Joshua

Regia: George Ratliff
Cast: Jacob Kogan, Sam Rockwell, Vera Farmiga, Celia Weston, Dallas Roberts, Michael McKean
Produzione: USA
Anno: 2007
Durata: 105 minuti

TRAMA

Joshua Cairn ha nove anni, ed abita con i genitori in una grande appartamento a Manhattan, con vista su Central Park. E’ un bambino insolitamente freddo e compassato, molto intelligente per la sua età, ma che nutre interessi quanto meno insoliti, che inquietano la sua nonna materna. Quando sua madre, Abby, darà alla luce una sorellina, inizieranno ad accadere strani eventi, che porteranno la donna alla depressione e che si rifletteranno sull’armonia coniugale, conducendo la coppia alla dissoluzione. Ma l’enigmatico Joshua è una vittima della situazione o è l’artefice di un piano diabolico?

RECENSIONE

Se siete dei nostalgici di quella che Pier Maria Bocchi e Andrea Bruni definivano, in un libro molto esaustivo sull’argomento, la “Covata malefica”, allora Joshua è il film che fa per voi. La figura del bambino “demoniaco”, legata ad inquietudini sociali e a paure ben più evidenti qualche decennio fa, sembrava effettivamente sorpassata dai tempi o, piuttosto, incapace di costituirsi ancora come segno in grado di veicolare un significato. E’ per questo che “Joshua”, che pure ha raccolto qualche riconoscimento a Stiges e al Sundance, appare risolutamente “vintage”, come quei vecchi vestiti infestati dalle tarme, orgogliosamente passati di moda.
Fortunatamente la sceneggiatura, ben strutturata anche se fallace nelle premesse, ci evita sterzate sovrannaturali, e l’ambiguo pargoletto, più che al satanico Damien de “Il presagio”, sembra parente stretto del Macaulay Culkin de “L’innocenza del diavolo”, film di Joseph Ruben, sceneggiato nel lontano 1993 niente di meno che da Ian McEwan. Punto di forza del film, oltre all’ottima interpretazione del giovanissimo Jacob Kogan, di compassata sgradevolezza, è infatti l’atmosfera di ambiguità che George Ratliff, regista alla sua seconda opera di fiction, riesce a costruire, lasciando lo spettatore in uno stato di costante incertezza su quanto stia realmente accadendo. Alcune felpate soluzioni di regia, nella grande casa suggestivamente illuminata dall’abilissimo Benoit Debie (Calvaire, Irreversible), sono indubbiamente degne di nota, così come la volontà di costringere quasi tutta l’azione in interni. Inoltre certe situazioni sono ben sottolineate, come le sarcastiche critiche al fondamentalismo religioso americano, tanto più comprensibili se si pensa che un precedente documentario di Ratliff sull’argomento portava il significativo titolo di “Hell house”.
I punti deboli di “Joshua” sono altri, e cioè un’intollerabile interpretazione di Sam Rockwell, costantemente sopra le righe, e l’assoluta stupidità dei presupposti. E’ almeno dai tempi di Freud che nessuno si sognerebbe di attribuire ai bambini un’innocenza “a priori”, che essi assolutamente non posseggono, e l’ottusa inanità della coppia genitoriale compromette la ben nota sospensione dell’incredulità, lasciando scivolare nel ridicolo un lavoro che inizialmente sembrava una ben costruita variazione sul tema, sebbene priva della minima originalità. A peggiorare il tutto si aggiunga l’inevitabile e ovvio scioglimento finale, a conferma del fatto che non basta rivedersi una decina di volte “Rosemary’s baby” per essere Roman Polanski.
Voto: 5,5
(Nicola Picchi)