Titolo originale:
Akasia
Regia: Park Gi-Hyeong
Cast: Shim Hye-jin, Kim Jin-geun, Moon Woo-bin, Park Woong, Jeong
Na-yun, Lee Young-hee, Min Hye-ryeong
Nazione: Corea del sud
Anno: 2003
Durata: 104 minuti
Mi-sook vive con suo marito Do-il e il padre di lui. Il suo più grosso cruccio è di non riuscire ad avere figli, motivo per cui i due decidono per un'adozione. Mi-sook si innamora dei disegni di Jin-sun, uno dei ragazzi dell'orfanatrofio, e sceglie di adottarlo. Dopo poco tempo scopre che il ragazzino è ossessionato dagli alberi e che passa il suo tempo sotto la grande acacia nel giardino di casa. La situazione si complicherà quando la donna darà inaspettatamente alla luce un figlio.
L'orrore, quello vero senza bisogno di mostri o di eccessi di
emoglobina, è sempre inquietante.
Spesso ambientato tra le pareti di casa, a negazione del fallace
sentimento di sicurezza che esse solitamente evocano, risulta ancora più
disturbante. E se c'è qualcosa che può peggiorare la già dolorosa
sensazione di essere testimoni di un abuso, di sicuro è il fatto che a
subirlo sia un bambino, cosa che rende al limite del sostenibile
l'intera esperienza.
Jin-sun è un ragazzino gracile e amante degli alberi. Passa il tempo
sotto i rami spogli di un'acacia e ne abbraccia il tronco con una fame
d'affetto che fa male all'anima di chi lo guarda. I suoi genitori
adottivi sono premurosi e attenti ai suoi sentimenti. Cercano di farlo
sentire a casa, anche quando arriva un indesiderato fratellino. Ma
qualcosa va storto e il ragazzino sparisce.
La famiglia a mano a mano si sgretola. La madre lentamente sprofonda
nell'ossessione. Il padre nell'aggressività immotivata. E i nonni hanno
degli strani incidenti. L'albero di acacia fiorisce per la prima volta
dopo molti anni. E la bambina dei vicini, unica amica di Jin-sun si
comincia a sedere sotto il tronco.
"Acacia" è un horror dal taglio essenziale. La regia limpida, senza
sottolineature insinua una blanda inquietudine nello spettatore, il
quale viene presto catturato dai dettagli lasciati cadere qua e là che
sottintendono più che indicare una realtà altra, opposta a quella
inizialmente dichiarata. Il senso ultimo di raccontare una storia che in
definitiva parla di sentimenti negati e di follia è da ricercarsi nella
modalità originalissima di rappresentazione del dolore. Con il solo
espediente di sovrapporre gli attori di oggi al dramma del momento
passato in cui tutto si è compiuto, la regia crea una intrigante
confusione di ruoli, che fino a pochi istanti dalla fine non lascia mai
presagire l'effettivo coinvolgimento di tutti gli attori nei fatti
rappresentati.
La fotografia accurata riesce nel difficile compito di rendere ansiogena
la sola vista di un albero, filmato in luminose sequenze oniriche le
quali accrescono la magia sottintesa al racconto, aumentando la
sensazione dello spettatore di essere capitato in una favola, ma di
quelle nere.
Shim Hye-jin, già in "Ginko Bed" e in quel piccolo gioiello di "Green
Fish", riesce a rendere ambigua l'anima di una madre senza mai strafare,
usando a volte la sola piega dello sguardo che, a seconda
dell'inquadratura può essere amorevole e minacciosa in un attimo. Mentre
Kim Jin-geun, successivamente nel bellissimo "The scarlet letter",
rivela insospettate capacità di rappresentazione di una follia tanto più
letale quanto inaspettata. Ma quello che resta nel cuore dello
spettatore è il volto del piccolo Mun oh-bin, perfettamente in bilico
tra il dolore della perdita e la scelta della fuga di fronte al rifiuto
altrui. Proprio come se per i bambini come lui non ci fosse mai una
possibilità di lieto fine. E purtroppo non ci sarà neanche questa volta.
Voto: 7
(Anna Maria Pelella)