Regia: Brad Anderson
Cast: Hayden Christensen, Thandie Newton, John Leguizamo, Jacob Latimore,
Jordan Trovillion, Taylor Groothuis
Anno: 2010
Nazione: Usa
Durata: 85 minuti
Luke si sveglia dopo una notte di baldoria e scopre di essere solo nell’intero palazzo. Uscito in strada si accorge che anche fuori le persone sono di colpo sparite, lasciando però i loro abiti e gli oggetti per terra. Presto scoprirà che il buio che si sta avvicinando sempre di più è direttamente collegato alla sparizione della cittadinanza.
Diciamolo subito: questo film non è neanche lontanamente paragonabile
a "L'uomo senza sonno", meno che mai a "Session9", ma potrebbe certo
esser stato girato da chi già dava segni di cedimento verso l'ovvio con
"Transsiberian". Però nulla di quel che potreste aver pensato vedendo
quest'ultimo potrà mai prepararvi alla visione di questo "Vanishing on
7th street". Nulla.
In rete un certo numero di fan appassionati farnetica di simbolismi e
significati profondi, ma non è certo un film di Lynch quello di cui
stiamo parlando. "Vanishing on 7th street" è un brutto telefilm della
serie "Ai confini della realtà", di quelli riusciti male e girati con
due lire, ma pretenziosi da far venire rabbia già ai titoli di testa.
Pretenzioso come un film di Richard Kelly, ma senza nemmeno essere
ridicolo come il triste remake di "The Box".
Luke, un sonnolento e poco espressivo Hayden Christensen, si sveglia in
un appartamento vuoto. Intorno qualche candela accesa e nessuna traccia
della sua ragazza. Esce e si trova costretto a fare le scale, dal
momento che la corrente sembra esser mancata. Manca anche il portiere e
tutti gli altri inquilini del palazzo. Uscito in strada scopre un bel
po’di vestiti per terra, auto abbandonate e oggetti sparsi. Ma niente
gente. Proprio nulla. E questo, persino a una salma priva di cervello
come pare essere il nostro protagonista, dovrebbe stimolare qualche
domanda, o anche un minimo di perplessità. Ma lui, con stampata in
faccia la sua migliore espressione corrucciata, la quale somiglia
pericolosamente a un broncio, si aggira per la città deserta cercando
gente, con l’indolenza tipica di chi continua a chiedersi se sta
sognando o davvero tutti sono spariti giusto per fargli uno scherzo.
Appena fa buio, dopo circa un quarto d’ora che è sorto il sole, si trova
miracolosamente in un bar di cui ha visto le luci dalla strada buia.
Appena in tempo per sfuggire a un brutto effettaccio in computer grafica
che lentamente oscura i muri e si mangia la gente. Solo le persone,
niente vestiti firmati, né telefonini all’ultima moda. Perché gli
oggetti non ci definiscono come persone, anche se ci fanno sembrare
fighissimi e molto trendy. Sorvoleremo sul delirio religioso su cui lo
intrattiene la poveretta che incontra là dentro, una incavolata Thandie
Newton, così rabbiosa da far desiderare che il buio se la mangi per
prima, proprio mentre ci rende edotti sulla sua conversione dopo una
vita dissoluta. Cosa che, inutile dire, allo spettatore a quel punto non
potrebbe importare di meno.
E anche sulle scemate a proposito di luoghi deserti, che prima erano
abitati e poi si sono svuotati di colpo, su cui un triste operatore di
multisala, ispanico e acculturato dai giornaletti per fanatici degli
UFO, discetta dopo aver candidamente ammesso di aver appena avuto una
botta in testa.
Il tutto procede così tristemente tra un delirio religioso e un racconto
fantastico sui luoghi visitati dagli alieni, mentre lo spettatore si
chiede con una certa impazienza dove essi vogliano andare a parare. E
proprio quando stiamo per addormentarci, complice tutto quel buio e le
ninna nanne religiose, un’idea fa capolino all’interno della
sceneggiatura, ma si tratta di una tale stupidaggine che ci si copre di
ridicolo anche solo a ripeterla. Una scemata simile fa sembrare quel
delirio di "E venne un giorno" una sceneggiatura scritta da Bergman. E
sulla tensione della scoperta di questo sottile ma inequivocabile
messaggio tessuto abilmente nella trama del suo ultimo film da un
regista ormai agli sgoccioli, lasceremo lo spettatore a domandarsi se
sia il caso o meno di avventurarsi per visionare l’opera del declino di
un onesto regista, o mantenere inalterato il ricordo delle sue cose
migliori fingendo che questo telefilm sia stato girato da un omonimo.
Voto: 4
(Anna Maria Pelella)