Perche' quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer?

Regia: Anthony Ascott (Giuliano Carnimeo)
Cast: Edwige Fenech, George Hilton, Paola Quattrini, Giampiero Albertini, Franco Agostini, Oreste Lionello, Ben Carrà, Carla Brait, Gianni Pulone, Carla Mancini, George Rigaud,
Soggetto e sceneggiatura: Ernesto Gastaldi
Montaggio: Eugenio Alabiso
Fotografia: Stelvio Massi
Produzione: Luciano Martino per la Galassia Film – Lea Film
Anno: 1972
Durata: 91 minuti

TRAMA

Una squillo viene uccisa a colpi di bisturi nell'ascensore di un grande condominio. La seconda vittima è una spogliarellista mulatta, che viene affogata nella vasca da bagno del suo appartamento. Nell'abitazione della mulatta vanno a stare due giovani fotomodelle, Marilyn e Jennifer. Ma quest'ultima è perseguitata dal marito che la vorrebbe riportare in una setta di fanatici dove si pratica l'amore di gruppo.

RECENSIONE

Conclusa la serie dei Sartana e ormai degenerato nel western comicarolo, Giuliano Carnimeo – continuando a portarsi dietro il suo pseudonimo yankee Anthony Ascott – gira questo thrillerino ambientato a Roma, quasi tutto concepito in spazi chiusi e claustrofobici: ascensore, appartamenti, scantinati. L'unica effettiva scena in uno spazio aperto finirà tragicamente con l'accoltellamento di Marilyn. Carnimeo è un ottimo artigiano e sa confezionare il suo prodotto ispirandosi al thriller argentiano, o anche baviano, con l'assassino a volte incappucciato che si infila i guanti e mostra l'oggetto del delitto allo spettatore, a volte lui stesso in soggettiva che guarda e colpisce la sua vittima con gli occhi dello spettatore. Ma c'è anche una buona innaffiata di giallo-Martino in questo film, sia per la presenza della coppia-feticcio Fenech-Hilton (già insieme ne Lo strano vizio della signora Wardh e in Tutti i colori del buio, quest'ultimo contemporaneo al giallo di Carnimeo), sia per la morbosità sessuale (la setta dell'iris, il Bloody Iris che dà il titolo alla versione estera del film) e le deviazioni sessuali che, come scuola thriller insegna e poi eredita, finiscono con l'essere punite dall'assassino. In questo film l'elemento deviante, il lesbismo di Sheila, è la matrice di tutti gli omicidi a tal punto che il film di Carnimeo può a buona ragione targarsi come un lesbo-thriller. Se Martino (o anche Lenzi) consumano però il lesbismo più che punirlo, Carnimeo non lo mostra esplicitamente, ma si attiene all'esaltazione estetica della eterosessualità riprendendo la copulazione ovviamente della Fenech con Hilton. Di sessuale dunque non v'è eccesso, se non i seni scoperti della mulatta nella scena della lotta nel locale e in quella appena successiva del suo assassinio. Bella la figura dell'equivoco architetto Andrea Antinori, continuamente sospettato e scagionato fino all'esito conclusivo, quasi commovente, del flash-back dell'incidente d'auto che generò la sua fobia per il sangue. Perché questo titolo? Il commissario Enci lo attribuisce ai poemi ossianici (?), ma in realtà starebbe ad indicare metaforicamente nella mente dell'assassino l'ossessione per il corpo di Jennifer (non si dimentichi che ad un certo punto il ragazzo sfigurato viene esposto a forti sospetti), che sia per ragioni di avversione verso donne belle e tentatrici, che sia per l'esigenza di trarne una soddisfazione sessuale (anche da parte di Antinori, beninteso; lui ci riesce ma ancora prima di certificare la sua innocenza). Buon ritmo comunque, anche se è un giallo da non prendere troppo sul serio; resta però un bel divertimento, con un pizzico di humour all'italiana assolutamente gradevole e benestante.
Musiche di Bruno Nicolai, belle, inquietanti e al contempo romantiche con l'harpsichord che scandisce in testata i passi della squillo di turno. Sicuramente, quando Simonetti compose i titoli di Profondo rosso nel 1975, aveva in testa il tema di questo film perché stilisticamente è molto simile benché strumentalmente elettronico e non orchestrale come il lavoro di Nicolai.
Voto: 7,5
(Andrea Natale)