Titolo originale:
Bakjwi
Regia: Park Chan-wook
Cast: Song Kang-ho, Kim Ok-vin, Sin Ha-gyun, Kim Hae-sook, Park
In-hwan, Dal-su Oh, Song Young-chang, Mercedes Cabral, Eriq Ebouaney,
Choi Hee-jin, Woo-seul-hye Hwang
Nazione: Corea del Sud
Anno: 2009
Durata: 145 minuti
Sang-hyeon è un amato sacerdote cattolico che decide di sottoporsi come volontario alla sperimentazione di un farmaco per la cura di un terribile virus, denominato EV, che colpisce uomini non attivi sessualmente. La sperimentazione però lo porterà alla morte, dalla quale si risveglierà, forse a causa di una trasfusione fuori controllo. Da quel momento in poi il suo corpo troverà sollievo soltanto nel sangue, unico elemento in grado di contrastare i sintomi della malattia. Nel frattempo intreccia una relazione con Tae-joo, moglie sfortunata di un suo vecchio amico di cui, insieme alla donna, causerà la morte.
E' comprensibile che dopo anni spesi a dedicarsi alla vendetta il tema
successivo possa essere la colpa. Ed è infatti quello il vero tema del
nuovo film vampirico/cattolico di Park.
Una colpa che non si risolve con l'espiazione, come ci hanno abituati
anni di pensiero cattolico, ma che forse si può attenuare col sacrificio
sull'altare di una personale appropriazione delle responsabilità di
tutte, decisamente tutte, le proprie azioni.
Park sfiora i temi cari alla religione esclusivamente per motivare il
percorso del suo protagonista, un credibilissimo prete cattolico devoto
e desideroso di fare del bene, che però passa il segno dopo esser morto
e risorto. Proprio come il figlio di Dio, viene da dire. Ma diversamente
da lui, Sang-hyeon non sceglie di accogliere le direttive del Padre e di
continuare a fare del bene anche dopo la morte. La strada intrapresa da
Sang-hyeon lo allontana, non senza dolore, dal cammino tracciato dai
suoi studi e dalla sua mai estinta vocazione per il Bene.
Emmanuel è uno strano virus, colpisce gli uomini che non fanno sesso, e
quindi niente lascia presagire che sia un castigo divino. Il desiderio
di aiutare è uno dei cardini della fede cattolica, e quindi un
sacerdote, che già lavora in ospedale e vive la sua vita a contatto con
i malati, non può che trovare naturale tentare di mettere il suo corpo
al servizio della scienza.
Il vampirismo a questo punto è solo la metafora che Park usa per
spiegare la trasformazione. Il sangue diviene veicolo di vita e unico
nutrimento di chi, inspiegabilmente dopo aver tentato di fare del bene,
viene restituito alla vita perduta da una trasfusione sbagliata. Vampiro
quindi non è più semplicemente chi si nutre del sangue degli umani, ma
il pallido riflesso di un uomo puro che attraverso il proprio sacrificio
non giunge alla sublimazione, nè al riscatto dei peccati, ma alla
dannazione e alla inestinguibile sete terrena. E la sua sete riguarderà
anche altri aspetti della vita, di quelli che normalmente un prete
cattolico sceglie di negarsi dedicando la sua vita al Signore.
Il senso ultimo di raccontare tutto questo però, non è da ricercarsi in
un malcelato desiderio di dissacrare il pensiero religioso, che prima di
tutto appare nella sua veste filosofica: il Bene come desiderio e
strumento nella vita di chi sceglie di aiutare il prossimo, ma semmai è
in quello più terreno di mostrare che, anche nel più nero dei momenti,
la morale ha un suo peso e non tutto quello che ci viene naturale può
essere soddisfatto.
Niente scandali dunque, e nemmeno panni sporchi nella lavatrice del
Vaticano. Il prete di Park ha soltanto il desiderio di aiutare, e
proprio quello lo condannerà. Prima attraverso il contagio, poi per
tramite di una donna, la quale gli appare l'ennesima vittima da
soccorrere. Come se lui non avesse già abbastanza problemi così.
Tae-joo è una sperduta fanciulla maritata male, che vive la sua passione
come un coniglio impaurito. Ma la trasformazione che subirà, da un certo
momento in poi, farà da catalizzatore degli intenti più maturi di
Sang-hyeon. Lui è il vampiro, e il contagio avviene per suo tramite, ma
non sarà per quello che alla fine lui deciderà per tutti e due. Sarà
soltanto per rimettere a posto le cose, che lui stesso aveva modificato,
semplicemente essendo al posto sbagliato nel momento giusto.
La regia limpida è uno dei punti di forza di questo complesso film,
opera matura di un regista già molto dotato. Il racconto appare ispirato
e trascinante. Le immagini potenti e, in alcuni poetici, brevissimi
istanti persino struggenti, trascinano senza sosta lo spettatore di
fronte a una passione che travalica ogni definizione. Non a caso le
immagini migliori sono quelle in cui il tutto è affidato al silenzio e
alla semplice espressione corporea, pregna di significati condivisi
dallo spettatore per il semplice fatto di esser stato presente alla
costruzione della sottile ragnatela tessuta da Park, la quale finisce
per imbrigliare senza pietà i personaggi e lo spettatore in una
complicità talmente intima da sfiorare l'osmosi.
Sang-hyeon, un potentissimo e mai troppo apprezzato Song Kang-ho, è la
scintilla di vita che ciascuno porta dentro di sè dalla nascita, a volte
sopita da una vita di rinunce e di dolore, altre volte resa
significativa dal semplice mettersi al servizio di un'idea o di una
passione. Tae-joo, una pallida e convincente Kim Ok-vin, incarna alla
perfezione lo spirito della passione sopita, che diviene un'arma in mani
inesperte. Mentre la bravissima Kim Hae-sook regala alla madre
un'indimenticabile spessore, per la maggior parte del tempo con il solo
uso dello sguardo.
E se c'è davvero una cosa che dovrebbe esser ormai chiara a tutti è che
la maturazione di Park procede di pari passo con la sua tendenza
all'apertura verso temi via via più complessi. E se in "I'm a cyborg,
but that's ok" la malattia mentale era una porta attraverso la quale
sbirciare un universo ricco e pieno di fantasia, in questo nuovo lavoro
il vampirismo e la religione divengono una buona chiave per accedere al
mondo interiore di ciascuno di noi, e là capire finalmente le vere
motivazioni che ognuno nasconde persino a se stesso.
Voto: 8
(Anna Maria Pelella)