Regia: Michael Haneke
Cast: Naomi Watts, Tim Roth, Michael Pitt, Brady Corbet, Devon Gearhart
Produzione: USA, UK, Francia, Germania, Italia
Anno: 2007
Durata: 112 minuti
Ann e George, con il figlioletto Georgie, si dirigono verso la loro casa sul lago, per trascorrervi un periodo di vacanza. Una volta arrivati sul posto, lintera famiglia sarà presa in ostaggio da due ragazzi, che si sono introdotti in casa loro con una scusa.
I registi che hanno realizzato remake dei loro film si contano sulle dita di una mano;
Alfred Hitchcock ha rifatto Luomo che sapeva troppo, ma non lha
certo riproposto tale e quale, come ha fatto Haneke con questo Funny games. Si
solleva allora la seconda eventualità, ossia quella del remake che clona
loriginale, come ha fatto Gus Van Sant nel suo warholiano Psycho,
seppure anche in questo caso non mancassero degli scarti, minimi ma significativi. Questa
volta la sceneggiatura e le inquadrature restano le stesse, compresa la scena del rewind,
ma cambiano gli attori, con Naomi Watts, Tim Roth e Michael Pitt al posto di Susanne
Lothar, Ulrich Muhe e Frank Giering. Haneke ha dichiarato di aver realizzato il film per
renderlo accessibile anche al pubblico degli Stati Uniti, vista la scarsa diffusione negli
USA della prima versione del 1997, aggiungendo che, essendo il film una reazione alla
sconsiderata rappresentazione della violenza nel cinema americano, quello doveva essere il
pubblico delezione del suo astratto teorema. Ma qual è loriginale e qual è
la copia? A parte mettere in crisi la nozione stessa di unicità dellopera, possiamo
dire che Haneke ha paradossalmente realizzato un secondo originale, dando vita
ad uno spazio eccentrico. Le due opere si sovrappongono così luna allaltra
fino al punto di fusione, strutture identiche semplicemente abitate da corpi diversi, che
creano un unico testo.
Deliberato quanto gelido esercizio di sadismo ai danni dello spettatore, Funny
games è una critica austera alla società dello spettacolo, quasi una versione più
ascetica e rigorosa de Il cameramen e lassassino di Delvaux e Poelverde,
che al principio si guadagnava la complicità dello spettatore-voyeur, per poi freddarlo
con un finale di violenza inusitata, evidenziandone il colpevole coinvolgimento. I
frequenti ammiccamenti di Michael Pitt allo macchina da presa hanno infatti il compito di
coinvolgere lo spettatore in prima persona, e quindi renderlo parte in causa se non
addirittura accusarlo di collaborazionismo con le crudeli efferatezze che stanno per
essere messe in scena.
La scelta di mantenere la violenza fuori campo non fa che accrescerne lorrore, così
come la decisione di limitare al minimo i movimenti di macchina, tanto che la lunghissima
inquadratura a camera fissa di Ann, in salotto con il televisore acceso, è ai limiti con
linsostenibilità emotiva. I due ragazzi significativamente hanno nomi fittizzi e
sarcastici come Peter e Paul, oppure quelli che sono loro concessi dai cascami della
cultura pop americana, come Tom e Jerry o Beavis e Butt-Head, mentre Haneke calca la mano
riducendo a brandelli tutti i clichè della sociologia spicciola che si usano al cinema in
questi casi per giustificare comportamenti devianti, come abusi familiari,
tossicodipendenza e quantaltro. Sottilmente compiaciuta, ed anche un po
didascalica, la famosa scena del riavvolgimento con il telecomando, che evidenzia lo iato
tra realtà e fiction o, se vogliamo, tra materia e anti-materia, come sottolineano i due
soavi sociopatici nel dialogo che chiude il film. Se Funny games sembra porre
maggiore attenzione sulla figura di Ann, è solamente per le maggiori qualità di una
sempre straordinaria Naomi Watts, ma bisogna dire che il mellifluo predatore disegnato da
Michael Pitt non è da meno. Impeccabilmente fotografata da Darius Khondji,
lennesima aggressione (come altro qualificare La pianista o
Cachè?) di Haneke allo spettatore colpisce nel segno anche stavolta, pur
rimanendo nei limiti del film a tesi, mentre persino la colonna sonora si trasforma in una
zona di guerra: John Zorn e i Naked City contro Handel e Mozart.
Volendo, si potrebbe aggiungere che il regista austriaco rovescia le conclusioni di
Peckinpah in Cane di paglia. Se nel film del regista americano la violazione
dello spazio domestico innescava una regressione delluomo civilizzato ad
uno stato primitivo, in Funny games è proprio la patina di civiltà e di
educazione dei due ragazzi ad inibire qualsiasi reazione, a dimostrazione del fatto che,
talvolta, le buone maniere uccidono.
Voto: 7,5
(Nicola Picchi)