Priest

Regia: Scott Stewart
Cast: Paul Bettany, Maggie Q, Karl Urban, Christopher Plummer, Cam Gigandet, Lily Collins, Brad Dourif, Stephen Moyer
Produzione: USA
Anno: 2011
Durata: 88 minuti

RECENSIONE

Versione cinematografica del fortunato manhwa del coreano Hyung Woo-min, da cui però si discosta per l’ambientazione futuribile, “Priest” ricicla un numero talmente elevato di spunti, che solo ad enumerarli tutti ci si ritroverebbe per le mani un elenco interminabile. Per iniziare, il binomio succhiasangue & fantascienza Steampunk discende per filiazione diretta dal neozelandese “Perfect Creature” di Glenn Standring e da “La stirpe” di Michael Oblowitz, il road-movie postatomico dalla trilogia di “Mad Max”, il western (sempre Steampunk) dal fallimentare “Jonah Hex”, le scenografie dal solito “Blade Runner” e via discorrendo.

Tuttavia l’insieme si rivela assai meno fatale di quanto si potrebbe paventare, considerato il poco innovativo intruglio. Ben peggio andò di recente col pretenzioso e ridicolo “Codice Genesi”, degli ex desaparecidos fratelli Hughes, e sebbene il regista Scott Stewart, ex creatore di effetti speciali, difetti della genialità dimostrata dal collega Zack Snyder nella difficile arte del riciclaggio, è comunque in grado di allestire con competenza un dignitoso b-movie, assai più riuscito del precedente “Legion”. Sotto il suo occhio vigile l’inglese Paul Bettany retrocede da Arcangelo sterminatore a “Ninja di Dio”, tanto per rispolverare una battuta da un vecchio film di Peter Jackson, passando dalle luminose ali di Michele alla veste talare, con tanto di croce tatuata sulla fronte. Fucile a pompa e mazza rotante d’ordinanza vengono sostituiti da una serie di gadget di design, quali gli utilissimi crocefissi/shuriken.
Si direbbe che Scott Stewart sia stato angariato in età prescolare fra l’altare e il tabernacolo, vista la propensione finora dimostrata per un certo immaginario religioso, con contorno di apocalissi e divinità iraconde. O si tratterà invece della sana diffidenza tutta protestante per le presunte nequizie del Vaticano? Ma tant’è, qui abbiamo nientemeno che una casta di sacerdoti-guerrieri, ibrido tra i Templari e i cavalieri Jedi, grazie ai quali l’umanità è uscita vittoriosa dalla millenaria guerra contro i vampiri. Vampiri che, con buona pace degli obnubilati da Bella ed Edward, sono degli obbrobri zannuti che non conservano alcuna parentela con l’umano, evacuati da bozzoli gelatinosi.
Ufficialmente la guerra è finita. I vampiri superstiti sono confinati nelle riserve, accuditi da famigli umani che li rimpinzano di sangue di pollo, mentre gli umani vivono arroccati in città fortificate sotto il tallone di ferro della Chiesa. Non si comprende il motivo ma sulle città, fatiscenti ammassi postindustriali, non splende mai il sole, s’immagina per non guastare l’atmosfera dark. In compenso c’è abbondanza di confessionali e di peccatori che attendono il loro turno, cosa che allieterà le gerarchie cattoliche inquietate dal recente film di Moretti per le sacrileghe allusioni alla palla prigioniera. Com’è giusto che sia anche in un universo parallelo, persino la casta dei sacerdoti-guerrieri assaggia sulla propria pelle la piaga del precariato, essendo costretta a svolgere lavori sottoqualificati per assicurarsi la sopravvivenza. Una minoranza di immorali e senza Dio si è invece sottratta all’imperante totalitarismo orwelliano stabilendosi nelle Badlands semidesertiche, dove di sole c’è n’è in abbondanza. Un bel giorno (anzi, notte) le mignatte emo-dipendenti mettono a soqquadro la fattoria del fratello del protagonista, nientemeno che Stephen Moyer - il Bill di “True Blood” - portandosi via la di lui figlioletta. Lo sceriffo Hicks (l’intollerabile Cam Gigandet, unico punto debole del cast) si reca in città per comunicare al nostro eroe che sua nipote è stata rapita dai vampiri. Bettany, giustamente affranto, implora i suoi superiori di concedergli un permesso per allontanarsi dalla città. Non solo l’autorizzazione gli viene negata dal perfido Monsignor Orelas (Christopher Plummer, in un cameo alimentare), dato che ciò equivarrebbe ad ammettere che l’immonda genia costituisca ancora un pericolo, ma il poveretto viene minacciato di formale scomunica. Bettany se ne infischia e si mette in viaggio sulla sua moto superaccessoriata, ignaro del fatto che Orelas gli ha messo alle costole quattro sacerdoti perché lo aiutino a ravvedersi a suon di kung-fu. Ma sullo sfondo si profila una più grande minaccia: un sacerdote, amico di Bettany e da lui dato per morto, trama a spese degli umani e sta organizzando una rivoluzione vampirica (forse motivata dalla forzata dieta avicola), andandosene in giro su un treno piombato come Lenin nel 1917.
Se si è disposti con lungimiranza a soprassedere sugli atroci dialoghi dello sceneggiatore Cory Goodman, si possono apprezzare la mano robusta del regista nel girare le scene d’azione e le buone coreografie (anche se Stewart non ha a disposizione Yuen Woo-ping come i Wachowski), gli ottimi effetti in CGI di Jonathan Rothbart (tutte le creature sono digitali) e un bravo Paul Bettany, credibile e misurato anche negli improbabili personaggi che gli toccano in sorte. Senza contare che Maggie Q è sempre un bel vedere anche se, ahinoi, in quanto sacerdotessa è votata alla castità. Come spesso accade il 3D è inutile e posticcio, funzionale solamente nel bel prologo animato.
Voto: 6
(Nicola Picchi)