Titolo originale:
Les 7 jours du talion
Regia: Daniel Grou
Cast: Claude Legault, Rémy Girard, Martin Dubreuil, Fanny
Mallette
Nazione: Canada
Anno: 2010
Durata: 105 minuti
Bruno è un medico la cui figlia di otto anni viene violentata e uccisa. Dopo pochi giorni il detective incaricato dell'indagine gli fa sapere che il colpevole è stato identificato e che la sua condanna è certa. L'uomo si organizza allora per rapire l'assassino di sua figlia e mettere in pratica la sua vendetta.
Bruno è un medico, con una bella moglie e una deliziosa figlia di otto
anni. Un giorno la ragazzina viene violentata e uccisa e da quel momento
Bruno cessa di vivere. Il suo solo pensiero è la vendetta. Infatti
appena il colpevole viene catturato Bruno si organizza meticolosamente
per mettere a punto il suo piano. Rapirà l'assassino e lo torturerà per
sette giorni, fino al compleanno della sua defunta figlioletta, dopo di
che si costituirà alle autorità.
Di fronte all'ineluttabile, o peggio all'inspiegabile, Bruno sceglie la
strada della vendetta. Spesso confusa con il gesto catartico capace di
annullare il dolore e di restituire la pace a un uomo afflitto, la
vendetta ha però il solo pregio di sollevare momentaneamente lo spirito.
Niente di più. Finito il semplice gesto magico volto a negare la morte,
o negarne l'effetto, si resta soli col proprio dolore, proprio quel
dolore che si voleva così disperatamente eludere uccidendo chi ha
ucciso.
Bruno ha dapprima una comprensibile reazione di shock di fronte
all'inaspettato, ma poi semplicemente rifiuta di accettare l'accaduto e
si dedica a cancellarne le tracce sostituendosi all'assassino,
nell'illusione che il gesto cancelli il passato e renda vivibile il
presente.
Il tutto è raccontato con uno stile asciutto, da cinegiornale, quasi a
voler rimarcare la quotidianità di simili accadimenti, e nello stesso
tempo la loro spendibilità mediatica. A pochi giorni dall'accaduto
l'intero paese dà voce, tramite le telecamere del giornale della sera,
al sostegno corale di una nazione nei confronti di un padre afflitto.
Poche le voci discordanti, e curiosamente provengono da un'altra
vittima, madre di una delle poverette che hanno avuto la sfortuna di
incrociare il cammino dell'assassino. Ma Bruno non tollera contrasti e
decide di andare oltre, coinvolge la donna nelle sue attività
distruggendone il faticoso equilibrio conquistato nei lunghi anni
solitari dopo la morte della figlia. E non è ancora tutto. Il killer si
accorge presto che Bruno non prova il suo stesso piacere nell'infliggere
il dolore e glielo fa notare. A questo punto la situazione degenera e lo
spettatore, che pure riluttante aveva seguito la discesa negli inferi di
un uomo qualunque, si trova di fronte a una scelta assai ardua. Il bivio
è semplicemente quello tra la rassegnazione e la negazione. Tutto qua.
Non c'è altro e lo spettatore lo scopre molto prima del protagonista,
accecato dalla paura di esser in parte responsabile dell'accaduto. Come
se si potesse mai davvero proteggere un figlio dalla realtà della vita.
La regia segue silenziosa e leggermente didascalica le discutibili
scelte del protagonista, un potente Claude Legault, che senza troppa
enfasi dà voce al dolore dell'umana impotenza. Mentre la fotografia
tetra e senza nessuna patinatura sottolinea la triste atmosfera di
perdita. L'intero cast sostiene il durissimo peso di una storia nera e
senza speranza, mentre Daniel Grou lascia il suo protagonista
esattamente a metà, tra la scelta di accettare il dolore o tentarne
l'annullamento tramite lo stesso gesto che lo ha scatenato. Ma quello
che lo spettatore intuisce da subito è che nulla di quello che Bruno
farà gli potrà restituire la pace. Oltretutto l'intero cammino del
protagonista è costellato di persone che questa cosa la sanno da tempo,
a cominciare dal detective incaricato delle indagini che ha consegnato
alla giustizia l'assassino della sua stessa moglie. Certo questo non gli
ha evitato il dolore, ma lo ha almeno messo in contatto con l'unica cosa
da fare di fronte alla perdita: accettarne il peso e continuare la
propria vita.
Bruno però non sa bene come gestire il tutto e si perde un po' per
strada. Esattamente come Daniel Grou che da un certo momento in poi
sembra indeciso sulla strada da prendere. Non siamo di fronte a un vero
e proprio revenge movie, e nemmeno a uno slasher. Però le considerazioni
che avrebbero potuto trovare posto in una storia simile, quelle che sole
possono motivare le scelte del protagonista, sono rimandate per la
maggior parte all'intuito dello spettatore. Il quale da solo capisce che
la vendetta non è la strada e sempre da solo assiste impotente
all'avanzare della consapevolezza nell'animo del protagonista. E mentre
la nazione intera chiede sangue e vendetta lo spettatore, così come
Bruno, si trova di fronte al fatto che spesso a nascondersi dietro
l'opinione pubblica non sono i sentimenti più nobili.
E la fine della storia non sarà altro che l'ennesimo live show, con le
telecamere puntate sul volto devastato di un uomo morto che ha operato
la sua vendetta, ma che non ha per questo riacquistato la sua vita.
Voto: 6
(Anna Maria Pelella)