Regia: Lee Kwong-Yiu
Cast: Steven Cheung Chi-Hung, Mandy Chiang Nga-Man, Kathy Yuen Ka-Yi,
Kris Gu Yu, Lau Kong, Amy Chum (Tam Yan-Mei), Chow Ka-Sing, Sun Limin
Anno: 2008
Nazione: Hong Kong
Durata: 91 minuti
Nam ha dei poteri che gli consentono di vedere più delle altre persone. Suo fratello ha di recente acquisito alcune caratteristiche estranee al suo carattere, e lui si mette ad indagare. Con l'aiuto della guardia di sicurezza del suo stabile e della fidanzata di suo fratello, Nam scopre che anni prima erano accadute alcune cose, le cui tracce adesso si stanno rivelando intorno a lui.
Nam vede la gente morta. E fin qui niente di nuovo. Il punto è che però la gente in
questione non è sempre ben disposta verso il prossimo. E questo è un male. Dal momento
che oltre ad infestare oggetti, case, ascensori e quant'altro, la gente morta ha la
sgradevole abitudine di infestare le persone. Suo fratello Tung comincia a comportarsi in
maniera strana, e la sua ragazza si preoccupa. Ovvio che Nam verrà coinvolto da lei nella
ricerca delle cause dello strano comportamento di Tung. I suoi genitori, e questo è
piuttosto strano per essere in Asia, non credono alle infestazioni, e gli eventi
precipiteranno a partire dal tentativo che Nam farà di aiutare il fratello.
Un certo numero di bambini morti e un grosso omaccione assai pericoloso, con una mannaia a
chiarire le sue mire nei confronti del prossimo, sono gli ingredienti neache tanto
innovativi di questo film.
"Yes, I can see dead people" inganna per il titolo, citazione da uno Shyamalan
d'annata, che però non ha nulla della commediola che ci si aspetterebbe. Magari le
espressioni dei protagonisti, o qualche piccola sfumatura ironica sparsa in giro per il
plot, possono anche essere ascrivibili alla commedia nera, ma l'inequivocabile brivido
horror dato dai morti che non vogliono lasciare in pace i vivi chiarisce da subito che
l'intento del regista è quello di spaventare.
I morti in questione non si fanno vedere da Nam solo per essere aiutati, qualcuno avrà
bisogno di una buona dose di dialettica per convincersi a lasciar perdere il mondo che non
gli appartiene più. Mentre i bambini che Charlie, fidanzata di Tung, accompagnerà verso
la luce finale, hanno il solo intento di salutare qua e là i parenti sopravvissuti.
L'ascensore infestato, visto ormai in gran parte degli ultimi horror asiatici, resta
sempre inquietante, mentre il grosso psicotico armato di mannaia farebbe paura anche da
vivo, figurarsi a sapere che non lo si può uccidere.
Gli ingredienti mescolati ad arte in questo film però, puzzano un tantino di vecchio. E
la regia non ha quel tocco che li potrebbe rinverdire. Intendiamoci siamo sempre anni luce
avanti ad un qualsiasi clone americano di qualunque horror asiatico dell'ultimo paio
d'anni. Ma il tono indeciso non giova all'intento che si intuisce primario nell'idea del
regista: quello di impaurire. La colonna sonora e alcuni momenti di grande impatto
suggeriscono una volontà di spaventare, più che di avvincere lo spettatore, il quale
però avvezzo oltre misura alla pratica asiatica di insinuare ovunque morti e consimili,
non si fa sorprendere più di tanto. I condomini pieni di ombre e dall'aria malsana sono
ormai come una seconda casa per il conoscitore di film asiatici, mentre la gente che cade
dai piani alti, dopo un po' sembra richiamare la pratica medievale di gettare di sotto
tutto quello che poteva colpire il nemico durante un assedio. Ovvio che il primo che cade
dopo i titoli di testa qualche balzo lo regala pure, ma dopo un po' che la faccenda va
avanti ci si apetta il prossimo e si scommette sulla sua identità. La scena del tentato
esorcismo invece è un tantino sopra le righe, quel tanto che basta per annullare
l'effetto della sospensione dell'incredulità duramente guadagnata nei primi fotogrammi.
Mentre le varie incursioni dei morti, se da una parte un po' di paura la mettono anche,
dall'altra sembrano sempre un tantino ricalcare i passati fasti di un cinema che comincia
ad accusare il passare del tempo. Certo Hong Kong non è il Giappone, e Lee Kwong-Yiu non
sarà mai Nakata Hideo, o Shimizu Takashi, e meno che mai Kurosawa Kiyoshi. Motivo per cui
faremmo bene a controllare la provenienza degli ultimi horror asiatici, dal momento che il
numero ormai altissimo di materiale prodotto ha reso assolutamente vitale distinguere
subito i maestri dagli emulatori, per evitare nel bailamme di copie di perderci gli ormai
rarissimi originali.
Voto: 5
(Anna Maria Pelella)