Regia: M. Night Shyamalan
Cast: Will Smith, Jaden Smith, Sophie Okonedo, Zoe Isabella Kravitz
Produzione: USA
Anno: 2013
Durata: 100 minuti
La terra, sconvolta da una serie di catastrofi, è stata abbandonata da un millennio e la razza umana costretta a un esodo sul pianeta Nova Prime. Ma una razza aliena, gli Skrel, non sembra intenzionata a cedere il possesso del pianeta, e scatena contro i nuovi arrivati una creatura geneticamente modificata, progettata per fiutare i feromoni emessi dagli esseri umani: l’Ursa. Un’astronave che trasporta una di queste creature viene danneggiata da una pioggia di meteoriti e precipita proprio sulla terra, ormai divenuta un luogo inospitale. Gli unici superstiti sono il generale dei Ranger Cypher Raige e suo figlio Kitai, il quale dovrà attraversare cento chilometri di territorio ostile per attivare un radiofaro d’emergenza.
Un fantasma si aggira in quel di Hollywood, e non si tratta né del comunismo di Marx ed Engels, né del capitalismo di “Cosmopolis”. No, lo spettro in questione è quello di M. Night Shyamalan, o meglio dello Shyamalan autoriale, rimpiazzato da un anodino esecutore le cui opere hanno perso qualsiasi traccia di un’impronta personale. Il punto di rottura fu raggiunto nel 2008 con l’abborracciato “E venne il giorno”, e la scomparsa dello Shyamalan “autore” fu confermata dal successivo “L’ultimo dominatore dell’aria”. “After Earth” sembra purtroppo sancirne la sparizione definitiva, la trasformazione in inquieto ectoplasma. Sarà per questo che l’abilità più ardua da ottenere tra i Ranger di Nova Prime, quella che permette di rendersi invisibili agli Ursa, è denominata “Spettralità”? In questo suo ultimo film, tratto da un soggetto di Will Smith, il regista si dimostra infatti un vero campione della suddetta specialità, forse per rendersi invisibile al vecchio Shyamalan, quello di “Il sesto senso” e “The Village”.
Le premesse di carattere fantascientifico, cui assistiamo in flashback alquanto sbrigativi, non incidono granchè sulla struttura del film, che potrebbe agevolmente essere ambientato in un’epoca qualsiasi. Il fulcro su cui ruota “After Earth” è universale, almeno nelle intenzioni, ovvero il rapporto conflittuale tra un padre troppo spesso assente e un figlio rancoroso, il quale si sente spinto all’emulazione delle imprese paterne, con la speranza di guadagnarsi il suo affetto. Dopo lo schianto dell’astronave Cypher Raige, generale tutto d’un pezzo, si ritroverà con le gambe fratturate e toccherà al cadetto Kitai, guidato dal padre attraverso un trasmettitore, il compito di assicurare a entrambi la salvezza. L’immersione nella natura selvaggia, il confrontarsi con le avverse condizioni climatiche, dalla scarsità di ossigeno alla glaciazione notturna, costituiscono un vero e proprio “rito di passaggio”, secondo dinamiche tribali codificate da secoli, attraverso il quale Kitai diventerà un uomo. E l’aspirante Ranger non dovrà solo battersi contro creature ostili ormai poco avvezze alla presenza umana, dai feroci babbuini a grossi felini semipreistorici, ma anche guardarsi dal nemico più pericoloso di tutti, l’Ursa, che è riuscito a liberarsi dalla gabbia in cui era confinato. Inutile dire che nel corso di quest’odissea Cypher e Kitai riusciranno nell’impresa di rinsaldare il loro legame, a maggior gloria dei buoni sentimenti.
In “After Earth” è palese il disinteresse di Shyamalan, sia per quanto concerne il versante post-apocalittico, che serve solo a rendere più accattivante la confezione, che verso la materia narrata. Le avventure di Kitai in una “wilderness” sempre più matrigna, coprirebbero a stento l’esiguo minutaggio se non fosse per dei flashback di servizio: il ragazzo è tormentato dalle visioni della sorella Senshi, uccisa da un Ursa su Nova Prime, la quale veglia su di lui come un angelo custode, mentre Cypher è in preda ad allucinazioni causate dagli antidolorifici. L’evidente svogliatezza rende però palese come il loro intento sia solo quello di permettere al film di raggiungere i 100 minuti canonici, senza nulla aggiungere ai personaggi o alle loro motivazioni. A un certo punto il survival fantascientifico sterza addirittura verso il fantasy, grazie all’apparizione di un grosso volatile, a metà tra un Roc e un’aquila tolkieniana, e alla presenza di un eruttante vulcano che sembra attendere che Gollum vi precipiti con l’Unico Anello. Ma più che di peculiare cifra stilistica converrà parlare di una certa confusione d’intenti, comprese le immotivate e ripetute allusioni a “Moby Dick”. A meno che ormai il Cinema, per M. Night Shyamalan, non sia un’imprendibile balena bianca.
Will Smith, che aveva già recitato con suo figlio Jaden in “La ricerca della felicità”, abdica in suo favore limitando al minimo i movimenti dei muscoli facciali, come del resto si addice al George Patton di Nova Prime, mentre Jaden Smith oscilla tra rabbia e terrore. Ottimi gli effetti CGI di Jonathan Rothbart così come la fotografia di Peter Suschitzky, abituale collaboratore di David Cronenberg, e le scenografie “ecosostenibili” di Tom Sanders.
Voto: 5,5
(Nicola Picchi)