Titolo originale:
Tsumetai Nettaigyo
Regia: Sion Sono
Cast: Mitsuru Fukikoshi, Denden, Asuka Kurosawa, Megumi
Kagurazaka, Tetsu Watanabe
Nazione: Giappone
Anno: 2010
Durata: 144 minuti
Shamoto Noboyuki ha un piccolo negozio di pesci tropicali che gestisce con sua moglie Taeko. Un giorno sua figlia Mitsuko viene colta in fragrante taccheggio e salvata dalla prigione da Murata, un negoziante concorrente, che offre un lavoro alla ragazza nel suo negozio. I rapporti tra i due uomini si fanno così piuttosto stretti e Shamoto si trova a fronteggiare una situazione inaspettata.
Shamoto Noboyuki è un perdente sin dall’inizio. Sua figlia Mitsuko è una
teppista che aggredisce fisicamente la sua nuova moglie e ruba nei
supermercati. Colta in flagrante viene riconsegnata al rassegnato padre,
che si inchina manco fosse di fronte all’Imperatore, con la promessa che
l’evento non si ripeterà e che la ragazza verrà affidata a qualcuno in
grado di darle qualcosa da fare per distrarla dalle sue tendenze
sociopatiche. Murata, un uomo che ha assistito alla scena e che insiste
per lasciar andare la ragazza, si fa carico di offrirle un lavoro e
porta con sé gli esterrefatti genitori nel suo negozio di pesci
tropicali. Subito diviene chiaro il divario sociale che separa i due
commercianti, entrambi si occupano di pesci tropicali, ma Murata ha un
enorme emporio pieno di belle ragazze che lavorano per lui, mentre
Shamoto conduce da solo con sua moglie Taeko un modestissimo negozietto.
Le due donne si accordano per il futuro di Mitsuko e a Shamoto non resta
altro da fare che diventare socio in affari di Murata e sentirsi per
sempre in debito con lui.
Ma presto Shamoto si accorge che Murata ha uno strano modo di risolvere
i suoi problemi: rendere invisibile chi gli si oppone. Viene quindi
coinvolto nelle sue pratiche e alla fine quel che di peggio gli poteva
capitare si presenterà alla sua porta. E da semplice Cold Fish subirà
una trasformazione che lo avvicinerà alla sua nemesi.
Tratto da una storia vera ispirata ai delitti dei Saitama Dog Lover (Gen
Sekine e sua moglie Hiroko Kazama) che hanno ucciso quasi cinquanta
persone negli anni ottanta, di cui si trova un fedele resoconto nel
libro di Jake Adelstein, Tokyo Vice: An american reporter on the police
beat in Japan, questo Cold Fish tratta con competenza il problema delle
derive sociali nel Giappone attuale.
L’iconografia religiosa, in totale contrasto con il culto
dell’Imperatore tutt’ora vivo in Giappone, fa da sfondo al racconto
impietoso della degradazione morale di un uomo. Nessuno è immune dal
peccato, sembra dire Sono Sion, perché in tutti alberga il germe della
violenza, insensata e onnicomprensiva, una violenza da opporre al
dissenso. Come a dire che la cancellazione del dissenso è la strada per
l’affermazione sociale. I simboli religiosi eletti a strumento materiale
di distruzione sembrano poi dare ragione a chi, in Giappone secoli fa,
si oppose con violenza all’introduzione del culto di un Dio diverso
dall’Imperatore.
Chi di religione ferisce, di religione perisce.
L’aspetto grottesco, altrove presente in maniera più evidente, qui fa
capolino nelle pieghe di un racconto realista e nel contempo iperbolico.
Il tutto viene impietosamente fotografato con stile inconfondibile,
ormai marchio del regista, famoso per le sue logorroiche esposizioni che
urlano tutto il suo interesse per le derive sociali del Giappone
contemporaneo. Il senso della rappresentazione di un tale coacervo di
patologia e insensatezza è come sempre da ricercarsi nel nucleo
originale di tutte le patologie sociali: la famiglia. Specchio e nel
contempo causa stessa della degenerazione, la famiglia è qui trattata
come microcosmo per meglio individuare le cause del fenomeno che da anni
spinge alla riflessione sul livore e la freddezza che albergano nel
cuore dei giovani giapponesi. Il portato di tali derive è presente in
ogni tratto della produzione del regista, sempre attento alla
deflagrazione provocata dalla sempre più attiva rimozione delle
emozioni.
Se in Strange Circus il problema centrale era l’abuso, e in Love
Exposure la dipendenza emotiva da un’idea di sè, in Cold Fish il focus è
sull’incapacità di risultare vincenti mantenendo intatta la propria
morale. Il cold fish del titolo è appunto “carne da squali” che non si
faranno attendere appena il sangue comincerà a zampillare.
Ecco quindi un generoso sguardo sulla incredibile trasformazione che,
causata dal semplice desiderio di non prendere troppe decisioni e non
lasciare il proprio segno nella vita degli altri, colpisce chi alla fine
voleva solo assistere alla vita, senza mai entrare nel merito della sua
espressione più vitale: il successo.
Shamoto altri non è che l’emblema della passività tutta giapponese di
chi “sopporta troppo” per dirla con Murakami Haruki, e nulla si aspetta
in cambio. La sua trasformazione darà da pensare allo spettatore molto
più di tutte le budella e le macellazioni di cui è costellato il suo
cammino. Se non causa, esse saranno certo detonatore di tanto
pirotecnico ulteriore spargimento di sangue, a monito della pericolosità
di un’eventuale presa di coscienza da parte di chi è sempre stato cibo e
mai predatore. Da parte dei più deboli, quindi.
Una scintillante Asuka Kurosawa (A Snake of June) è Aiko, sensuale
complice di Murata, un giogionissimo Denden, mentre l’ottimo Mitsuru
Fukikoshi (Love Exposure) è un perfetto Noboyuki Shamoto, borghese
piccolo piccolo che diventerà grande solo alla fine, in un tripudio di
accettazione dell’unico fatto che “la vita è dolore”.
Mentre la sua povera moglie, una misurata Megumi Kagurazaka è travolta
da tanta autoaffermazione maschile al punto tale da risultare per
contrasto sparuta e soffocata, solo per aver interpretato bene e fino in
fondo il ruolo di ogni donna giapponese dalla notte dei tempi: quello di
catalizzatore e vittima designata delle esplosioni del suo personale
padrone e imperatore.
La regia misurata, leggermente più compatta del precedente Love Exposure
e meno intimista del pur bellissimo Be Sure to Share, regala autentici
momenti di inaspettato coinvolgimento, in quella che tutto sommato è
solo la storia dell’esplosione che si annida dietro ogni facciata di
educato perbenismo e di riuscita affermazione sociale, confermando
ancora una volta l’assoluta maestria del regista in materia di
rappresentazioni scomode e tuttavia pericolosamente possibili.
Voto: 8
(Anna Maria Pelella)