Titolo originale: Je viens avec la pluie
Regia: Tran Anh Hung
Cast: Josh Hartnett, Elias Koteas, Lee Byung-hun, Takuya Kimura,
Shawn Yue, Trần Nữ Yên Khê, Eusebio Poncela, Sam Lee, William Chow Tze
Ho, Thea Aquino, Russ Kingston, Jacob J. Ziacan
Nazione: Francia
Durata: 114 minuti
Anno: 2008
"Ti perdono. Tu non sai quello che fai"
"Non voglio il tuo perdono"
Kline è un detective che combatte il lungo strascico lasciatogli
dallo scontro con un serial killer che usava i corpi delle sue vittime
per delle istallazioni. Accetta così l'incarico di trovare Shitao, il
figlio di un ricco imprenditore, che è scomparso nelle Filippine.
Seguendo le sue tracce si trova a Hong Kong dove Meng Zi, un suo amico
che lavora per le forze di polizia locali, lo aiuta nelle ricerche. Nel
frattempo Meng Zi lavora al caso di un piccolo boss del luogo, Su Dongpo,
la cui fidanzata tossicodipendente è sparita durante un inseguimento.
Kline ha fatto un bruttissimo incontro, persino peggio di quelli che le
persone come lui fanno per lavoro. Ha incontrato il serial killer di cui
sono, per fortuna, pieni solo i film: uno psicopatico che si definisce
un artista e che compone istallazioni coi corpi delle sue vittime.
Scampato da poco al pericolo reale di diventare la sua prossima
istallazione, Kline si porta dietro gli incubi e qualche visione. Ma
decide di rimettersi al lavoro, come sempre succede ai detective che non
si fanno fermare dai cattivi. Almeno nei film. Nella realtà è molto
probabile che, dopo un incontro simile, uno scelga di cambiare mestiere,
città e magari pure continente.
Kline va dapprima a Mindanao, nelle Filippine dove incontra il
precedente investigatore che si era dedicato al caso, e poi si reca a
Hong Kong. Qua si fa aiutare da Meng Zi, un suo collega della polizia,
che casualmente lo coinvolge nell'indagine a carico di Su Dongpo. Quello
che però Kline scoprirà quasi subito è che i due casi sono collegati e
che Shitao, nonostante le notizie che lo davano per morto, è presente
sul luogo di uno dei crimini connessi a Su Dongpo.
Sebbene non particolarmente originale, questo inizio è solo la facciata,
dietro la quale il film prende lentamente una piega strana e visionaria.
Shitao è una figura molto particolare, e la sua abilità di assorbire il
dolore e i mali delle persone lo rende presto un oggetto di venerazione.
Annunciato da un evangelista pazzo, Shitao però si spinge pure un
pochino oltre, e ritorna dalla morte. Il suo ritorno sotto la pioggia lo
rende praticamente un catalizzatore per tutti malati e gli storpi. E
quando si imbatte in Lili, la fidanzata tossicodipendente di Su Dongpo,
non può evitare di aiutarla.
Tran Anh Hung, regista de "Il profumo della papaia verde", "Cyclo" e
"Solstizio d'estate", combina ambiziosamente il thriller con una potente
metafora cristologica, la quale arricchisce non poco una trama in sè
banale. La costruzione non lineare rende leggermente barocca la
rappresentazione, ma affascina con il semplice espediente di mostrare le
cose senza contestualizzarle, spingendo a mano a mano il racconto verso
il surreale e inducendo lo spettatore a credere fino alla fine alla
metafora folle che si intuisce sin dalla prima apparizione di Shitao.
Tran Anh Hung usa la macchina come fosse un bisturi, e lentamente
insinua nello spettatore una sensazione di complicità con i personaggi,
anche quelli più neri, lasciandoli agire senza nessuna sottolineatura, a
parte la trascinante musica dei Radiohead. Infatti le immagini più
potenti sono quelle che ricalcano l'iconografia cristiana e nessun
commento sarebbe in verità risultato adatto. Il buon uso degli attori è
uno dei cardini della riuscita rappresentazione. La combinazione di uno
stropicciato Shawn Yue e di uno stranamente convincente Josh Hartnett
crea una base efficace per le caratterizzazioni via via più accurate che
incontreremo lungo il cammino. Elias Koteas è un freddo killer da
incubo, mentre il sempre bravo Sam Lee presta il suo sguardo allucinato
all'evangelista folle. Takuya Kimura è il pallido Shitao, cui è
richiesta una sola espressione, quella dell'eterna accettazione, mentre
Lee Byung-hun è un boss sufficientemente cattivo da decidere per una
crocifissione sul posto dell'ingombrante guaritore.
In definitiva si tratta di un lavoro accurato, da parte di un regista
che ha già dato prova delle sue buona capacità evocative. Il tutto si
contiene nei binari di un'onesta rappresentazione di quella che alla
fine è una gigantesca metafora del significato che ciascuno attribuisce
a se stesso nel mondo in cui si trova ad agire. E se anche potrebbe
sembrare semplicistico il punto rimane sempre lo stesso: per le cose che
ci sembrano inspiegabili a volte conviene prestare attenzione alle
parole dei folli. In genere la sanno più lunga e non finiscono mai
imbrogliati dalla ragione.
Voto: 6
(Anna Maria Pelella)