rapporti umani sono ormai alla fine e che le situazioni quotidiane possono solo fare da paravento all’orrore che ciascuno custodisce nel proprio cuore e tra le proprie mura domestiche.
L’umorismo nero che contorna la scena serve ad esaltare il portato di una rappresentazione scevra da compromessi, e nel complesso il tutto ne risulta incredibilmente alleggerito. Se si può mostrare senza paura un’evirazione, uno stupro o un incesto è solo perché a ciascuno di questi terribili momenti succede da vicino una situazione paradossale.
I tre personaggi senza nome, che attraversano la tragedia senza mai fermarsi a pensare per un momento alle consegueze delle proprie azioni, non sono che lo specchio di una società che vive la competizione e il gioco al rialzo come unica propria modalità di espressione.
Kim usa ogni mezzo a disposizione per richiamare l’attenzione dello spettatore sul vuoto interiore generato dall’inseguimento del piacere a tutti i costi, ed è solo di quello che alla fine ci parla: del sesso come unica modalità di relazione tra le persone, sia esso un sesso consensuale o violento, possibile o impossibile da realizzare, è comunque il solo modo che i personaggi hanno per entrare in contatto con l’altro.
Kim firma con questo il suo film più didascalico, in cui l’ottima prova di tutto il cast è più che mai indispensabile alla riuscita di un’opera basata quasi esclusivamente sulle espressioni facciali, pertanto una una menzione speciale va al sempre efficace Cho Jae-hyun, con Kim già in Bad Guy, che conserva lo sguardo obliquo che rese indimenticabile, allora come adesso, un personaggio affetto da problemi sessuali.
La rappresentazione minimale, le scene prevalentemente in interni, l’uso del digitale e l’assenza del linguaggio parlato compongono questo semplice affresco della visione più pessimistica di un Kim ormai maturo, mutato dagli eventi passati al punto da superare ogni precedente estetica della rappresentazione tout court e sostituirla con una cruda realistica visione di un mondo in cui i rapporti umani sono solo pura sopraffazione e ricerca ossessiva del proprio piacere personale. Solo questo e nulla più.
Voto: 7
(Anna Maria Pelella)