La horde

Titolo internazionale: The Horde
Regia: Yannick Dahan, Benjamin Rocher
Cast: Eriq Ebouaney, Jo Prestia, Aurélien Recoing, Jean-Pierre Martins, Claude Perron, Antoine Oppenheim, Yves Pignot, Sebastien Peres
Nazione: Francia
Anno: 2009
Durata: 90 minuti

TRAMA

Un poliziotto viene trovato morto e i suoi colleghi cercano vendetta. Organizzano così una squadra e si recano nottetempo nel palazzo in periferia, dove la banda di nigeriani responsabili del delitto svolge le sue attività. Una volta entrati i poliziotti finiscono presto nelle mani dei delinquenti, e mentre questi stanno per ucciderli, uno zombie entra nell'appartamento e li aggredisce. Il gruppo decide di unirsi per combattere l'invasione e rimandare le ostilità nel tentativo di uscirne vivi.

RECENSIONE

Il film di zombie è da sempre un terreno fertile per sottotesti sociologici e polemiche visioni del lato consumista di una società spesso poco attenta nei confronti delle frange più deboli. In questo caso la polemica è incrociata col disagio reale delle banlieue parigine, da anni al centro delle cronache per fatti di sangue e guerriglie urbane, che avvengono a pochi passi dal mondo patinato di una delle più belle capitali europee. La periferia parigina si configura quindi come un territorio di caccia da parte di malavitosi, che trovano tra gli immigrati ai margini di una società che li rifiuta, materiale umano dotato della necessaria famelica disperazione che spesso induce su strade sbagliate.
"La Horde" del film è un gruppo di zombie, che fa la sua inopportuna comparsa nel bel mezzo di un regolamento di conti. Ma anche i poliziotti che aprono le danze non sono certo dei santi, per non parlare dei nigeriani i quali, armi alla mano, ridono delle patetiche pistole del drappello di vendicatori e stupiti si chiedono "tutto questo a causa di un poliziotto?" come a rimarcare l'insignificante realtà della morte. Su un terreno così ricco di ostilità e di rancore la deriva sociale può solo condurre all'automatismo delle uccisioni e alla rivendicazione di un'appartenenza che incute timore al solo parlarne ad alta voce. Figurarsi poi a urlare. Urla che sottolineano il fatto che con un nigeriano non è il caso di dissentire, o che invitano al banchetto orde di famelici, inconsapevoli morti, i quali rifiutano la loro condizione e continuano a camminare e, soprattutto a cercare cibo. Il tutto si traduce in un'inarrestabile epidemia, dal momento che chi viene morso muore e si rialza, come nella più classica delle tradizioni del film di genere: una volta instaurata una dipendenza in un consumatore, esso consumerà fino a morire e poi continuerà a consumare, contagiando tutti con la sua sola presenza.
Fatti salvi i principi fondamentali alla base della rappresentazione del ritorno dalla morte, è possibile ravvisare in questa release alcuni tratti di un classico "polar" francese. Primo fra tutti la caratterizzazione dei personaggi. Lungi dall'essere anche solo vagamente influenzati dal buonismo degli eroi splendenti in armatura d'oltreoceano, i cineasti francesi hanno da sempre preferito una più realistica ambiguità morale, sia nella rappresentazione dei buoni che in quella dei cattivi. Quasi un monito contro le contaminazioni manicheiste, spesso ree di una granitica scissione che non favorisce di certo nessuna sana identificazione coi personaggi.
In "La Horde" per la verità non solo sono tutti cattivi, ma alcuni sono anche piuttosto stronzi. La recitazione impeccabile dell'intero cast amplifica la sensazione dello spettatore di assistere a un fatto di cronaca leggermente enfatizzato dalla rappresentazione di stampo apocalittico, ma pur sempre credibile nell'ottica di una riuscita caratterizzazione culturale. Proprio come in "REC", dove il substrato culturale rendeva realistico il contesto e donava spessore al racconto col semplice espediente di rifiutarsi di cedere alle mitizzazioni hollywoodiane.
E se il noir francese ha regalato ai suoi protagonisti il fascino eroico della crociata solitaria, è dal poliziesco che vengono le bande di solidali colleghi che mettono a repentaglio la propria vita per un principio, in nome di una fratellanza che tutto trascende e fagocita. Proprio come le orde fameliche che invadono prima la periferia e poi l'intera città. Ci si immagina siano usciti proprio da quelle stesse mura fatiscenti che adesso fanno da ultima barriera contro l'appiattimento sociale indotto dalla morte. I buoni, che non esistono, e i cattivi che esagerano in ingenuità dando le spalle al nemico appena fuori pericolo, sono l'ultimo baluardo di una società che trascende le motivazioni e sola indica la via nell'accettazione delle differenze contro l'inutile guerra alla diversità.
In questo senso la regia ispirata al ritmo di un trascinante videogioco, mette semplicemente in contatto mondi tra loro neanche più tanto diversi, in una celebrazione empatica del combattimento primordiale contro il contagio. Un contagio che finisce per unire chi non vuole appiattirsi e invita a fare quadrato a dispetto dei torti subiti o delle faide in corso. Ma senza dimenticare mai che, finite le ostilità la lotta vera, quella per la definizione di chi avrà davvero l'ultima parola, si continua a svolgere imperterrita tra le macerie di un mondo che forse non è più, ma in cui sopravvive soltanto chi mantiene il controllo fino in fondo.
Voto: 6
(Anna Maria Pelella)