Regia: Jaume Collet-Serra
Cast: Vera Farmiga, Peter Sarsgaard, Isabelle Fuhrman, Jimmy Bennett, CCH
Pounder, Aryana Engineer, Rosemary Dunsmore
Produzione: USA
Anno: 2009
Durata: 123 minuti
Kate Coleman perde il terzo figlio durante il parto e, con il marito John, decide di adottare una bambina. Durante una visita allorfanotrofio locale, i due sinnamorano della piccola Esther e decidono di portarla a casa con loro. Mentre la figlia minore, Max, sembra fare immediatamente amicizia con Esther, il fratello, Daniel, si mostra più diffidente. La nuova arrivata inizierà ben presto a comportarsi stranamente, mostrando disturbi comportamentali e destando i sospetti di Kate. Quando i Coleman riceveranno una visita a sorpresa di Suor Abigail, che gestisce lorfanotrofio, le cose inizieranno a complicarsi.
Lormai nutrita famiglia dei biliosi pargoletti demoniaci, vetusto sottogenere
resuscitato a nuova vita, sarricchisce duna nuova nata con la Esther di
Orphan. Ostetrico e incaricato dei festeggiamenti, il regista Jaume
Collet-Serra, già responsabile del remake de La maschera di cera, ricordato
unicamente per una comparsata della Barbie da esportazione Paris Hilton. Lanno
passato abbiamo assistito alle nefaste imprese del diabolico "Joshua" e del
kinghiano David Sandborn de Il respiro del diavolo, senza scordare
lirlandese "Dorothy Mills" e i bambini assassini di The
children dellinglese Tom Shankland. Tutti virgulti malefici, sì, ma del tutto
legittimi. La fin troppo perfetta Esther, invece, è una bambina presa in adozione, la
quale proviene da un luogo alquanto minaccioso ed esoterico (almeno per lo sceneggiatore
David Leslie Johnson) come lEuropa dellEst. Sarà per questo che la garrula
fanciulletta, accanita lettrice della Bibbia, dal forbito eloquio e dalle indiscusse doti
pittoriche, sabbiglia come una bambola vittoriana partorita da unallucinazione
del reverendo Dodgson? Quando poi veniamo a conoscenza del fatto che la smorfiosetta vanta
origini estoni, tutto si fa più chiaro. LEstonia è luogo indefinito e
semimitologico, un po come la Transilvania di Bram Stoker, e basta buttare
unocchiata al sito del Saarne Institute per capirlo, ammantato comè di
mestizia sovietica dantan. Anche se lURSS è collassata, chissà se ci si
potrà fidare del nuovo corso, a base di oligarchie mafiose e soluzioni cecene, inaugurato
da Vladimir Putin. Non sarà che, sotto sotto, questi ex bolscevichi vogliono infiltrarsi
anche nellinnevato Canada e minare la stabilità familiare, come ai gloriosi tempi
de Linvasione degli ultracorpi? Orrore e pulsioni inconfessabili, come
quasi sempre e con buona pace di tutti, vengono dallesterno.
Il resto, malauguratamente, non è silenzio ma manualetto di psicanalisi frettolosamente
consultato: il malmostoso mostriciattolo, ora malefico ora grottescamente seduttivo, anela
a sbarazzarsi dellimportuna genitrice e ad accoppiarsi col riluttante pater familias
(uno scialbo Peter Sarsgaard). Per riuscirci, tra una sonata al pianoforte e laltra,
non esiterà a ricorrere ad arcinoti machiavellismi, architettando con ossessiva
meticolosità un sanguinolento omicidio e simulando incidenti ai danni dei piccoli
Coleman. Con gelido sadismo, brutalizzerà perfidamente piccini incolpevoli, conducendo
sullorlo dellesaurimento nervoso la madre adottiva (anche ex alcolista), a cui
verranno addossate tutte le colpe dallinetto marito. Dopo 90 sonnacchiosi minuti, si
resta annichiliti da un inopinato colpo di scena che fa rimpiangere la lucidità a suo
tempo dimostrata da Tod Browning, sacrificata al becero effettaccio da baraccone.
Sorvolando sulla palese assurdità, si constata che non di Lewis Carroll si trattava,
bensì della versione horror-trash di una fotografia di Diane Arbus.
Brava e sofferta Vera Farmiga, ormai specializzata nellaccudire piccoli mostri (era
la madre anche in Joshua), che dimostra un impegno degno di miglior causa, e
assai convincente la Esther di Isabelle Fuhrman, leziosa e furente. Regia allinsegna
del riciclaggio (di scene, situazioni, inquadrature), andatura lenta nella prima parte e
virulenta nello showdown (ammorbato dai consueti finali multipli), ma senza il barlume
duna sequenza che resti nella memoria. Per questo thriller mediocre,
involontariamente parodistico e routinario, alcune associazioni americane hanno
protestato, sostenendo che getti unombra di discredito sul sistema delle adozioni.
Francamente eccessivo, al massimo mette in cattiva luce un cinema, quello americano,
sempre più asfittico e ripiegato su se stesso.
Voto: 4,5
(Nicola Picchi)