El orfanato

Regia: Juan Antonio Bayona
Cast: Belén Rueda, Fernando Cavo, Gèraldine Chaplin, Montserrat Carulla, Alejandro Campos
Andrés Gertrúdix, Carla Gordillo Alicia, Edgar Vivar
Produzione: Spagna, Messico
Anno: 2007
Durata: 100 minuti

TRAMA

Laura decide di acquistare e restaurare l’orfanotrofio dove ha passato la sua infanzia, ma nell’edificio non tarderanno a manifestarsi strane presenze.

RECENSIONE

Va bene che oramai con l’alibi della citazione tutto fa brodo, ma alle volte si esagera. Mettete assieme in un ideale frullatore una buona parte di Guillermo del Toro (El espinazo del diablo), che non a caso produce il film, un pizzico di Balaguerò (Fragile), due gocce di Amenàbar (The Others), uno spruzzo del thailandese “Dorm”, rabboccate il tutto con un po’ di Shamalayan, dopodichè scopiazzate senza alcun pudore un’intera sequenza dal bellissimo “Suspense” di Jack Clayton (quello tratto da “Giro di vite”), rubacchiate il finale a “Saint Ange”, però riscritto in stile “lacrima movie”, ed avrete come risultato questo indigesto e melenso polpettone, insopportabilmente fasullo e finto-poetico. Laura (la Belén Rueda di “Mare dentro”) acquista l’orfanotrofio dove ha trascorso la sua infanzia e decide di trasformarlo in una struttura per l’accoglienza di orfani disabili. Una volta lì, suo figlio Simon comincia a giocare con un amico invisibile, Tomas, evento che condurrà in seguito a sviluppi ben più inquietanti: molto presto cominceranno ad accadere una serie di inspiegabili incidenti, e gli amici invisibili di Simon diventeranno più d’uno. Un giorno il bambino sparisce, e Laura cercherà aiuto presso un gruppo di parapsicologi (tra cui una ritrovata Gèraldine Chaplin, nei panni di una medium), che potrebbero aiutarla a chiarire il mistero. Mistero che, guarda un po’ che sorpresa, affonda le sue radici in un passato di cui anche Laura ha dei vaghi ricordi, memorie rimosse fino a quel momento e che ora premono per tornare alla luce. Molto evidente il riferimento a Peter Pan, apertamente esplicitato in un’inquadratura per chi fosse debole di comprendonio: i bambini fantasma di “El orfanato” sono, in controluce, nient’altro che i Ragazzi perduti dell’Isola che non c’è, mentre la stessa Laura potrebbe essere una Wendy invecchiata e rinunciataria. Solo che il riferimento favolistico appare abbastanza sprecato, buttato lì probabilmente per omaggiare “Il labirinto del fauno” del ben più abile Guillermo Del Toro, e riscrivere Barrie con la penna di Henry James appare come un’operazione velleitaria e pretestuosa. Il film è l’opera prima del catalano Juan Antonio Bayona, già attivo in televisione, e, se è comprensibile che ci siano delle influenze, sarebbe auspicabile quantomeno la presenza di un tocco personale ad amalgamare il tutto per evitare l’effetto patchwork, tocco che qui sembra completamente assente. Intendiamoci, il regista sa girare e svolge il suo compitino da bravo scolaro diligente, ma il problema è che appunto di questo si tratta. Forse Bayona ha la sindrome del primo della classe ed ha studiato troppo, ma il risultato di tanta abnegazione è che il famigerato dejavu regna sovrano, e non si vede il barlume di un’idea originale neanche a cercarla col proverbiale lanternino. E poi sarebbe anche ora di mettere una moratoria quinquennale sugli orfanotrofi e/o ospedali infestati, dove disgraziatissimi bambini, deformi o meno, subiscono le angherie del fato per poi tornare ad affliggere severe istitutrici, che nel finale tirano fuori il loro senso materno represso in un delirio autosacrificale, dato che si rischia di creare un lagnosissimo sottogenere che potremmo magari chiamare il “lacrima-horror”. Fatto abbastanza inspiegabile, a Sitges il film è stato molto apprezzato dal pubblico (che forse aveva gli occhi bendati) e pare che in Spagna sia stato scelto per concorrere agli Oscar come miglior film straniero, immagino per la funesta mancanza di candidati migliori.
Voto: 4
(Nicola Picchi)