Regia: Bong Joon-hoo
Cast: Song Kang-Ho, Byeon Hie-Bong, Park Hae-Il
Produzione: Corea
Anno: 2006
Durata: 119 minuti
Seoul, Corea del Sud. Nato da una mutazione genetica causata dal riversamento di prodotti tossici nel fiume che attraversa la città, un mostro anfibio e carnivoro ha eletto le fogne come domicilio e semina morte e distruzione fra gli abitanti.
In The host, Bong Joon-hoo polverizza fin dal principio tutti i topoi
delleco-vengeance, dando vita, come ha giustamente notato Le Monde, ad un film
mutante come la sua creatura. Ormai il plot lo conoscono anche i sassi:
rifiuti tossici scaricati nel fiume Han da una base militare americana provocano la
nascita di una creatura anfibia, la quale si ricava una tana nei condotti delle fognature
e, per sopravvivere, si nutre di esseri umani. Quando rapisce Hyun-seo, la figlia di
Gang-du, che gestisce una bancarella di generi alimentari sulle rive del fiume, tutta la
famiglia cercherà di salvarla, impegnandosi in una frenetica corsa contro il tempo. Fin
qui sembrerebbe rientrare nei canoni della categoria, se non fosse che sotto le mentite
spoglie del film di genere si cela un corrosivo pamphlet contro il neocolonialismo made in
USA, nonché una riflessione sul grottesco asservimento della politica sud-coreana agli
interessi americani. Bong Joon-hoo, pur omaggiando gli archetipi del genere per vie
trasversali, se ne frega altamente dei manuali di sceneggiatura e delle convenzioni sulla
costruzione della suspense, mostrandoci la creatura dopo i primi cinque minuti in tutto il
suo inquietante splendore by Weta Digital. I cambi di registro narrativo sono vorticosi
eppure coerenti, ed il tono è ora satirico (lincompetenza delle autorità e la
stupidità dei militari, lAgent Yellow contro le armi batteriologiche), ora
buffonesco (la fuga della famigliola dallospedale), ironico (i manifestanti
no-global che indossano t-shirt con il faccione di Gang-du, la psicosi da epidemia) ma
anche drammatico (Hyun-seo con il bambino, la caccia al mostro), in una girandola
governata con mano sapiente ed indiscutibile abilità registica. Conseguentemente con gli
assunti di partenza, a salvare Seoul non saranno né la polizia né i militari e neanche
gli scienziati che postulano lesistenza di un virus che non cè, ma la
famiglia di Gang-du, un gruppetto di perdenti allennesima potenza che il regista
ritrae con affetto e comprensione umanissimi: Gang-du è una persona semplice, con un
quoziente dintelligenza non proprio elevato, mentre il fratello è un laureato
disoccupato e la sorella una perenne abbonata alle medaglie di bronzo nelle competizioni
di tiro con larco. Con laiuto del padre ed il fondamentale contributo di un
barbone reclutato per caso, il gruppo riuscirà ad avere ragione della creatura ma non a
salvare Hyun-seo, considerato che, dopotutto, siamo in Corea e non a Hollywood.
Inquietudini ecologiste e satira politica non appesantiscono mai il film, dove tutto si
amalgama perfettamente, CGI compresa, e che appare sempre fluido ed inattaccabile. A
questo si aggiungano dialoghi azzeccatissimi e grande attenzione alle psicologie, il
supporto di un ottimo cast, su cui svetta il magnifico Song Kang-Ho (già in Memories of
murder), linaspettata e luminosa fotografia di Kim Hyung-ku, la notevolissima
colonna sonora di Lee Byung-woo... insomma, che altro serve perché i distributori
italiani si accorgano di questo film, che tra laltro in Corea è stato un
blockbuster ed è uscito quasi dappertutto? Ma forse, davvero, siamo soltanto la periferia
dellimpero e ci toccano in sorte solo i suoi sottoprodotti predigeriti.
Voto: 8
(Nicola Picchi)