Regia: Takahiro imamura
Sceneggiatura: Nobuhiko Horie, Yoshinobu Kamo, Katsuhiko Manabe
Soggetto originale: Tetsuo Hara, Buronson
Produzione: Giappone
Anno: 2006
Durata: 90 minuti
In un mondo devastato da continue guerre, i successori delle antiche scuole di arti marziali di Hokuto e Nanto si affrontano per il predominio del territorio. Tra questi, il malvagio autoproclamatosi imperatore Souther, intento a costruire un mausoleo sul sangue dei suoi sudditi; il possente Raoul, che brama il dominio assoluto; lormai vecchio e malato Toki, che usa le sue capacità per curare le persone sofferenti; e Kenshiro, intenzionato a riportare la pace a suon di cazzotti.
Lustrarsi gli occhi nel vedere i muscoli di Kenshiro e fratelli combattenti al cinema è
qualcosa che, per chiunque si aggiri sulla mia età e sia cresciuto con sovrabbondanti
dosi di teste esplose, punti di pressione e «ua-tàà!» a non finire, è difficile
descrivere a parole. Una sensazione che mescola ingenuità infantile e un certo nerdismo
ossessivo, interi pomeriggi intenti a replicare le mosse di Hokuto e (soprattutto per me
che abito in un paese con lo stesso grandioso nome) Nanto, e un senso di legame affettivo
che, nonostante i tanti anni passati dalla visione dellultima puntata della serie
animata, è risbocciato immediatamente.
Tutte caratteristiche, queste, disgraziatamente fondamentali per giudicare il primo dei
cinque lungometraggi nipponici (tre film da unora e mezza più due OAV da circa
sessanta minuti) che formano il monumentale revival/rilettura delle leggendaria storia
creata quasi trentanni fa da Buronson e disegnata da Tetsuo Hara.
A vedere il lungometraggio, incentrato sulla sola saga di Souther, con gli occhi critici
di oggi, il problema non sta neanche nella trama, che, impreziosita da alcune gustose
aggiunte sceno-storiche (carri armati e soldati sullo sfondo che dipingono la guerra),
diventa ancora forse più originale nel suo mix di sci-fi post-apocalittica e arti
marziali. È qualcosa più a livello globale, dovuto a una certa velocità di narrazione
che incolla tra loro, in un taglia-e-cuci non sempre riuscito, capitoli che invece
avrebbero necessitato di prologhi e spazi adeguati.
Tutti conoscono cosa spinga Souther e Raoul al dominio del mondo, così come la
motivazione che smuove mani e gambe di Kenshiro e degli altri comprimari, eppure si
sentiva il bisogno di un maggior approfondimento narrativo, che desse la giusta importanza
a molti momenti clou (Shiba, il figlio di Shu, presentato troppo tardi; il primo scontro
tra Ken e Souther).
Daltro canto, riassumere in novanta minuti lintera saga di Souther non era
impresa facile, e si apprezza il fattore stand alone dellopera, che, grazie a un
ottimo prologo, permette accessibilità anche ai non fan. Così come si approva
linnesto di due nuovi personaggi (i fratelli Souga e Reina, perfettamente integrati
nella trama generale, e capaci di donare nuovi risvolti nelle già di per sé profonde
psicologie di Raoul e Toki), mentre fa storcere il naso la mancanza del flashback
riguardante linfanzia di Souther, capitolo a mio avviso fondamentale per capire le
motivazioni del suo odio.
Ma lostacolo più grosso è rappresentato da una regia disgustosamente televisiva:
primi piani immobili, inquadrature fisse, riciclo di disegni e animazioni, pochissimo
interesse nella ricerca della spettacolarizzazione. Certo, si tratta di un inconveniente
che sparisce di fronte alla riproposizione pari pari di scene storiche e dallalto
tasso emotivo (il calcio volante e il drammatico dialogo tra Ken e Shu, il combattimento
conclusivo tra Ken e Souther), con disegni che vanno dal bello al fantastico, nel totale
rispetto della saga originale di Souther (in cui le tavole mostravano fisici scultorei
particolareggiati in maniera spaventosa).
Stessa cosa non si può invece dire per le animazioni, soprattutto nei primi piani, spesso
traballanti e pervase da una certa economia che perdura in tutto il lungometraggio.
Ultimi due punti deludenti sono il bassissimo tasso di splatter (poco sangue e soprattutto
pochissime esplosioni di corpi e teste), e il doppiaggio, che, donando nuovi voci a tutti
i personaggi (ottima quella di Souther e di Toki, ingiudicabili le altre), crea enormi
crisi di pianto per il ricordo delle carismatiche voci storiche.
Unopera poco più che sufficiente, quindi, ma dotata di una magia e di un fascino
indescrivibile, grazie anche a unepica colonna sonora sbalorditiva, che mescola
schitarrate rock/metal con commoventi orchestrazioni hollywoodiane.
Può essere buona cosa concludere dicendo che la scommessa di portare un simile
lungometraggio animato al cinema sta avendo un inaspettato successo in termini di pubblico
pagante, fattore che può far ben sperare per larrivo nel Belpaese degli altri
restanti episodi (già visti in lingua originale quelli disponibili, che presentano gli
stessi alti e bassi de "La leggenda di Hokuto").
Voto: 6
(Simone Corà)