Titolo originale: Madeo
Regia: Bong Joon Ho
Cast: Bin Won, Ku Jin, Hye-ja Kim
Anno: 2009
Nazione: Corea del Sud
Durata: 128 minuti
Do-Joon è un giovane dalle limitate capacità mentali che vive con sua madre. Un giorno viene accusato dell'omicidio di una ragazza del luogo e sua madre, non credendo alla sua colpevolezza, cerca con tutti i mezzi di indagare sull'accaduto.
La madre di Do-Joon non ha un nome. E' soltanto un'archetipo, quello della Madre
sacrificale.
La Madre non ha altro scopo nella vita che il suo unico figlio.
Un figlio stranamente lento a pensare e decisamente tardo a ricordare. Un figlio accusato
di un omicidio che lei non crede assolutamente che lui possa aver commesso.
Così si rimbocca le maniche e si dà da fare.
Prima di tutto coinvolge l'amico del figlio, la cui frequentazione non aveva mai
approvato.
Poi passa alle amiche della morta e ai suoi presunti amanti e infine scopre qualcosa.
Quello che però non si scoprirà mai, in verità, è che cosa è davvero successo
quell'unica sera in cui Do-Joon è andato fuori a bere.
Certo la ragazza in questione è un tantino chiacchierata, ma non è questo il punto.
Nemmeno il suo cellulare, perso e ritrovato può davvero dare una risposta.
L'unica possibilità sembra essere un eventuale testimone. E qui la faccenda si fa
complicata. La madre si trova di fronte a una scelta e quando agirà sarà solo d'impulso,
esattamente come non aveva mai pensato di agire.
Bong Joon Ho racconta con passione un'altra indagine, anni dopo quella di "Memories
of murder", e come in quel caso lascia cadere insinuazioni all'interno di una trama
che solo in apparenza può sembrare semplice.
La madre del titolo è più che altro una funzione, prima ancora che un'essere umano. E'
il concetto di protezione portato all'estremo. E Bong ha una grande abilità nel tessere
il racconto degli estremismi cui si può arrivare, a volte in situazioni che lo
richiedono.
La storia si apre sul racconto di un fallace equilibrio familiare, e si chiude con
l'immagine di un nuovo equilibrio. Nel mezzo tutto quello che un cuore umano può
concepire nella più classica delle distorsioni del concetto di amore.
La regia è perfetta, pulita, a tratti spietata nel suo mostrare tutto quello che mai
avremmo potuto sospettare solo all'inizio del viaggio.
L'ambiguità morale di cui il racconto sembra ammantato è uno dei cardini delle riuscite
rappresentazioni del regista. La madre è là, a testimonianza del fatto che nessuno è
esente da ombre, e che Bong non crede mai fino in fondo nella bontà delle intenzioni
umane.
Come nel suo primo lavoro, il bellissimo "Barking dog never bite", ci racconta
una storia, insinuando silenziosamente all'interno di un quotidiano mai rassicurante, la
sua sfiducia nell'essere umano e il suo fastidio per l'ipocrisia. La polizia, come spesso
nei suoi film, è incapace di trovare una reale soluzione al problema, se non addirittura
assente quando servirebbe di più.
Bong non ha mai nascosto il suo pessimismo nei confronti delle autorità e spesso, anche
se non con un'aperta condanna, ma piuttosto col suo stile sottile e a tratti intrigante,
ne ha denunciato l'incapacità.
In questo caso la polizia, come anche tutti i comprimari, sembrano lontani, addirittura
sfocati al confronto con la nitidezza delle intenzioni e dell'ardore della madre.
E forse è per rafforzare questa sensazione che ella non ha nome. E' solo un'impulso.
Dapprima ha una comprensibile reazione di incredulità, poi si trasforma in un'efficiente
detective, molto più svelta di quasiasi poliziotto. E solo alla fine la vera natura della
donna viene a galla.
E non sempre è il caso di mostrare quello che potremmo non essere in grado di intuire sul
conto di una madre.
Voto: 7
(Anna Maria Pelella)